E’ per i reati di frode fiscale e appropriazione indebita ai danni dei soci di minoranza che la procura di Milano lunedì 14 ottobre ha inviato gli uomini della Guardia di Finanza negli uffici di alcune società del gruppo Riva (che controlla anche l’Ilva di Taranto). Secondo quanto si è appreso, il fascicolo – di cui sono titolari i pm Mauro Clerici e Stefano Civardi – partendo dall’indagine che nei mesi scorsi ha portato a un maxi sequestro nei confronti dei fratelli Emilio e Adriano Riva (1,9 miliardi di euro in totale), contempla ipotesi di reato diverse e fatti diversi, anche dal punto di vista temporale. Gli accertamenti, infatti, riguardano episodi successivi al 2008 ed ora al vaglio degli inquirenti ci sarebbero anche le posizioni di amministratori ed ex amministratori di Riva FIRE, tra i quali figura Emilio Riva, una serie di suoi familiari, ma non il fratello Adriano.
I magistrati inoltre, stanno analizzando i rapporti tra Riva FIRE e Ilva di Taranto (e questo potrebbe spiegare la natura del vertice svoltosi lo scorso 3 ottobre in Procura a Taranto), con particolare riferimento ad alcuni contratti di servizio sottoscritti tra le due società. Da quanto si è saputo, infatti, il sospetto è che la Riva FIRE, controllante dell’Ilva di Taranto, abbia incassato utili a scapito della controllata e a danno dei soci di minoranza che avrebbero così ottenuto meno dividendi rispetto al dovuto dal colosso siderurgico.
La Gdf, che lunedì scorso ha effettuato una serie di perquisizioni nelle società del gruppo Riva, sta ora analizzando i bilanci dal 2008 in poi di Riva FIRE, dell’Ilva e di Riva Forni Elettrici, la nuova denominazione assunta dal gruppo Riva lo scorso 7 gennaio. Un altro sistema, secondo l’accusa, per svuotare le casse dell’Ilva a danno dei soci di minoranza e trasferire gli utili in Riva FIRE, la holding familiare. Da qui l’accusa di appropriazione indebita, a cui sono legate anche ipotesi di frode fiscale. Una tranche di inchiesta, quella su cui stanno lavorando gli inquirenti, del tutto distinta, dunque, rispetto al procedimento che lo scorso maggio ha portato al sequestro di 1,9 miliardi di euro per i reati di truffa ai danni dello Stato e trasferimento fittizio di beni. In relazione a quel sequestro, i pm hanno ipotizzato che Emilio e il fratello Adriano Riva (quest’ultimo non risulta coinvolto nella nuova tranche) assieme ad alcuni professionisti abbiano sottratto soldi alle casse dell’Ilva, nascondendoli in paradisi fiscali e facendoli poi rientrare in Italia attraverso lo scudo fiscale.
L’inchiesta della procura di Milano (in attesa che dalla procura di Taranto partano gli avvisi di conclusione delle indagini preliminari sull’inchiesta portata avanti dal pool ambientale guidato dal procuratore capo Franco Sebastio e dal gip Patrizia Todisco) sui quasi due miliardi di euro portati all’estero della famiglia Riva fa dunque un nuovo, importante, passo avanti. Emilio e Adriano Riva sono indagati per truffa ai danni dello Stato e trasferimento fraudolento di valori. Iscritti nel registro degli indagati anche due professionisti dello studio legale-tributario B.N. di Milano: F. P. ed E.E.G., entrambi accusati di riciclaggio.
Parte dell’impero dei Riva (1,2 miliardi di euro) fu sequestrato lo scorso maggio dalla Guardia di Finanza di Milano (pochi giorni prima del sequestro preventivo per equivalente ordinato dal gip di Taranto Patrizia Todisco pari a 8,1 miliardi di euro) perché – scrisse il gip di Fabrizio D’Arcangelo nel decreto di sequestro – i soldi “costituiscono il provento dei delitti di appropriazione indebita continuata e aggravata ai danni della FIRE Finanziara spa (oggi Riva FIRE, ndr),di truffa aggravata, di infedeltà patrimoniale e di false comunicazioni sociali, oltre che di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e di trasferimento fraudolento di valori”.
Nel mirino della procura di Milano, come si ricorderà, ci sono tre operazioni societarie sulle quali gli uomini della Gdf stanno provando a fare luce. La prima, del dicembre 1995, riguarda la cessione di quote della società olandese Oak. La seconda è relativa alla vendita di una holding lussemburghese, la Stahlbeteiligungen Holding Sa, avvenuta nel maggio 1997. La terza riguarda invece la cessione dell’11,75% dell’Ilva Spa nel luglio 2003. Le tre operazioni hanno permesso ai due fratelli Riva di generare una provvista complessiva di 1,39 miliardi di euro, dei quali 1,18 sono stati “rimpatriati giuridicamente” (il patrimonio è stato cioè regolarizzato, ma è rimasto all’estero) con lo scudo fiscale del 2009. I soldi erano stati raccolti in alcuni trust di Jersey. Lo scorso 29 agosto l’indagine portò ad un nuovo sequestro di altri 700 milioni di euro appartenenti alle famiglie di Emilio e Adriano Riva, facendo così salire il totale a circa 1,9 miliardi di euro.
In pratica si scoprì che la Luxpack, una società con un capitale sociale di soli seimila dollari domiciliata a Curaçao, paradiso fiscale delle ex Antille Olandesi, che controllava l’Ilva Spa, era a sua volta posseduta da un trust con sede a Jersey, il Master Trust. Venne anche a galla che i beneficiari economici del Master Trust erano altri otto trust (tutti di Jersey) i cui beneficial owner sono appunto i figli di Emilio e Adriano Riva. In pratica, la proprietà dell’Ilva era schermata da sette società o trust collocati rispettivamente in Italia, Lussemburgo, Olanda, Curaçao e Jersey. I finanzieri scoprirono anche altri trust presenti in Nuova Zelanda e alle Bahamas, più altri trust domiciliati a Jersey e i cui beneficiari sono i figli dei due Riva. I soldi sono stati investiti dalla Ubs Trustee di Jersey in gran parte in titoli di Stato altamente liquidi e sono stati solo parzialmente rimpatriati e depositati nel Fondo unico della giustizia.
G. Leone (TarantoOggi, 17.10.2013)
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