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L’Ilva finisce a Strasburgo – Il caso trattato dal TarantoOggi nel 2010

TARANTO – Corsi e ricorsi storici. La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo nella giornata di ieri ha reso noto di aver giudicato, in via preliminare, ricevibile il ricorso presentato dai familiari di Giuseppina Smaltini, deceduta di leucemia il 21 dicembre scorso. Nel ricorso presentato nel lontano 2009, i familiari sostenevano che la malattia della donna è stata causata dalle emissioni prodotte dall’Ilva. Nel comunicare al governo italiano la ricezione del ricorso, la Corte di Strasburgo ha chiesto a Roma di dimostrare di “aver fatto quanto doveva e poteva per accertare che non ci fosse alcun nesso tra le emissioni della fabbrica siderurgica e la leucemia che ha ucciso Giuseppina Smaltini”.

La donna, ammalatasi nel 2006, presentò poco dopo una denuncia alla procura di Taranto contro il siderurgico le cui emissioni erano ritenute responsabili della malattia. Ma la Procura rigettò il ricorso ben due volte (la prima il 21 novembre del 2007, la seconda il 10 dicembre del 2008) ritenendo le prove di un nesso tra emissioni e malattia insufficienti. Secondo il marito e i due figli della Smaltini però, le indagini della Procura non furono condotte adeguatamente. Inoltre, nel ricorso venne sostenuto che essendoci invece un nesso tra le emissioni dell’Ilva e il tasso di malati di cancro a Taranto, lo Stato italiano violò il diritto alla vita di Giuseppina Smaltini. I giudici di Strasburgo vogliono quindi ora sapere “quali dati avesse a disposizione la magistratura di Taranto quando esaminò la denuncia e se le indagini sono state condotte con la dovuta attenzione”. Inoltre la Corte chiede se lo Stato “abbia fatto tutto quanto in suo potere per proteggere la salute” e quindi la vita della donna.

Perché corsi e ricorsi storici? Perché nel lontano ottobre del 2010, questo giornale pubblicò un’inchiesta dal titolo “Le vite degli altri. Storie di ordinaria malattia”, proprio sulla vicenda della sig.ra Smaltini. Ne scrivemmo precisamente il 25 e il 26 ottobre, con e grazie al fondamentale ausilio del comitato “Taranto libera” oggi “Legamjonici contro l’inquinamento”, dedicando alla storia in questione ben 4 pagine. Una vicenda che per ragioni di spazio riassumeremo nell’edizione di domani. Ma che riletta oggi lascia molto da pensare. Specie alla luce di quanto accaduto negli ultimi tre anni. Del resto parliamo di anni in cui la vicenda dell’inquinamento prodotto dall’Ilva e i suoi effetti sull’ambiente e sulla salute erano ancora agli arbori. Per completezza e correttezza d’informazioni, ricordiamo che entrambe le richieste di archiviazione furono firmate dal pm Graziano e dal procuratore capo della Repubblica di Taranto Franco Sebastio. Il gip che seguì il caso era Sentella, mentre l’archiviazione arrivò il 07/02/2009, “ritenendo di non ravvisare alcun reato a carico di Emilio Riva”.

Il ricorso presentato alla Corte di Giustizia della Comunità Europea dei Diritti dell’Uomo, era avverso sia la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Taranto che il Parlamento italiano. Per quanto riguardava la Procura, il primo punto del ricorso segnalava la violazione dell’art. 6 della Carta dei Diritti dell’Uomo, per violazione dell’art. 360 del codice di procedura penale italiano, sugli accertamenti tecnici non ripetibili. Il secondo ricorso riguardava. Invece l’art. 6 della Carta dei Diritti dell’Uomo, per violazione dell’art. 24 della Costituzione Italiana, in quanto si denunciava che “il pm incaricato del caso, non ha consentito alla sig.ra G.S. di estrarre copia della perizia del proprio consulente tecnico, il prof. Luigi Strada”. Il ricorso contro il Parlamento Italiano, fu presentato per la violazione dell’art. 2 capo 1 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo. Il D.Lgs. 152/2006 (il Testo Unico sull’Ambiente) infatti, elevò i limiti europei di immissione di diossine nell’aria di 60 volte (ora il limite è di 60000 ng/Kg) per i terreni residenziali e il verde pubblico.

In quegli anni alla Procura di Taranto mancava la perizia epidemiologica consegnata dagli esperti nella primavera 2012, e richiesta dal gip Todisco nel giugno 2011, che ha accertato il nesso di causalità tra le emissioni fuggitive e non convogliate del siderurgico e i fenomeni di malattia e morte verificatisi nei lavoratori dell’Ilva e nei cittadini di Taranto. Mancava, inoltre, la perizia dei periti chimici (realizzata negli stessi tempi di quella epidemiologica e nell’ambito della stessa inchiesta) che ha accertato il mancato rispetto da parte dell’Ilva di una serie di norme ambientali, nonché la diffusione incontrollata di centinaia di tonnellate annue di polveri che hanno contaminato per decenni i campi da pascolo e le migliaia di capi di bestiame abbattuti tra il 2008 ed il 2009.

Allo Stato italiano, invece, non mancava assolutamente nulla. Anzi. Il caso Taranto era ampiamente conosciuto in tutte le sue sfaccettature, ma confinato nel silenzio più assoluto grazie a compiacenze e connivenze ad ogni livello istituzionale (sia romano, che barese e tarantino) e non solo (che su queste colonne abbiamo denunciato per anni invano nel silenzio quasi generale). Peccato soltanto che la sig.ra Smaltini non abbia potuto festeggiare con il marito e i figli questa vittoria, seppur ancora parziale. Certamente però, la stessa è stata precursore degli eventi che sono accaduti. E la stessa dovrà avere il giusto ruolo nella storia di chi ha tentato di ottenere giustizia in questa città, senza arrendersi mai. Fino all’ultimo respiro.

 Gianmario Leone (TarantoOggi, 23.10.2013)

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