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Ilva, la colonizzazione del Nord prevista dall’AIA

TARANTO – Nonostante la nuova ed attesa bufera giudiziaria abbattutasi sulla sua “famiglia”, l’Ilva procede imperterrita la sua marcia. Segno evidente di come, come ripetiamo invano da oltre un anno, l’inchiesta mirabilmente portata avanti dalla magistratura tarantina non sarà la via d’uscita dal problema industriale (con la sua futura ed inevitabile dismissione) che questa città si trascina dietro da decenni.

Del resto, blindata da tempo da ben due leggi redatte ad hoc e su misura che ne hanno santificato l’attività produttiva, dopo che la scorsa settimana è arrivato l’ok per la costruzione di due discariche (una per rifiuti pericolosi e l’altra per rifiuti non pericolosi) in località Mater Gratiae grazie alla promulgazione in legge del decreto sulla Pubblica amministrazione nel cui testo l’intero art. 12 era dedicato all’Ilva (con l’estensone dei poteri del commissario Bondi anche alle controllate della società) e alla Riva Acciaio (con il ruolo del custode giudiziario Tagarelli trasformato da gestore dei conti a semplice controllore), adesso si attendono gli ultimi due tasselli: il decreto del ministro dell’Ambiente Andrea Orlando che approverà il piano di lavoro redatto dai tre esperti sulla rimodulazione dell’attuazione delle prescrizioni AIA e il piano industriale del commissario Bondi (atteso per la metà di questo mese, ma posticipato a fine mese se non addirittura agli inizi di dicembre).

Detto nella scorsa settimana del bluff attuato dall’azienda sulla ripartenza di AFO 2 (18.000 tonnellate di ghisa prodotte al giorno) senza che siano stati apportarti sull’impianto tutti i lavori di risanamento previsti dall’AIA (identico caso come riprotato su queste colonne ha riguardato l’acciaieria 1, i cui operai nel giro di una settimana sono stati vittime di ben due incidenti da intossicazione da fumi di monossido di carbonio), oggi torniamo ad affrontare il problema delle commesse dei lavori previsti dall’AIA affidate solo e soltanto alle ditte del Nord.

L’ultima riguarda quella affidata alla Pelfa di Buja (25 milioni di euro di fatturato nel 2012), azienda friulana, a cui l’Ilva ha assegnato la progettazione, costruzione e installazione di un impianto di captazione e abbattimento dei fumi e delle polveri che si generano nelle fasi di sversamento delle scorie dai contenitori (paiole) utilizzati per la fusione dei metalli. Valore della commessa: 3 milioni di euro. Gli interventi riguardano la prescrizione n. 16, “GRF (Gestione Rottami Ferrosi) area di scarico paiole: Copertura aree”, che prevede la copertura totale dell’area in questione. Ovviamente, l’azienda anche in questo caso è nettamente in ritardo rispetto al calendario previsto dall’AIA, che prevedeva l’attuazione della prescrizione già nell’ottobre dello scorso anno. Prevedeva, appunto. Perchè poi, grazie all’ennesima istanza di rimodulazione “non sostanziale” presentata dall’azienda e accolta dalla commissione IPPC, il termine ultimo è stato spostato a dicembre di quest’anno. Intanto però, la violazione della prescrizione fu notificata all’azienda da parte dell’ISPRA dopo l’ispezione avvenuta lo scorso maggio (ritardo evidenziato anche nel verbale dell’ultima verifica svoltasi nei giornoi 10 e 11 settembre).

L’offerta della Pelfa è stata preferita a quelle presentate dalle società Ekoplant, SMS, Siemens VAI. L’intervento della ditta di Buja dovrebbe consentire (il condizionale è d’obbligo), “un considerevole abbattimento degli agenti inquinanti liberati in atmosfera, visto che – contrariamente alla norma che vuole le scorie sversate direttamente all’aperto – l’impianto mobile realizzato permetterà di aspirare i fumi “in presa diretta” a ogni nuovo versamento”. Scendendo più nei dettagli, saranno costruite due unità di captazione mobili del peso di 150 tonnellate l’una e da unità di filtraggio da 600 mila metri cubi ora. Tutto ciò dovrebbe consentire di contenere i fumi in modo tale da avere emissioni in atmosfera inferiori a 5 milligrammi/metro cubo. I lavori dovrebbero concludersi all’inizio del nuovo anno con il montaggio dell’impianto. La stessa AIA infatti, prevede che queste coperture mobili vegnano collegate agli impianti di aspirazione e filtrazione fumi. Staremo a vedere.

Sia come sia, quanto su citato fa letteralmente a pugni con quanto invocato da tempo da più parti: ovvero che i lavori di risanamento degli impianti dell’Ilva e la bonifica delle aree esterne veda la partecipazione delle ditte tarantine (per non parlare dell’utilizzo degli stessi lavoratori Ilva in entrambe le mansioni). Del resto, l’ufficio acquisti dell’Ilva Spa continua ad avere la sua sede in quel di Milano. Ricordiamo, a tal proposito, quanto segnalammo nei mesi scorsi: la commessa da 2 milioni di euro per l’adeguamento di due macchine previsto dall’AIA affidata alla ditta Omev di Vado Ligure; le operazioni di spegnimento dell’altoforno 1 affidate alla Somin di Cologno al Serio; le attività di “discussione tecnica pompa Ksb impianto di desolforazione per valutazione tecnica non conformità ricambio installato” affidate alla ditta Ksb Service Italia Srl di Venezia; i lavori di carotaggio dell’area PIP di Statte affidati alla ditta “RCT” di Milano per una spesa di 400mila euro. Questi i casi sin qui scoperti dalla nostra testata. Per non parlare delle ditte interpellate dall’Ilva per fornire progetti e preventivi, nel cui elenco non figura una sola azienda locale. Questa è la realtà: il resto sono chiacchiere da bar o pettegolezzi da social network. Stiamo subendo una seconda colonizzazione nel silenzio generale.

 Gianmario Leone (TarantoOggi, 04.11.2013)

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