Dalla diossina alla canapa, terra bruciata in attesa di riscatto – La sfida della masseria Fornaro
TARANTO – Da vittima dell’inquinamento a simbolo della rinascita. Questo è l’auspicio. Dopo anni di tribolazioni, la masseria Fornaro è pronta ad imbarcarsi in una nuova avventura. “Stiamo avviando un progetto che prevede la coltivazione della canapa – racconta Vincenzo Fornaro a InchiostroVerde – partiremo a marzo 2014. Il primo raccolto verrà fatto tra circa un anno. Ovviamente è tutto legale: basta fare una denuncia alla più vicina caserma delle forze dell’ordine, nel nostro caso i carabinieri, e mantenere il valore di thc (principio attivo della cannabis) al 2%. La seconda fase è quella più importante: prevede la realizzazione di impianti per la trasformazione della canapa direttamente in masseria in modo da avviare una filiera. Il nostro sogno è quello di riuscire ad ottenere un marchio doc per la canapa tarantina”. Un sogno che viene cullato dopo aver vissuto un vero e proprio incubo.
Nella memoria di Vincenzo è ancora vivo il ricordo delle sue pecore ammassate sui camion, destinate ad essere abbattute in un macello di Conversano (Bari) perché contaminate da diossina e pcb. Sono ancora nitidi i frammenti di quella triste giornata: gli ultimi belati degli animali condannati al massacro, le lacrime versate dai presenti (compresi i veterinari della Asl), il suono dei campanacci delle pecore più adulte, quelle che guidavano il gregge. «La notte eravamo abituati ad addormentarci con quel suono – ci raccontò Vincenzo un anno fa, durante una visita alla masseria – abbiamo deciso di tenere un campanaccio appeso qui, all’ingresso. Adesso solo il vento può farlo risuonare».
Erano circa 600 le pecore della famiglia Fornaro. La loro esecuzione fu decisa con un’ordinanza emessa dal Servizio Veterinario della Regione il 4 dicembre 2008, in seguito ad un’attività di monitoraggio che aveva fatto emergere valori fuori norma per diossine e pcb. Una scelta paradossale quella compiuta dalle istituzioni: sopprimere le vittime della contaminazione piuttosto che bloccare le fonti inquinanti. Il divieto di pascolo tuttora vigente nel raggio di 20 km dalla zona industriale è un macigno che pesa sul presente e sul futuro. «Ciò significa che non possiamo riprendere l’attività di allevamento che per quattro generazioni è stata fonte di reddito», ci disse Vincenzo in quella vecchia intervista.
Da allora, però, qualcosa è cambiato. L’imperativo è reinventarsi. Gli ovili restano vuoti, ma la terra comincia a rianimarsi con il progetto presentato una settimana fa. “La canapa ha diversi usi: tessile, alimentare, farmaceutico. Noi siamo orientati verso la produzione tessile – ci dice oggi Vincenzo – inoltre la canapa è anche un disinquinante. Effettueremo delle analisi del terreno prima della semina e dopo il raccolto proprio per confrontare la quantità di inquinanti assorbiti”.
E così il circolo sembra chiudersi: dopo aver subito per decenni gli inquinanti del siderurgico, la famiglia Fornaro trova come alleato un disinquinante per tentare un nuovo inizio. Certo, le ciminiere dell’Ilva restano sullo sfondo, pistole ancora fumanti puntate sulle tempie della città, ma la voglia di rimettersi in gioco ha scalzato via la rassegnazione. Quella dei Fornaro è terra bruciata in attesa di riscatto.
Alessandra Congedo
Per saperne di più: http://www.canapuglia.it/