Perché un nuovo provvedimento? Perché al di là del Piano di lavoro redatto dai tre esperti lo scorso 10 ottobre, che attende di essere approvato tramite apposito decreto a firma del ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, i procedimenti burocratici previsti dalla legge stanno andando troppo per le lunghe rispetto alla tabella di marcia prevista da Bondi e Ronchi. I quali hanno deciso di forzare la mano: o si fa come dicono loro, oppure rassegneranno le dimissioni dai loro incarichi e “buonanotte ai suonatori”.
Del resto, il piano industriale già redatto da Bondi, per diventare operativo attende soltanto l’erogazione del credito finanziario delle banche, che però dal canto loro vogliono garanzie assolute sul fatto che le risorse finanziarie vengano utilizzate per degli interventi reali e non soltanto immaginari (ed è bene tenere a mente che sul piatto della trattativa Bondi ha messo i beni materiali delle società controllate dall’Ilva Spa come Taranto Energia, Ilva Servizi Marittimi, Ilvaform, Innse ed altre società, di cui è entrato in possesso grazie all’art. 12 approvato nella legge sulla Pubblica amministrazione dello scorso 30 ottobre).
VIA o non VIA?
E per far sì che gli interventi previsti dal Piano di lavoro dei tre esperti, che sostanzialmente sono andati semplicemente a rimodulare la tempistica degli stessi, si possano effettivamente realizzare, bisogna passare dalle “foche caudine” della Conferenza dei Serivizi del SUAP del Comune di Taranto, che dovrà rilasciare i permessi edilizi per gli interventi giudicati “prioritari” da Procura, custodi giudiziari e dalla stessa AIA: ovvero la copertura dei parchi minerali, primari e secondari.
Il problema è che già lo scorso settembre fu lo stesso ministero dell’Ambiente a comunicare l’oggettiva impossibilità del Comune di Taranto a rilasciare la concessione edilizia in assenza di un apposito parere di VIA ministeriale. Il punto in questione è infatti decidere se gli interventi previsti siano o meno da assoggettare ad una VIA: ipotesi che lo stesso Ronchi ha già dichiarato essere inutile per la realizzazione delle coperture dei parchi secondari.
La versione ufficiale proveniente da Roma è sempre la stessa: il tutto verrebbe fatto unicamente “per cercare di velocizzare gli interventi di ammodernamento previsti dall’AIA in tutta l’area a caldo dello stabilimento (parchi minerali, agglomerato, cokerie, altiforni e acciaieria) che sono già in ritardo sui tempi previsti”. Ma come abbiamo già avuto modo di scrivere nei mesi scorsi su queste colonne, in realtà l’idea alla quale si sta lavorando è molto più semplice: nominare il sub commissario Edo Ronchi responsabile del procedimento della Conferenza dei Servizi, in modo tale da trasformarlo nell’unico responsabile dell’attuazione delle prescrizioni AIA.
Stante così le cose, la nuova norma è pressoché scontata: per il semplice fatto che essa servirebbe ad aggirare nuovamente le leggi in vigore. Le “Indicazioni operative per la procedura di verifica di assoggettabilità alla VIA” infatti, sono regolate dall’art. 20 del Decreto Lgs. 152/2006 e la finalità di questo procedimento è “accertare se un progetto debba o meno essere assoggettato alla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale”. L’ambito di applicazione riguarda i progetti per “lo sviluppo ed il collaudo di nuovi metodi o prodotti inerenti modifiche o estensioni di progetti già esistenti” e soprattutto quelli che possono “produrre impatti significativi e negativi sull’ambiente”. Non solo. Perché questa procedura, oltre a prevedere il coinvolgimento di vari enti (Ministero dell’Ambiente, Regione/i, Provincia/e, Comune/i ove il progetto è localizzato), prevede anche e soprattutto quello del pubblico “che è informato dell’avvio della procedura e può consultare la documentazione tecnica a corredo dell’istanza oltre a presentare osservazioni al progetto entro 45 giorni dalla pubblicazione dell’avviso sulla Gazzetta Ufficiale”.
Insomma, i tempi si allungherebbero ancora (non bisogna dimenticare tra le tante altre cose che a breve scadranno i due mesi di tempo che l’Italia ha per dimostrare alla Commissione Ue che sull’Ilva ha iniziato a “lavorare”, con la messa in mora che assumerebbe sempre più i contorni di un’infrazione la cui multa sarebbe comunque pagata con i soldi dei cittadini italiani). Ecco perché intervenire nuovamente a gamba tesa eliminerebbe in un sol colpo qualunque “fastidio” sul percorso tracciato da Bondi e Ronchi. Tra l’altro, la fretta dei due è dettata anche da un altro fattore di non poco conto: ovvero il fatto che l’Ilva va incontro ad un importante ridimensionamento da un punto di vista produttivo e quindi di forza lavoro. Ridimensionamento che non sarà una fase di passaggio: ma un qualcosa di definitivo (cosa che peraltro sosteniamo inascoltati da anni).
Il bluff della copertura dei parchi primari
Tecnicamente, come spiegammo mesi addietro, vuol dire che si riduce significativamente il peso delle immobilizzazioni e del magazzino e questo vuol dire non avere più bisogno di parchi minerali immensi: e quindi, non coprirli, almeno non totalmente, come invece previsto dall’AIA. Del resto, se già oggi la produzione Ilva si attesa sui 6 milioni di tonnellate (a fronte delle 8-9 prodotte negli anni scorsi), con la produzione che andrà ulteriormente a diminuire, appare chiaro che non servirà la stessa di quantità di minerale: dunque, si utilizzerà soltanto una parte dell’area parchi, e se ne coprirà quella necessaria. Se totalmente o meno, non è dato sapere. Ma già oggi possiamo affermare che “spifferi” industriali provenienti dal Nord parlano di una copertura non totale. Ammesso e non concesso che il progetto della Cimolai ottenga l’ok da parte del Comune di Taranto. Visto che, stante l’altezza della struttura prevista in 80 metri circa, c’è chi ha avanzato anche l’ipotesi che si possa essere costretti ad una variante urbanista del piano regolatore. Ecco perché serve con urgenza l’ennesimo aiuto da Roma.
Quanto meno ieri è stato deciso di non far entrare nella prossima norma, un nuovo braccio di ferro con la magistratura tarantina per quanto attiene lo sblocco delle risorse richieste da Bondi (istanza respinta dal gip Todisco poche settimane fa): parliamo di appena 233mila euro. L’intenzione però, non si sa quanto velleitaria e veritiera, pare essere un’altra: ovvero quella di provare ad avviare un confronto con la Procura per svincolare le somme sequestrate dall’autorità giudiziaria al gruppo Riva per finalizzarle al risanamento dell’Ilva, materia peraltro già regolata dalla legge 89 del 2013 sul commissariamento. Ma questa strada appare essere chiusa da sempre. Questa mattina infine, al ministero dell’Ambiente si svolgerà nuova riunione per lavorare sui testi del provvedimento. Sia come sia questa storia è destinata a terminare il suo tragitto su una strada morta. E la sensazione sempre più viva in noi è che quel giorno ci troveremo con un pugno di mosche in mano. Ancora una volta.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 21.11.2013)
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