Ilva, “l’enigma” delle sanzioni
TARANTO – Nel decreto approvato martedì dal Consiglio dei ministri sulle emergenze ambientali ed industriali contenente alcune norme per la “Terra dei fuochi”, una parte rilevante, l’intero art. 7, ha riguardato un nuovo intervento sull’Ilva (“Disposizioni urgenti per la tutela dell’ambiente, del lavoro e per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale”). Come già riportato ieri, il punto “F”, è quello che più ha fatto discutere: ovvero le sanzioni “previste dall’art. 1, comma 3, del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231”: la legge ‘salva-Ilva’ varata dal governo Monti.
Come riportato ieri infatti, il testo approvato martedì prevede che non ci sarà “nessuna sanzione speciale per atti o comportamenti imputabili alla gestione commissariale dell’Ilva se vengono rispettate le prescrizioni dei piani ambientale e industriale, nonché la progressiva attuazione dell’Aia”. Per essere ancora più chiari, il governo ha chiarito che “la progressiva adozione delle misure” è intesa nel senso che la stessa è rispettata se la qualità dell’aria nella zona esterna allo stabilimento “non abbia registrato un peggioramento rispetto alla data di inizio della gestione commissariale” e se “alla data di approvazione del piano, siano stati avviati gli interventi necessari ad ottemperare ad almeno il 70% del numero complessivo delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni integrate ambientali, ferma restando la non applicazione dei termini previsti dalle predette autorizzazioni e prescrizioni”.
Dunque, ciò che conta sarà “dimostrare” di aver avviato il 70% degli interventi, senza priorità alcuna sull’importanza degli stessi e sull’effettiva conclusione. Tanto, c’è sempre l’ipotesi del fallimento dietro l’angolo, prevista dalla legge 89 del 4 agosto. Inoltre, le sanzioni riferite ad atti imputabili alla gestione precedente al commissariamento, ricadranno sulle “persone fisiche che abbiano posto in essere gli atti o comportamenti”, sempre i Riva, e non saranno poste a carico dell’impresa commissariata “per tutta la durata del commissariamento”: dunque, nel caso l’azienda ritorni al gruppo lombardo, saranno i Riva a farsene carico. Il che, come ribadito nelle scorse settimane, una sua logica ce l’ha.
Ciò detto, il problema delle sanzioni non lo scopriamo di certo oggi. Tra l’altro, la vera domanda da porsi è la seguente: come mai a fronte delle accertate violazioni registrate dai tecnici dell’ISPRA nelle ispezioni effettuate nei mesi di marzo e maggio scorsi, sia il ministero dell’Ambiente che il Prefetto di Taranto non hanno emesso le sanzioni previste dalla legge 231/2012 (ricordiamo che le sanzioni possono arrivare ad ammontare sino al 10% del fatturato aziendale)?
Dell’argomento ce ne occupammo in tempi non sospetti: esattamente lo scorso 3 giugno, all’alba del decreto legge sul commissariamento. Secondo quanto stabilito dalla legge 231/2012, per poter avviare il procedimento sanzionatorio, c’è bisogno del rapporto dell’ISPRA (organo di vigilanza). Documento che va redatto nel rispetto della legge 689 del 1981, con “la prova della contestazione e dell’avvenuta notifica all’azienda”. Questo perché se è vero che la legge 231 affida al Prefetto il compito di applicare la sanzione, è altrettanto vero che prima di arrivare a ciò è necessario espletare a monte tutto un procedimento burocratico.
La prima tappa è l’invio del rapporto dell’ISPRA alla Prefettura con l’attestazione che la contestazione formale delle inadempienze è stata fatta anche all’azienda. A seguire, si mette in moto la fase istruttoria, prevista appunto dalla legge 689. Attenzione, però. Perché il richiamo a questa legge, non è per nulla casuale: visto che la stessa prevede che vi sia un contraddittorio e quindi la possibilità che “i rappresentanti dell’impresa siano ascoltati e possano fornire materiali e documenti in merito agli aspetti specifici loro contestati”. Un procedimento che la stessa Prefettura mesi addietro ha definito, usando il solito linguaggio politichese delle nostre istituzioni, “complesso ma ineludibile” in quanto regolato dalla legge. In pratica prima che arrivi l’eventuale sanzioni possono anche passare svariati mesi.
Ma la storia non finisce qui. Perché la diffida, non corrisponde assolutamente all’erogazione della multa nei confronti dell’azienda. Proprio per il richiamo alla legge 689 che prevede il contradditorio. Basta guardare cosa è accaduto per la “diffida per inosservanza delle prescrizioni autorizzative – nota ISPRA n. 12806 del 21/3/2013” in relazione all’ispezione svolta nei giorni 5-6-7 marzo. Con note del 26 e 27 marzo 2013, la Direzione generale per le valutazioni ambientali del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha diffidato – ai sensi dell’art. 29-decies, comma 9, del D.Lgs n. 152/06 e s.m.i. – l’Ilva S.p.A. “ad effettuare quanto richiesto dalla Autorità di controllo (nota ISPRA n. 12806 del 21 marzo 2013) nei tempi dalla stessa indicati e a comunicare successivamente quanto messo in atto”.
La Direzione Generale ricordava inoltre all’Ilva che le azioni da intraprendere “dovranno essere volte alla eliminazione nel più breve tempo possibile delle non conformità riscontrate e che la documentazione richiesta dovrà pervenire contestualmente a quella già richiesta con nota n. DVA-2013-7040 del 21 marzo 2013”. A quel punto partiva un fitto carteggio tra ISPRA ed Ilva, che si concludeva con la trasmissione della diffida al Prefetto lo scorso 11 giugno. Stesso discorso è accaduto dopo l’ispezione effettuata nei giorni 28-29-30 maggio. E su molte prescrizioni, leggendo i vari verbali dell’ISPRA, la diffida è venuta meno.Grazie anche alle deroghe richieste dall’Ilva e accettate dalla commissione IPPC.
Poi, però, è arrivato il 4 giugno è arrivato il commissariamento. E con esso il piano redatto dai tre esperti che ha rimodulato la tempistica dell’attuazione delle prescrizioni AIA. A proposito: nel decreto varato martedì, è previsto che lo stesso venga approvato entro e non oltre il 28 febbraio 2014. Che non sarà il termine ultimo, in quanto nel testo del decreto si legge che “il ministro dell’ambiente, al fine della formulazione della proposta acquisisce, sulla proposta del comitato di esperti il parere del Commissario straordinario e quello della Regione competente, che sono resi entro sette giorni dalla richiesta, decorsi i quali la proposta del Ministro può essere formulata anche senza i pareri richiesti.
La proposta del Ministro dell’ambiente è formulata entro quindici giorni dalla richiesta dei pareri e comunque non oltre quarantacinque giorni dal ricevimento della proposta del comitato di esperti. Il piano è approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, formulata entro quindici giorni dalla presentazione del piano”. Calcoli alla mano, arriviamo al 30 aprile 2014. Soltanto dopo quella data, dunque, sarà possibile, forse, prendere visione del piano industriale di Bondi. Che per legge deve “seguire” il piano ambientale. e, “guarda caso”, proprio ad aprile scadrà l’accordo per l’estensione dei contratti di solidarietà degli 11.431 lavoratori dell’Ilva. Altro che sanzioni.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 05.12.2013)