Ciò detto, non si può far finta di ignorare che il 77% dei 9.187 degli operai, ha effettuato una scelta di continuità con il recente passato: essere rappresentato da Uilm Uil (risultata prima con il 48,80% dei consensi pari a 41 seggi) e Fim Cisl (che ha ottenuto il 28,57% pari a 24 seggi), da sempre le due sigle sindacali più “vicine” alla proprietà e che hanno più volte manifestato e protestato contro le decisione intraprese dalla magistratura tarantina nell’inchiesta sul siderurgico. Del resto, chi conosce un minimo la storia sindacale del siderurgico, non può far finta di non sapere che Uilm e Fim da sempre vantano un forte potere “contrattuale” all’interno dell’Ilva, con tutto quello che ciò può comportare in termini di nuove assunzioni, mantenimento del posto di lavoro, ferie e permessi premio. Certo è che appare alquanto rischioso, almeno a nostro modo di vedere, affidarsi a sigle sindacali che plaudono un giorno sì e l’altro pure ai vuoti annunci di Bondi e di Ronchi, così come ai vari interventi dello Stato per “risolvere” la querelle dell’Ilva (come i due interventi legislativi del dicembre 2012 e dello scorso agosto, ed il prossimo imminente provvedimento che il Governo si appresta a varare).
Così come è del tutto evidente che sulla gran parte degli operai non hanno avuto alcun peso, almeno non decisivo, quanto hanno raccontanto alcuni capitoli dell’inchiesta Ilva, specie quelli riguardanti “Ambiente Svenduto”, dove soprattutto Uilm e Fim, insieme alla Fiom, non hanno fatto una “gran figura” nella gestione del circolo “Vaccarella”. Per non parlare della quanto mai inopportuna e costante frequentazione telefonica dell’attuale segretario generale della Fim Cisl Daniela Fumarola, con l’ex responsabile delle relaizoni esterne dellIlva, Girolamo Archinà. Ma come si suol dire in questi casi, “chi è artefice del suo mal, pianga se stesso”. Indubbiamente, chi esce con le ossa rotte dalle votazioni, è la Fiom Cgil. Che è passata dalle 3.063 preferenze del 2010 alle 1.389 di quest’ultima tornata elettorale, ottenendo un risicato 8,39%. Diversi i motivi che hanno portato a questa debacle. E che hanno favorito l’exploit dell’USB (1.837 voti pari al 14,28% e 12 seggi ottenuti), nata in Ilva un anno fa ma in grado di conquistare con le sue battaglie la fiducia di centinaia di lavoratori.
Certamente, a Taranto e soprattutto nell’Ilva, la Fiom Cgil ha recitato un ruolo molto diverso rispetto a quello vissuto in altre realtà industriali italiane: su tutte, ad esempio, la Fiat. Per anni, il sindacato storicamente più vicino ai lavoratori, ha recitato dentro e fuori il siderurgico un ruolo alquanto ambiguo. Se da un lato si è sempre dichiarato parte civile nei processi che vedevano parte lesa operai deceduti sul lavoro o per malattie professionali (fornendo spesso e volentieri alle famiglie anche supporto e assistenza legale), dall’altro è completamente mancato nelle battaglie sindacali interne al siderurgico e nel processo di controllo sullo stato degli impianti dell’area a caldo, oltre che del rispetto dei tanti atti d’intesa sottoscritti negli anni e quindi nella tutela della salute dei lavoratori.
Così come non può non aver avuto un peso l’essersi schierati con azienda e Confindustria nel ricorso al TAR di Lecce avverso il referendum consultivo sul siderurgico a cui è stata chiamata la popolazione tarantina. O l’aver appoggiato il gruppo Riva nella sponsorizzazione del miliardo di euro investito per “ambientalizzare” la fabbrica dal 1995 ad oggi. O l’aver sostenuto a spada tratta la possibilità di un’attuale e futura “eco-compatibilità” dell’Ilva. Probabilmente la Fiom e la Cgil hanno perso di vista il fatto che gli operai sono prima di tutto cittadini. E che quella fabbrica e quegli impianti li vivono quotidianamente e li conoscono come le loro tasche. Del resto non può essere un caso, e certamente non lo è, se la maggioranza degli operai che hanno aderito al comitato cittadino dei “Liberi e Pensanti” e di coloro i quali hanno infoltito le fila dell’USB nell’ultimo anno, provengono quasi tutti dalla Fiom Cgil e che molti di loro all’interno del sindacato avevano ruoli di primissimo piano (basti pensare che soltanto nel gennaio del 2012, 400 iscritti e 6 Rsu andarono via e che sino a 4-5 anni fa all’interno dell’Ilva la Fiom contava 2300-2400 iscritti).
E certamente non è bastato per limitare i danni, iniziare la tanto rivendicata “pulizia interna” (leggi “cacciata” dell’ex segretario Franco Fiusco) o il proporre, rassegnando le dimissioni dal Cda, di restituire il circolo “Vaccarella” agli operai conferendo loro anche la gestione dello stesso. Ancora oggi, all’interno della Fiom, quelli che si espongono di più e che vorrebbero una politica diversa all’interno del siderurgico vengono marginalizzati. Tutte queste cose alla Fiom le sanno molto bene: non è un caso se all’indomani del verdetto elettorale, il segretario nazionale della Fiom Cgil, Rosario Rappa, ha dichiarato che “per quanto abbiano pesato negativamente irregolarità e gravi scorrettezze nelle elezioni, è necessario che la Fiom avvii un’ampia riflessione a tutti i livelli dell’organizzazione, dagli organismi nazionali a quelli territoriali, coinvolgendo i delegati eletti e gli iscritti, aprendo una fase di profonda discussione sia nel rapporto con la fabbrica e i lavoratori, sia con la città e la sua popolazione”. L’unico problema è che forse oggi è davvero troppo tardi.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 02.12.2013)
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