Come detto, il cantiere che si apre domani riguarda la caratterizzazione della falda profonda per cui è stata prevista una spesa di circa 400mila euro. “La caratterizzazione – ha spiegato il sindaco Miccoli – è l’intervento preliminare che ci permetterà di valutare il livello dell’inquinamento della falda profonda e la natura degli inquinanti che l’hanno colpita in modo da poter poi approntare il successivo intervento”. Ma Statte, la cui area confina con lo stabilimento siderurgico dell’Ilva, si accinge a mettere in cantiere anche un altro intervento di disinquinamento. “Domani (oggi per chi legge) – ha affermato ancora il sindaco – apriremo le buste con le offerte per la caratterizzazione di tutta l’area urbana. Si tratta di un lavoro di un milione e mezzo di euro proveniente da fondi regionali. Vogliamo sapere le caratteristiche dell’inquinamento che ha colpito il terreno nel nostro comune, considerato che anche noi, al pari di Taranto, dal febbraio 2010 abbiamo dovuto vietare l’attività di pascolo in parte del territorio perché gli inquinanti presenti nel terreno, una volta ingeriti dagli animali, avrebbero anche contaminato la catena alimentare (Miccoli si riferisce all’ordinanza della Regione Puglia che vietò il pascolo nel raggio di 20 km dall’area industriale di Taranto, divieto esistente ancora oggi)”.
Dunque, esattamente 23 anni dopo che il perimetro del territorio di Taranto e Statte fu dichiarato “Area ad elevato rischio di crisi ambientale”, era il lontano novembre 1990, iniziano i primi lavori “ufficiali” di caratterizzazione della falda profonda, per vedere cosa e in che quantità è stato sversato nelle viscere della nostra terra in decenni di presenza della grande industria. La dichiarazione del 1990, venne reiterata nel luglio del 1997. Con decreto del Presidente della Repubblica del 23 aprile 1998, venne inoltre approvato il “Piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della Provincia di Taranto”. Date e documenti che certificano oltre ogni ragionevole dubbio le colpe e le inadempienze di chi negli ultimi vent’anni doveva intervenire ed invece è rimasto a guardare.
Non tutti. O meglio: qualcuno qualche dato e relazione, negli anni, l’ha anche prodotta. Come abbiamo riportato diverse volte su queste colonne negli ultimi due anni (con il prezioso ausilio del sito inchiostroverde.it), durante la Giunta Regionale del 2 novembre 2011, l’assessore alla Qualità dell’Ambiente Lorenzo Nicastro relazionò sulla contaminazione da policlorobifenili (PCB) del I seno del Mar Piccolo. E lo fece avvalendosi di una documentazione importante: da un lato con una nota che l’ISPRA (datata 4 ottobre 2001) inviò al Ministero dell’Ambiente nella quale veniva indicato il grave stato di contaminazione del mar Piccolo; dall’altro presentando la “Relazione tecnica sullo stato di inquinamento da PCB nel SIN Taranto ed in aree limitrofe”, effettuata dal Servizio Ciclo dei Rifiuti e Bonifica della Regione Puglia. Una relazione molto dettagliata di 28 pagine, nella quale venivano messe in evidenza le fonti primarie di contaminazione (sorgenti attive che incrementano il flusso massico di PCB nel Mar Piccolo) e le fonti secondarie (sedimenti inquinati che generano la propagazione della contaminazione anche attraverso la risospensione naturale o indotta antropicamente).
Una relazione nella quale figurava sul banco degli imputati (oltre alla Marina Militare, ma questa è un’altra storia) un’azienda ai più sconosciuta: la “San Marco Metalmeccanica” (che opera all’interno del perimetro dell’Ilva). La relazione denunciava come dal 1972 al 1995 venne riempita con materiale di risulta e scarti provenienti da lavorazioni di tipo industriale, una cava presente sul suolo occupato dalla San Marco che acquistò il terreno nel 2003. L’area in cui si colloca la cava in questione, possiede una sovrapposizione di una serie sedimentaria clastica pleistocenica (Calcareniti di Gravina) e del substrato mesozoico carbonatico (Calcare di Altamura). In quella zona è presente solo la falda profonda che ha sede nella successione del Calcare di Altamura.
Gli elaborati del Piano regionale di Tutela delle Acque mostrarono come lo scorrimento della falda carsica avviene, ancora oggi, prevalentemente lungo la direttrice NO-SE, cioè proprio verso il Mar Piccolo. Il che spiegherebbe il perché nella mappa sulla “Distribuzione dei PCB nei sedimenti dei Mari di Taranto” che il CNR presentò durante una riunione tecnica che si svolse a Taranto giovedì 11 agosto 2011 (si era nel pieno della prima emergenza mitili), viene segnalato come area altamente inquinata da PCB, lo specchio d’acqua prospiciente i Tamburi e il Galeso. E soprattutto chiarirebbe il perché ARPA Puglia abbia chiesto per anni, invano, che venissero svolte delle indagini approfondite sulla questione, che potrebbe confermare una tesi in voga da diverso tempo: che i citri di acqua dolce presenti nel I seno porterebbero dalla falda al mare l’inquinamento da PCB (ora quello studio lo sta effettuando proprio ARPA Puglia e i risultati dovrebbero essere pronti tra fine mese e novembre).
Dunque, certamente i tecnici dell’azienda che lavoreranno alla caratterizzazione della falda profonda dell’area Pip di Statte, troveranno quel PCB. E noi, ancora una volta, rinnoviamo la domanda che poniamo da ben due anni: da dove proviene tutto quel PCB interrato, illegalmente, nella cava presente sul terreno dove sorge la San Marco Metalmeccanica? Perché bonificare, forse servirà alla terra ed alla natura (cosa di priorità assoluta). Ma smascherare i colpevoli di quest’ennesimo scempio, facendo nomi e cognomi, aiuterà senz’altro a bonificare moralmente, almeno si spera, questa città, i suoi abitanti e quelli dell’intera provincia ionica.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 21.10.2013)
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