Marina Militare e mar Piccolo inquinato: area ex Ip, due anni di ritardo

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cozzeTARANTO – Martedì prossimo si svolgerà un nuovo incontro sull’attività della Cabina di Regia “per il coordinamento del Protocollo d’intesa per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto”. Quel giorno si parlerà anche del Mar Piccolo e ci sarà un aggiornamento sullo stato di avanzamento dei lavori dello studio che ARPA Puglia, insieme al CNR, sta portando avanti sullo stato reale in cui versa il bacino del I seno che sarà pronto per marzo 2014. In quelle carte sarà scritto il destino di quella che è a tutti gli effetti la prima risorsa naturale di Taranto. Difficile dire, al momento, quale sarà il responso finale in merito alle operazioni di bonifica da svolgere per risanare l’area contaminata (di cui in questi anni ci siamo occupati anche grazie alla collaborazione con il sito inchiostroverde.it).

Certo é che, a prescindere dalle operazioni di bonifica, il vero obiettivo resta sempre lo stesso: individuare tutte le fonti inquinanti ancora attive, intervenendo su quest’ultime e bloccando, si spera per sempre, il loro “contributo” inquinante. A tal proposito, quest’oggi torniamo ad occuparci di una vicenda trattata nei mesi scorsi e che rigurda una delle fonti inquinanti ancora attive presenti nel I seno del Mar Piccolo: l’ex area IP dell’Arsenale della Marina Militare. Riannodando i fili del passato sino ad arrivare ai giorni nostri, riportando le ultime notizie di cui siamo entrati in possesso.

Il progetto di emergenza dell’area, denominato “Progetto preliminare di messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda”, rigurda un’area dell’Arsenale militare concessa a delle imprese che, come sostenuto dalla Regione in una riunione della V commissione ambiente del 9 settembre 2011, hanno contaminato il suolo e la falda supeficiale che sfocia nel Mar Piccolo con Pcb. All’Arsenale ed alla Marina in quel 2011 giunsero diverse richieste dalla Regione, in cui si chideva di intervenire urgentemente per limitare il flusso di falda contaminata da Pcb “con 25 cm di olio che galleggiava sulla falda finendo in mare”. Dalla Regione partirono anche diffide e una notifica alla Procura.

Poi, il 14 ottobre 2011, durante il tavolo tecnico convocato sul tema in questione, la Direzione del Genio Militare (Marigeminil) assunse l’impegno di trasmettere, entro la prima decade di novembre 2011, la documentazione progettuale relativa agli interventi di messa in sicurezza delle acque di falda contaminate. Il 22 dicembre si svolse la Conferenza di Servizi istruttoria per la discussione dell’elaborato trasmesso da Marigeminil. L’intervento prevedeva “una completa cinturazione dell’area con barriera fisica permeabile reattiva (PRB) usando ferro zero-valente, con jet-grouting di diametro 500mm, ed emungimento, tramite pozzi attrezzati con pompe idrauliche, di acque di falda da trattare con carboni attivi e poi smaltire”. Progetto che ricalcava la richiesta formulata dalla Conferenza dei Servizi: “Effettuare un accoppiamento tra barriera fisica e idraulica e di effettuare in questa ipotesi una stima delle portate da emungere”.

Gli obbiettivi erano impedire la diffusione della contaminazione e l’abbattimento, con il processo di dealogenazione riduttiva abiotica (ZVI), delle concentrazioni degli inquinanti presenti nelle acque di falda: sostanze inorganiche, composti alifatici clorurati cancerogeni, PCB e metalli pesanti. L’ARPA però, già all’epoca non concordava sull’ottimistica assunzione che il processo di dealogenazione riduttiva avesse effetto di abbattimento sui Pcb. Anche la Conferenza dei Servizi, avendo appreso che la durata degli interventi (almeno 25 mesi) non risultava compatibile con l’urgente necessità di mitigare il flusso di contaminanti, prescriveva “che nelle more della predisposizione del progetto definitivo e della realizzazione di tutti gli interventi di interruzione della propagazione della contaminazione, venga attivata ad horas la mitigazione del flusso di contaminanti attivando idonei sistemi di emungimento, anche a partire dai piezometri esistenti. Tale sistema dovrà prevedere la gestione delle acque emunte come rifiuto, nelle more dell’installazione dell’impianto TAF presentato nel progetto”. Ma così non sarà.

Il 31 gennaio 2012, la Conferenza di Servizi decisoria prese atto che gli elaborati ottemperanti alle prescrizione della precedente riunione non sono pervenuti agli Uffici del Servizio Ciclo dei Rifiuti e Bonifica della Regione Puglia; oltre ad essere assenti il Comune di Taranto e la Provincia di Taranto, seppur convocati. Nell’occasione, Marigeminil fece presente che la documentazione richiesta era stata appena trasmessa (con nota prot. 1226 del 25/01/2012),  sottolineando come lo Stato Maggiore della Marina avesse garantito il finanziamento necessario per l’attivazione del sistema di emungimento dai piezometri esistenti (Sistema di Mitigazione). Il tutto fu rinviato alla Conferenza dei Servizi del successivo 28 febbraio. E fu proprio in quella seduta che giunse il primo ok al progetto, ritenuto valido da Arpa Puglia e Provincia.

Inoltre, si appurò come Marigeminil si fosse attivata per l’acquisizione dell’autorizzazione allo scarico delle acque da emungere e trattare con il Sistema di Mitigazione, con la successiva messa in sicurezza della falda. Nella Conferenza dei Servizi dell’8 marzo 2012, si decise di sottoporre il progetto definitivo all’esame della Regione e di tutti gli enti competenti. Il 30 marzo arrivò l’ok definitivo. Marigeminil assicurò una programmazione finanziaria che garantiva l’avvio delle procedure per l’esecuzione delle opere della messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda entro il 2012. La consegna del progetto definitivo invece, sarebbe avvenuta entro luglio 2012. Poi però, qualcosa non andò per il verso giusto. Come confermò anche la Marina militare dopo la nostra inchiesta congiunta con inchiostroverde.it.

Basti ricordare che il “Piano di caratterizzazione ambientale”, che doveva essere presentato entro maggio 2012, fu ultimato a novembre 2012 (anche se la Marina giustificò il ritardo a causa di “perfezionamenti di natura amministrativa”). Certo, appare quanto meno strano che uno studio ultimato a novembre 2012, venga poi trasmesso alla Regione (competente per la valutazione ed approvazione delle attività di messa in sicurezza e bonifica) soltanto il 23 maggio 2013: con un anno di ritardo sulla tabella di marcia.

Stesso ritardo registrato anche per “la messa in sicurezza di emergenza delle aree con presenza di rifiuti” (decisa sempre nella Conferenza dei servizi dell’ottobre 2011). I lavori, dopo la stipula di contratto con la ditta appaltatrice, partirono nel marzo 2012: tempo previsto di ultimazione, 60 giorni. Le attività, successivamente, furono sospese poiché durante la rimozione dei rifiuti venne riscontrata “la presenza in sito di smottamenti della scarpata” che delimitava la zona d’intervento. Dopo di che, l’attività di rimozione dei rifiuti e riprofilatura della scarpata riprese dopo aver bandito una nuova gara ed assegnato, a novembre del 2012, il contratto per l’attività di completamento dei lavori. Nei giorni scorsi dalla Regione hanno fatto sapere che “l’attività di rimozione dei rifiuti dall’area, stando ai report periodici che giungono ai nostri uffici, è stata effettuata ed i lavori si sono conclusi lo scorso 15 marzo“. Domanda: qualcuno é andato a controllare in loco che i lavori siano stati effettivamente realizzati?

Ancora più complessa, ovviamente, la questione della messa in sicurezza delle acque di falda. Essendo di fronte ad un intervento complesso, sia per i tempi necessari alla realizzazione che per le procedure di gestione finanziaria di Maridipart, nel 2012 si decise di dividere il tutto in due diverse fasi temporali. Per prima cosa si pensò a mitigare il flusso di contaminanti in falda. L’intervento era finalizzato ad interrompere la propagazione dei contaminanti il prima possibile. Eppure, dalla Regione fanno sapere che il sistema di mitigazione a tutt’oggi “sembra essere in stand by”: lo scorso 8 febbraio infatti, la Marina Militare comunicò che l’affidamento dei lavori per la realizzazione degli impianti era stato perfezionato ma che non si era potuto procedere a causa del fatto che l’area fosse sotto sequestro, senza contare che le attività di mitigazione richiedevano l’autorizzazione allo scarico in mare delle acque trattate, di competenza provinciale, che non era ancora stata rilasciata.

Dunque, siamo ai “sembra”. Visto che qualora fosse arrivato l’ok da parte della Provincia e la Marina avesse iniziato le fasi di mitigazione del flusso di inquinanti, certamente lo avrebbe comunicato. Lo scorso febbraio infatti, la stessa Marina Militare in una nota di replica ad un nostro articolo del febbraio scorso, dichiarava che “le attività di cantiere sono pronte per l’inizio dei lavori, in attesa del decreto di registrazione, da parte dell’Ufficio Centrale del Bilancio, del contratto che è stato sottoscritto a dicembre 2012“.

Ancora più incredibile, se possibile, il ritardo accumulato in merito all’operazione più importante: la “Messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda“. Durante la Conferenza dei Servizi dell’8 marzo 2012, Marigeminil (da dichiarazioni messe a verbale) prevedeva la consegna del progetto definitivo entro luglio 2012. Nel verbale si leggeva testualmente che “Marigenimil assicura una programmazione finanziaria che garantisce l’avvio delle procedure per l’esecuzione delle opere della messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda entro il 2012. Conseguentemente si prevede che la consegna del progetto definitivo avverrà entro luglio 2012”. Poi, il buio. Sempre in quella nota, Maridipart sosteneva che “la progettazione definitiva per la messa in sicurezza delle acque di falda iniziata a marzo 2012, è attualmente in corso con la fase di pianificazione e successiva esecuzione delle indagini geologiche-geotecniche dell’area ex IP per acquisire dati per la progettazione della barriera fisica di contenimento delle acque di falda“. Eravamo nel marzo scorso.

Bene. Soltanto pochi giorni fa (data trasmissione dalla Marina 20/11/2013, data ricezione in Regione 2/12/2013) la Marina Militare ha trasmesso il progetto definitivo per la messa in sicurezza dell’area. Progetto sul quale, ovviamente, i tecnici della Regione non hanno ancora avuto modo di fare gli approfondimenti del caso. In questi ultimi due anni dunque, “il flusso di falda contaminata da pcb con 25 cm di olio che galleggia sulla falda e che finisce in mare” è proseguito indisturbato. Continuando ad inquinare il I seno del Mar Piccolo: che è bene sempre ricordarlo, è stato inquinato in primis dalla Marina Militare. Lo scriviamo da anni, ma non ci è dato sapere il perché in questa città ancora oggi praticamente nessuno si permette il lusso di inchiodare la Marina alle sue responsabilità. Sarà perché non é un’azienda privata, non si chiama Ilva, non è stata gestita da un padrone (oggi per tutti brutto e cattivo ma per anni fedele amico), non emette fumi ben visibile per chilometri e non garantisce il giusto ritorno d’immagine per chi se ne occupa? Chissà.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 10.12.2013)

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