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“Alta capacità di inquinare” – La Cassazione su Emilio Riva e Luigi Capogrosso

TARANTO – Per la Cassazione, il patron dell’Ilva Emilio Riva e il direttore dell’acciaieria di Taranto Luigi Capogrosso – liberi dallo scorso luglio per decorrenza dei termini dopo un anno agli arresti – sono pericolosi, quanto al rischio di inquinamento probatorio che la Suprema Corte ritiene ancora attuale, perché hanno cercato di coprire i reati contestati con “artifici”, “strumentalizzando a tal fine anche le istituzioni religiose” facendo comparire nelle scritture contabili somme destinate alla diocesi senza dimostrarne l’effettiva consegna all’arcivescovo.

Lo scrivono i supremi giudici nelle motivazioni depositate ieri, di conferma della custodia cautelare come stabilito dal Tribunale del riesame di Taranto lo scorso 14 dicembre, e relative all’udienza svoltasi il dieci giugno innanzi alla Prima sezione penale presieduta da Maria Cristina Siotto, che aveva respinto il ricorso contro le misure cautelari, presentati da Emilio Riva, dall’ex direttore generale dell’Ilva di Taranto, Luigi Capogrosso, e dall’ex dirigente per le relazioni esterne Girolamo Archinà che chiedevano l’annullamento dell’ordinanza del tribunale della libertà di Taranto del 14 dicembre dello scorso anno. Il gip Patrizia Todisco aveva infatti ottenuto gli arresti domiciliari per Emilio Riva e Capogrosso mentre aveva mandato in carcere Archinà con le accuse per associazioni per delinquere finalizzata alla commissione di più delitti contro la pubblica incolumità, tra i quali il danno ambientale, e delitti contro la pubblica amministrazione come corruzione, falsi e abuso di ufficio.

Ad avviso dei supremi giudici, correttamente il riesame ha affermato che “è tutt’altro che astratto” il rischio che Riva e Capogrosso “a fronte della imponente dimensione degli interessi implicati e delle gravissime conseguenze che deriverebbero loro dall’affermazione di responsabilità, facendo affidamento su una complessa rete di conoscenze a tutti i livelli, possano porre in essere iniziative tese ad avvicinare con finalità di subornare soggetti coinvolti”. “Né l’attualità di tale pericolo – scrive la Cassazione – può essere contraddetta dalla dimissioni dalle cariche degli indagati, circostanza che sotto tale profilo si palesa indifferente”. Secondo la Suprema Corte, inoltre, è confermato il rischio di recidiva per i precedenti penali e le pendenze giudiziarie dei due.

Per Capogrosso, ricorda la Cassazione, “risultano sette condanne definitive per violazione delle direttive CEE in materia di tutela della salute dei lavoratori e in materia di inquinamento dell’aria, danneggiamento aggravato, violenza privata tentata e continuata, frode processuale in concorso, omissione colposa delle difese contro gli infortuni sul lavoro, omicidio colposo ed altrettante pendenze giudiziarie per analoghe imputazioni”. Per l’ottantaseienne Riva risultano “oltre alla pendenza di sei procedimenti per i reati di omicidio colposo, estorsione, turbata libertà dell’industria, deturpamento e imbrattamento, getto pericoloso di cose, risultano due condanne irrevocabili per i reati di ci agli artt. 674 (getto pericoloso di cose) e 610 (violenza privata)”. Tutti questi precedenti, sottolinea ancora la Suprema Corte, diversamente da quanto sostenuto da Riva e Capogrosso, sono “elementi tutt’altro che neutri ai fini della complessiva valutazione della loro pericolosità”.

(TarantoOggi, 12.11.2013)

 

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