Come riportato già ieri, il nuovo provvedimento (che pare non sarà un nuovo decreto ad hoc) interverrà a gamba tesa su alcune questioni ritenute fondamentali da Bondi e Ronchi per proseguire nel processo di “risanamento” dell’Ilva. Per quanto riguarda i parchi minerali primari ad esempio, è stato trovato il modo per far sì che non impattino come indici urbanistici sul vigente piano regolatore di Taranto (l’elevata altezza della struttura prevista per la copertura, 80 metri, aveva già messo in allarme più di qualcuno). E’ stato infatti deciso che le coperture dei parchi saranno considerate come “volumi tecnici” e non urbanistici: volumi tecnici, si specifica, funzionali alle attività industriali che necessitano di risanamento ambientale. In questo modo, non sarà necessario mettere in cantiere la variante del piano regolatore di Taranto.
Inoltre, con lo stesso provvedimento, sarà previsto che i tempi di rilascio della Valutazione di impatto ambientale passino da 180 a 90 giorni mentre i tempi di istruttoria per l’assoggettabilità o meno degli interventi alla VIA passino da 120 a 45 giorni. In particolare, per la Valutazione di impatto ambientale che andrà rilasciata per la copertura dei parchi minerali grandi, i tempi sono stati “compattati” da 120 a 90 giorni. Il provvedimento prevede inoltre che nei casi di maggiore criticità, il ministero dell’Ambiente convochi la conferenza dei servizi per lo sblocco delle autorizzazioni: in pratica, la Conferenza dei servizi del SUAP del Comune di Taranto rischia di essere inglobata da quella presso il ministero dell’Ambiente se si dovessero creare intoppi “burocratici”. Il ministero dell’Ambiente ha peraltro escluso per la copertura dei parchi minerali secondari, l’assoggettabilità alla VIA chiesta invece dal Comune di Taranto. In pratica ha vinto Ronchi.
Il problema però, restano sempre i soldi. Non è un caso se martedì l’azienda ha presentato ai sindacati metalmeccanici soltanto le fotografie del progetto di copertura dei parchi minerali primari, non potendo però dimostrare di essere in grado di garantire la copertura finanziaria per lo stesso. Non è un caso se da più parti sia stato invocato l’intervento della Cassa Depositi e Prestiti (che gestisce il risparmio postale dei cittadini italiani, ben 240 miliardi di euro che sono stati depositati in libretti di risparmio o investiti in buoni fruttiferi postali). E nello stesso tempo sia stato chiesto che i 2 miliardi sequestrati dalla Procura di Milano al gruppo Riva nell’ambito dell’inchiesta per frode fiscale, siano usati come garanzia per le banche affinché le stesse chiudano l’accordo con il commissario Bondi (che ha già messo sul piatto della trattativa le azioni delle varie società controllare dall’Ilva Spa) per la concessione del prestito di 2,4 miliardi di euro.
Se non si chiude questo circolo vizioso, non ci sono i soldi per finanziare il Piano di lavoro redatto dai tre esperti: motivo per cui il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando non può dare l’ok per decreto allo stesso. Mancando i soldi per finanziare il piano ambientale (che devono per forza arrivare dalle banche, dalla Cassa Depositi e Prestiti ed in ultimo dalla Banca Europea degli Investimenti attraverso il Piano dell’Acciaio redatto nel giugno scorso), è chiaro che a ruota il piano industriale non ha alcun senso di esistere, visto che lo stesso dovrà chiarire il futuro produttivo dell’Ilva per i prossimi anni (che come abbiamo visto in questi giorni, leggendo le dimensioni delle coperture dei volumi dei parchi primari e secondari, è destinato a subire un radicale quanto drastico ridimensionamento). Ad occhio e croce, pare si siano leggermente incartati.
Gianmario Leone (TarantOggi, 27.11.2013)
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