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Taranto, la Cementir chiude l’area a caldo – Tutto previsto da tempo

Come volevasi dimostrare. Dopo alcuni mesi di pseudo ripensamento e trattative per tenere buoni i sindacati, la Cementir Italia ha finalmente ufficializzato ciò che era facilmente intuibile potesse accadere già da diversi mesi: il sito di Taranto cesserà la produzione di cemento dalla fine del mese corrente, per poi trasformarsi dal 1 gennaio in semplice centro di macinazione (all’incontro di ieri erano presenti le confederazioni sindacali di Taranto insieme ai sindacati degli edili, Fillea, Filca e Feneal sia nazionali che provinciali). Ridimensionamento che comporterà una riduzione notevole di fabbisogno di personale: dalle attuali 98 unità si passerà alle future 42 con una riduzione della forza lavoro di ben 56 dipendenti. Che dal settembre scorso erano stati collocati in cassa integrazione straordinaria per “crisi aziendale” a turno per dodici mesi, come stabilito dall’accordo siglato a Roma.

Occasione nella quale l’azienda rassicurò i sindacati sul fatto che il sito di Taranto non avrebbe subito alcun ridimensionamento. Un ripensamento sospetto rispetto a quanto annunciato invece lo scorso 28 giugno in una riunione svoltasi nella sede di Confindustria. Ovviamente, a giustificazione della drastica decisione, la Cementir Italia ha addotto “le previsioni di mercato che anche per il 2014 non evidenziano segnali che lasciano intravvedere una ripresa nel settore interno“. L’attuale produzione è infatti già adesso in forte deficit (-60%) rispetto al livello standard che consentirebbe il mantenimento della forza lavoro in attività.

Eppure, su queste colonne il campanello d’allarme lo avevamo suonato più volte. Restando come sempre inascoltati. Ad esempio quando lo scorso aprile scrivemmo del congelamento dell’investimento di 150 milioni di euro previsto per il progetto “Nuova Taranto Cementir, annunciato dal presidente e ad della Cementir Francesco Caltagirone Jr durante l’assemblea dei soci in cui ci fu l’approvazione di bilancio del 2012, destinato all’“ampliamento degli impianti produttivi esistenti ed il recupero di efficienza e competitività dello stabilimento produttivo di Taranto”. Il 18 aprile scorso infatti, lo stesso Caltagirone sostenne la “non convenienza” del progetto (che ricordiamo avrebbe usufruito di un finanziamento della BEI per 90 milioni e di un altro a fondo perduto della Regione Puglia per 19 milioni garantito dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale nell’ambito del programma operativo 2007-2013) a fronte della crisi del mercato interno e delle incertezze registrate sul fronte Ilva. Tanto valeva, concluse quel giorno Caltagirone, continuare a produrre con l’impianto vecchio (datato 1964), che negli ultimi mesi ha marciato con un solo forno a fronte dei tre esistenti. A fronte di questo annuncio, nessuno mosse un dito.

Il primo campanello d’allarme, arrivò soltanto mercoledì 19 giugno, durante l’audizione in commissione Ambiente ed Ecologia del Comune, del direttore dello stabilimento tarantino Paolo Graziani e del direttore di Cementir Italia Mario De Gennaro: che se da un lato confermarono il congelamento dell’investimento di 150 milioni di euro, dall’altro annunciarono che a partire dal 1 gennaio 2014, qualora la situazione di mercato e dell’Ilva non avesse mostrato inversioni di tendenza importanti, il sito di Taranto sarebbe stato trasformato in centro di macinazione (ipotesi sostenuta dall’azienda anche nel tavolo nazionale dell’11 luglio scorso): esattamente ciò che avverrà a breve.

Eppure, che tutto fosse stato già deciso da tempo, era abbastanza chiaro. Come si ricorderà, prima dell’incontro del 19 settembre, riportammo su queste colonne come Equita (banca d’investimento italiana con sede a Milano che opera nella finanza internazionale), rese nota la negoziazione da parte di Cementir di un piano di ristrutturazione in Italia “che porterà ad un totale di circa 150 esuberi” e che prevede “la trasformazione dei cementifici di Arquata e di Taranto” la cui capacità installata, di circa 2,2 milioni di tonnellate, è pari al 50% della capacità del gruppo in Italia. Durante l’incontro del 19 settembre, durante il quale azienda e sindacati siglarono l’accordo per la cassa integrazione, come detto l’azienda smentì l’ipotesi di cessazione dell’attività produttiva.

Eppure, come riportammo appena lo scorso 18 novembre (in cui ci chiedevamo “ingenuamente” che fine avrebbe fatto la Cementir), il 23 ottobre la Kepler Cheuvreux (società indipendente leader europeo di servizi finanziari specializzata in servizi di consulenza e di intermediazione per il settore della gestione degli investimenti), diffuse un nuovo report sul settore delle costruzioni. Nel quale, come nel caso di Equita ad inizio settembre, veniva riportato che “i nomi preferiti nel settore del cemento sono di società appartenenti alla categoria delle mid-cap, nel dettagli Imerys e Cementir” (titoli su cui puntare in Borsa). Nel suo report, Kepler Cheuvreux individuò tre fattori chiave che avrebbero implementato la redditività di Cementir (hanno stimato per l’intero anno un utile a 24,7 milioni dai 16,5 milioni di fine 2012). In primis, si leggeva ancora una volta, “il taglio dei costi in Italia, tramite l’arresto delle produzione di clinker nel sito di Arquata Scrivia (0,8 milioni di tonnellate) e nell’impianto di Taranto (1,3 milioni di tonnellate) a partire da gennaio 2014. Cementir bloccherà così il 52% della produzione italiana del componente base del cemento”.

Dunque, le avvisaglie c’erano tutte. Da tempo. E proprio negli ultimi giorni avevamo avuto la conferma che il futuro della Cementir non sarebbe stato più lo stesso e che i nostri sospetti fossero più che fondati. L’indizio era contenuto nel progetto di copertura del parco loppa dell’Ilva, annunciato dall’azienda lo scorso 26 novembre, nel quale si leggeva che “la copertura del parco avrà dimensioni di 280 metri di lunghezza, 98 metri di larghezza e un’altezza di circa 35 metri. Il deposito si estenderà quindi su una superficie di oltre 26.000 mq per una capacità di accumulo di 230.000 tonnellate”. Se si pensa che il cementificio ha sempre consumato tra le 800.000 e il milione di tonnellate di loppa all’anno e che l’azienda si era dichiarata disponibile a riceverne tra le 400mila e le 600mila all’anno a fronte del ridimensionamento produttivo dell’Ilva, il gioco è fatto.

Per chiudere in bellezza, nell’incontro di ieri ai sindacati la Cementir ha anche posto il problema dell’agibilità della banchina del porto di Taranto, la cui trattazione sara’ oggetto di un apposito incontro fissato per il giorno 14 con la locale Authority, e quindi “in conseguenza di tali valutazioni, anche gli investimenti infrastrutturali sono stati ulteriormente differiti” (la Cementir ha in concessione la calata 4 e un tratto del IV Sporgente di Levante, per un volume annuo di 4-500.000 tn di cemento movimentato). L’11 si svolgerà un’assemblea dei lavoratori Cementir “per concordare le prime iniziative di contrasto al declino produttivo verso cui e’ avviato lo stabilimento di Taranto” dichiarano i sindacati. Peccato che anche loro sanno molto bene che il declino di cui parlano, sarà inarrestabile. E non coinvolgerà soltanto la Cementir.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 07.12.2013)

 

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