Ilva, Ronchi sbatte i piedi. “Edo” non vuole ostacoli
In attesa che questo pomeriggio l’aula del Senato discuta i 94 emendamenti “concordati” la scorsa settimana nella seduta della commissione Affari costituzionali sul disegno di legge n.1015 relativo al decreto legge sulla Pubblica amministrazione (all’interno del quale ve ne diversi riguardanti l’Ilva, le sue controllate e la Riva Acciaio, relativamente all’art. 12 del testo, oltre all’autorizzazione delle due discariche in località Mater Gratiae, una per rifiuti pericolosi e l’altra per rifiuti non pericolosi), il subcommissario Ilva Edo Ronchi “alza” la voce, confermando il dubbio (per noi da sempre una certezza) sul fatto che la pressione al governo per inserire delle nuove norme che “facilitino” il compito di Bondi e Ronchi oltre ad aumentare il loro potere liberandoli quindi da lacci e lacciuoli burocratici, provenga soprattutto dai due personaggi in questione.
La conferma di ciò è arrivata ieri. A margine della conferenza stampa di presentazione degli Stati generali della green economy, il subcommissario Ronchi si è lasciato andare ad alcune esternazioni sullo stato attuale della situazione dei lavori all’interno del siderurgico tarantino. “Ci sono quattro cantieri ancora fermi e la Conferenza dei Servizi con gli enti locali interessati, che si terrà il 21 ottobre prossimo (l’ultima si è svolta il 18 settembre e si è conclusa con un nulla di fatto), nella mia previsione non sarà risolutiva”. Il “fastidio” del subcommissario per i vari passaggi istituzionali previsti dalla legge, si era già avvertito a fine settembre, quando addebitò all’assenza di ARPA Puglia e ASL/TA nella CdS del 18 settembre, i ritardi sull’ok ai progetti riguardanti la copertura dei parchi minerali secondari dell’Ilva (teoria alquanto risibile visto che non solo i pareri di ARPA Puglia in merito sono stati presentati già durante la procedura di AIA, ma soprattutto per il fatto che quel giorno il ministero dell’Ambiente comunicò l’oggettiva impossibilità del Comune di Taranto a rilasciare la concessione edilizia in assenza di un apposito parere VIA ministeriale).
Subito dopo Ronchi conferma quando scriviamo da tempo, dichiarando che “puntiamo (il plurale è l’ulteriore conferma del sodalizio stretto con Bondi sostenuto con forza dai sindacati) su una norma che avvii una Conferenza dei Servizi rafforzata, che consenta di accelerare le procedure”. Per fare questo però “serve una norma di legge e il testo dovrebbe essere stato definito d’intesa con il ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico e poi vedremo in quale provvedimento sarà inserito”. Il dubbio, infatti, è se inserire queste norme all’interno del decreto legge sulla Pubblica Amministrazione, oppure se dare vita ad un nuovo decreto (ipotesi che abbiamo avanzato la scorsa settimana).
La versione ufficiale proveniente da Roma sostiene che il tutto verrebbe fatto unicamente “per cercare di velocizzare gli interventi di ammodernamento previsti dall’AIA in tutta l’area a caldo dello stabilimento (parchi minerali, agglomerato, cokerie, altiforni e acciaieria) che sono già in ritardo sui tempi previsti”. Ma come abbiamo già avuto modo di scrivere, in realtà l’idea alla quale si sta lavorando è quella di nominare il sub commissario Edo Ronchi responsabile del procedimento della Conferenza dei Servizi, in modo tale da trasformarlo nell’unico responsabile dell’attuazione delle prescrizioni AIA, rimodulate dal piano di lavoro dei tre esperti nominato lo scorso 14 luglio dal ministero dell’Ambiente (“limitatamente alla modulazione dei tempi di attuazione delle relative prescrizioni”) di cui però ancora non vi è traccia. Eppure, secondo il decreto 61 del 4 giugno scorso convertito in legge il 1 agosto, il piano andava presentato entro 60 giorni dalla nomina dei tre esperti (scaduti lo scorso 15 settembre).
Dunque, pur non essendoci alcun piano di lavoro definitivo (il cui iter è sarà piuttosto lungo visto che una volta ufficializzato gli enti locali potranno presentare le loro osservazioni entro 30 giorni, che il commissario Ilva acquisirà e girerà nuovamente ai tre esperti, che redigeranno il testo definitivo del piano: il tutto entro 120 giorni dalla loro nomina, al termine dei quali Bondi avrà altri 30 giorni per integrarlo al suo piano industriale), Ronchi afferma e sostiene che i lavori sono pronti a partire, con oltre 40 cantieri che attendono soltanto il via libera. Ad essere fermi, ha spiegato il subcommissario, sono “quattro cantieri per i quali ci sono altrettante richieste di autorizzazione che sono ferme. Siamo fermi perché si chiede una verifica di assoggettabilità alla VIA, secondo me certamente non dovuta”.
Il problema è che l’opinione di Ronchi su ciò, vale quanto il due di coppe quando la briscola è a spade. Le “Indicazioni operative per la procedura di verifica di assoggettabilità alla VIA” infatti, sono regolate dall’art. 20 del Decreto Lgs. 152/2006 e la finalità di questo procedimento è “accertare se un progetto debba o meno essere assoggettato alla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale”. L’ambito di applicazione riguarda i progetti per “lo sviluppo ed il collaudo di nuovi metodi o prodotti inerenti modifiche o estensioni di progetti già esistenti” e soprattutto quelli che possono “produrre impatti significativi e negativi sull’ambiente”. Non solo. Perché questa procedura, oltre a prevedere il coinvolgimento di vari enti (Ministero dell’Ambiente, Regione/i, Provincia/e, Comune/i ove il progetto è localizzato), prevede anche e soprattutto quello del pubblico “che è informato dell’avvio della procedura e può consultare la documentazione tecnica a corredo dell’istanza oltre a presentare osservazioni al progetto entro 45 giorni dalla pubblicazione dell’avviso sulla Gazzetta Ufficiale”.
Possibilità, quest’ultima, che Ronchi pare proprio non gradire. Così come tutti gli altri passaggi che questo procedimento prevede per legge, in particolar modo a carico del proponente del progetto. “La verifica – ha dichiarato il subcommissario – comporta la dotazione di uno studio di impatto, la modifica del progetto, la pubblicazione per raccogliere il parere pubblico e ci vogliono 40 giorni per raccogliere il parere e altri 40 giorni per esprimere il giudizio di assoggettabilità e non la VIA”. “E – ha sottolineato ancora – stiamo parlando di tre capannoni e della copertura di un filtro”. Il risultato, ha fatto notare Ronchi, “sarà non soggetto alla VIA, però si richiede la verifica di assoggettabilità alla VIA, insomma…”.
Insomma, ma stiamo scherzando? Davvero si vuol far rispettare la legge in tutti i suoi cavilli in un luogo come Taranto dove, soprattutto in campo ambientale, non è mai stata applicata per decenni? E lo volete fare proprio adesso? Del resto, il ritardo sui lavori comporterebbe due guai serissimi per il governo, oltre che per il progetto ideato da Bondi e Ronchi. Da un lato si supererebbero di gran lunga i due mesi di tempo che l’Italia ha per dimostrare alla Commissione Ue che sull’Ilva ha iniziato a “lavorare” (con la messa in mora che assumerebbe sempre più i contorni di un’infrazione la cui multa la pagherebbero comunque i cittadini), dall’altro Bondi correrebbe il serio rischio di far spazientire le banche. Con le quali il commissario Ilva ha stretto un vero e proprio patto d’acciaio: ricevere finanziamenti per 2,4 miliardi di euro per i lavori da effettuare all’interno del siderurgico entro il 2016, avendo offerto in cambio non solo la sua parola sull’effettivo svolgimento dei lavori per tempo, ma soprattutto mettendo sul piatto i beni materiali delle società controllate dall’Ilva Spa (Taranto Energia, Ilva Servizi Marittimi, Ilvaform, Innse ed altre società).
Non è un caso se ieri lo stesso Ronchi abbia dichiarato, proprio riguardo i finanziamenti e lo sblocco delle risorse, che “c’é uno sblocco sul fronte economico non definitivo, c’é la trattativa ma non c’é il via libera formale. I tempi? Speriamo presto” ha tagliato corto. Così come non è un caso se, come già riportato ieri, l’emendamento 12.7 che dovrebbe essere votato quest’oggi dall’Aula del Senato, interviene con due commi sia sulla legge 89 del 2013 che sulla legge 231 del 2012, relativa alla prosecuzione dell’attività produttiva dell’Ilva di Taranto. L’articolo 3, comma 3, della legge 231, precisa l’emendamento del Senato, “si interpreta nel senso che per beni dell’impresa si devono intendere anche le partecipazioni dirette e indirette in altre imprese, nonché i cespiti aziendali alle stesse facenti capo”. Attualmente invece, in base alle legge 89 del 2013, il commissariamento vale solo per gli stabilimenti siderurgici di Taranto, Genova e Novi Ligure.
Dunque, hanno fretta. E non vogliono ostacoli sulla loro strada. Credendosi al di sopra della legge. Anche perché non c’è nessuno disposto a fargliela rispettare sul serio. “L’arroganza nelle persone di merito offende ancor più che l’arroganza degli uomini senza merito: perché già il merito offende” (Friedrich Nietzsche, “Umano, troppo umano”, 1878).
Gianmario Leone (TarantoOggi, 08.10.2013)