Ilva, Marsella e Zaccaria: due vite spezzate – Gli indagati per la loro morte
TARANTO – Claudio Marsella e Francesco Zaccaria. Due giovani operai, due vite spezzate. In questi giorni, i loro nomi sono tornati di attualità. Nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, nell’ambito dell’inchiesta “Ambiente Svenduto”, emergono le presunte responsabilità per entrambi gli incidenti mortali. Marsella, locomotorista, venne schiacciato tra un respingente e un carro nel reparto Movimento ferroviario il 30 ottobre del 2012. Le persone indagate per cooperazione in omicidio colposo sono tre: Adolfo Buffo, all’epoca direttore dello stabilimento Ilva, Antonio Colucci, capo area logistica operativa, e Cosimo Giovinazzi, capo del reparto movimento ferroviario.
Si parla di “imprudenza, negligenza e imperizia nonché di inosservanza di specifiche disposizioni per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”. I tre avrebbero omesso, ciascuno nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, di dotare i lavoratori di attrezzature idonee ed appropriate alle lavorazioni da svolgersi (come la mancata dotazione di staffe ferma-carro sui convogli ferroviari). Inoltre, avrebbero omesso di “vigilare sull’effettiva osservanza da parte dei lavoratori delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza sul lavoro” e “di prendere le misure necessarie affinché le attrezzature fossero utilizzate in conformità alle istruzioni di uso (nel caso di specie, mancata osservanza delle procedure operative del movimento ferroviario)”. Pertanto, “cagionavano il decesso di Marsella Claudio”.
L’altra vittima, Francesco Zaccaria, stava operando nella cabina di una gru nei pressi del molo, che venne investita da un tornado il 28 novembre 2012. Anche in questo caso, tra gli indagati per omicidio colposo figurano Buffo e Colucci, a cui si aggiungono il capo reparto Giuseppe Di Noi e l’ispettore di Arpa Puglia Giovanni Raffaelli, che avrebbe omesso di verificare una serie di mancanze. Scrivono i pm: “Il Buffo ometteva, in violazione agli obblighi specifici, di individuare le fonti di pericolo e di valutare utilmente i rischi specifici per la sicurezza dei lavoratori e, conseguentemente, ometteva di elaborare un efficace documento contenente la valutazione del rischio connesso ad avverse condizioni meteo e, parimenti, di predisporre idoneo piano di evacuazione ed emergenza da adottare in caso di pericolo ed emergenza dovuti a eventi meteorologici avversi”.
Inoltre, secondo i magistrati “la gru di banchina DM5 versava in pessimo stato di conservazione e non era stata sottoposta, pur essendo in esercizio dal 1974, ad adeguate e specifiche verifiche strutturali volte a valutarne l’effettiva efficienza”. La gru “presentava una differente conformazione del respingente di fine-corsa rispetto al progetto esistente”, “in ragione del mancato utilizzo del “fermo anti-uragano” , stante la totale omissione dell’attività di formazione, informazione e addestramento dei lavoratori, la cabina veniva trascinata sino all’impatto contro il fine-corsa “lato mare”. L’impatto violento provocava la torsione del fine-corsa della cabina e la conseguente apertura, con successiva caduta della cabina in mare così che l’operatore della gru (Zaccaria Francesco) precipitava da un’altezza di metri 60, in tal modo decedendo”. L’aggravante per tutti gli indagati e di “aver agito nonostante la previsione dell’evento”. Il corpo di Zaccaria venne ritrovato due giorni dopo l’incidente. Sepolto dal fango.
Alessandra Congedo