Ilva, Ronchi grida al fallimento
TARANTO – E’ domani il giorno indicato dal Governo per varare il nuovo provvedimento sull’Ilva che dovrà “accelerare le procedure istruttorie e autorizzative connesse ai lavori dell’AIA”. A quanto si è appreso non sarà un decreto legge ad hoc. Il provvedimento entrerà invece a far parte di un non meglio precisato “testo più complessivo”. Ma al di là di ciò, gli escamotage principali sono stati già individuati. Per quanto riguarda i parchi minerali primari ad esempio, è stato trovato il modo per far sì che non impattino come indici urbanistici sul vigente piano regolatore di Taranto (l’elevata altezza della struttura prevista per la copertura, 80 metri, aveva già messo in allarme.
E’ stato infatti deciso che le coperture dei parchi saranno considerate come “volumi tecnici” e non urbanistici. Volumi tecnici, si specifica, funzionali alle attività industriali che necessitano di risanamento ambientale. In questo modo, non sarà necessario mettere in cantiere la variante del piano regolatore di Taranto. Perché? Ora ve lo spieghiamo. Per definizione, i volumi tecnici sono quei volumi non impiegabili né adattabili ad uso abitativo, perché strettamente necessari a contenere quelle parti degli impianti tecnici che non possono, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione all’interno delle parti abitabili dell’edificio, realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche. In sintesi, ogni volume che non si inserisce organicamente nel volume complessivo dell’edificio, ma risulta sovrapposto o talvolta compenetrato ad esso, per esigenze tecniche, può essere considerato un volume tecnico.
Più precisamente la giurisprudenza amministrativa, considera volumi tecnici “quelli che per funzione e dimensione si pongono rispetto alla costruzione come elementi tecnici essenziali per l’utilizzazione della stessa e non ricomprendono quindi quelli suscettibili di assolvere a funzioni complementari. In sostanza, i volumi tecnici hanno un carattere di stretta e necessaria strumentalità con l’utilizzo della costruzione e non possono essere ubicati all’interno della parte abitativa” (Cons. Stato 16 settembre 2004, n. 6038). Inoltre, con lo stesso provvedimento, sarà previsto che i tempi di rilascio della Valutazione di impatto ambientale passino da 180 a 90 giorni mentre i tempi di istruttoria per l’assoggettabilità o meno degli interventi alla VIA passino da 120 a 45 giorni. In particolare, per la Valutazione di impatto ambientale che andrà rilasciata per la copertura dei parchi minerali grandi, i tempi sono stati “compattati” da 120 a 90 giorni.
Il provvedimento prevede inoltre che nei casi di maggiore criticità, il ministero dell’Ambiente convochi la conferenza dei servizi per lo sblocco delle autorizzazioni: in pratica, la Conferenza dei servizi del SUAP del Comune di Taranto rischia di essere inglobata da quella presso il ministero dell’Ambiente se si dovessero creare intoppi “burocratici”. Il ministero dell’Ambiente ha peraltro escluso per la copertura dei parchi minerali secondari, l’assoggettabilità alla VIA chiesta invece dal Comune di Taranto. In pratica ha vinto Ronchi. Rispunta l’idea della Cassa Depositi e Prestiti. E proprio Edo Ronchi ieri ha tirato fuori la vera realtà in cui versa l’Ilva.
Lo stesso ha infatti dichiarato che “portare avanti il piano di risanamento ambientale dell’Ilva senza alcun intervento pubblico e senza mobilitare il patrimonio sequestrato alla proprietà è un’impresa molto difficile, e credo si debba dire che è molto rischiosa se non c’è la capacità di un provvedimento urgente che metta a disposizione anche le risorse”. “Siamo nei guai, guai seri” ha dichiarato Ronchi. Come riportato nei giorni scorsi infatti, obietto di Bondi e Ronchi è mettere le mani sui 1,9 miliardi sequestrati nei mesi scorsi al gruppo Riva da parte della Procura di Milano per frode fiscale, che però sono confluiti nel fondo giustizia e che comunque fanno parte di un’inchiesta che deve vedere ancora aprirsi il processo.
Senza troppi giri di parole, Ronchi ha ammesso che “il sistema rischia di af rontare il rischio di fallimento o di gravi dif icoltà. Occorre produrre uno sforzo finanziario minimo di 2 miliardi”: ma Bondi non aveva assicurato che sarebbero bastati gli 1,8 miliardi da lui indicati lo scorso luglio? Sarà. Intanto, l’intervento “pubblico” caldeggiato ieri anche dalla Fiom, dovrebbe arrivare dalla Cassa Depositi e Prestiti. Di questa eventualità scrivemmo per la prima volta nel novembre del 2012. La CDP S.p.A. è una società per azioni finanziaria italiana, partecipata per il 70% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e per il 30% da fondazioni bancarie. È stata costituita nell’attuale forma giuridica di società per azioni il 12 dicembre 2003, in applicazione del D.L. 30 settembre 2003 N. 269. L’attività della società si articola in due distinti rami di azienda. Il primo, denominato “gestione separata”, gestisce il finanziamento degli investimenti statali e di altri enti pubblici, quali regioni, altri enti locali e comunque strutture afferenti allo Stato, utilizzando quale fonte principale di provvista la raccolta del risparmio postale. Il secondo, denominato “gestione ordinaria”, si occupa del finanziamento di opere, di impianti, di reti e di dotazioni destinati alla fornitura di servizi pubblici e alle bonifiche.
Per far fronte a questa attività la Cassa depositi e prestiti provvede attraverso l’assunzione di finanziamenti e l’emissione di titoli, in particolare obbligazioni. Sin qui tutto chiaro, vero? Peccato che la Cdp utilizzi i nostri soldi il risparmio postale dei cittadini italiani, ben 240 miliardi di euro che sono stati depositati in libretti di risparmio o investiti in buoni fruttiferi postali, a sostegno di operazioni finanziarie. In totale, la Cdp detiene circa il 14% del risparmio nazionale. Negli anni si è trasformata in una vera e propria holding: basti pensare che lo scorso 20 marzo è stato approvato l’esercizio di bilancio 2012 con un utile in crescita del 77% a 2.853 milioni di euro. In piena crisi economica. La Cdp ha messo le mani su aziende importanti, tra cui società quotate in Borsa da Eni a Terna, passando per Snam le cui azioni sono statetrasferite alla Cassa dal ministero del Tesoro.
E’ infatti il ministero del Tesoro a detenere oltre l’80% delle azioni. “Prestare” all’Ilva Spa i risparmi depositati sui libretti postali o investiti in buoni fruttiferi è un abominio. Senza dimenticare gli aiuti economici previsti dal piano Ue sulla siderurgia approvato lo scorso 11 giugno, in cui sono previsti anche i finanziamenti della BEI (Banca Europea degli Investimenti) che già nel 2010 assegnò un prestito al gruppo Riva di ben 400 milioni di euro. Sì, avete intuito bene: siamo alla follia pura. “La follia sta nel fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi” (Albert Einstein, Ulma, 14 marzo 1879 Princeton, 18 aprile 1955).
Gianmario Leone (TarantoOggi, 27.11.2013)