Fu proprio uno dei tanti dottori, in uno dei tanti colloqui con i miei genitori, a regalarmi la consapevolezza. Lo ricordo come se fosse ieri: “Volete recuperare sto ragazzino? E allora portatelo via da sotto l’Italsider”. Quello fu un giorno memorabile, avevo scoperto l’unica vera medicina al mio “malvivere”. La vita però è ben altro: problemi, necessità, disinformazione e inconsapevolezza mi hanno tenuto proprio là, sotto l’Italsider. La rabbia era sempre lì e, diventato adolescente, sognavo il mio futuro, interrogandomi su cosa avrei voluto fare da grande e cercando la scuola giusta. E allora scelsi tra i tanti (troppi) istituti ad indirizzo industriale.
In quegli anni sentivo parlare di siderurgia innovativa. L’Italsider diventava ILVA: bonifiche, migliorie, progetti. Si parlava solo di quello. Se ne parlava tanto anche durante le lezioni. Realizzai che il mio peggior incubo, la causa del mio “malvivere”, si stava trasformando in un sogno e addirittura in una opportunità di lavoro ed io avrei potuto contribuire al cambiamento. Detto… fatto! 19 agosto 2003 assunto all’ILVA. Vent’anni: uno stipendio, la macchina, la fidanzata e la convinzione di contribuire all’alba di una nuova era per la siderurgia Tarantina e di vedere l’ILVA come in quelle foto delle acciaierie all’avanguardia che ci mostravano a scuola. Si inauguravano impianti che limitavano le emissioni e si parlava di investimenti. Lavoravo pianificando e organizzando la mia vita da uomo, li dove da bambino “malvivevo”. C’ ho creduto. Incoraggiato da mille articoli di giornale e rassicurato dalle tante buone parole di politicanti e istituzioni.
Intanto nel mio quotidiano non cambiava nulla. Quasi ogni giorno, a pranzo, c’erano notizie di un ammalato di cancro o di un morto. Parenti, amici, ricchi, poveri, disoccupati, impiegati, pescatori, portuali, commercianti. “Il male” (come lo chiamano a Taranto) non risparmiava nessuno. Questo è il prezzo che paghiamo per la cattiva gestione del passato, ma l’ILVA sarà tutt’altra cosa, pensavo. Avevo perso la consapevolezza, avevo dimenticato il mio “malvivere”, diventando la vittima e il “prodotto” perfetto del sistema. Povero me! Poi… la vita stravolta. Tutto rimesso in discussione. Francesco, uno dei piccoli di casa, si è ammalato: sfaldamento del tessuto compatto dell’omero sinistro (un cancro al braccio).
Un bimbo come fui io, vittima del “malvivere”. Quella rabbia che aveva accompagnato i miei migliori anni tornava insieme alla certezza che nulla fosse cambiato e che nulla sarebbe cambiato. Quelli furono i tempi dei “viaggi della speranza”, della disperazione e delle lacrime amare. Francesco adesso ha vent’anni. E’ quasi un uomo. Problemi, necessità, disinformazione e inconsapevolezza lo hanno costretto lì, sotto l’ITALSIDER. Adesso cosa vogliamo fare da grandi lo decidiamo noi, partendo da qui “fuoridalcomune”, illuminati e consapevoli, pretendiamo risposte, in attesa che il giorno del giudizio arrivi. Tutti con l’obiettivo di garantire il giusto seguito alle generazioni future. Ognuno lo fa come può. Io lo faccio con Tonio, il maggiore dei miei due figli. Lo porto qui a giocare con i GRANDI perché impari presto che la vita e la salute non hanno prezzo.
Diario di un presidio – Vincenzo Curcio
ARCHIVIO
“Si riparte da qui”:
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“Una sfida che riguarda tutti”:
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“Taranto libera impressa nel cuore”:
“Vivo al quartiere Tamburi e non mi arrendo”:
“Anche senza speranza, la lotta è ancora speranza”:
“Marco, quattordici giorni fuori dall’Ilva”:
“Fatevi contagiare dai Soggetti B”:
“Dalla parte del più debole”:
“Una visita inaspettata”:
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“Il cielo sopra Taranto”:
“La nostra battaglia è anche la vostra”:
“Qui non si perde mai tempo”:
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“Certe notti al presidio”:
“Da grande rimango qui”:
“Dall’Ilva al presidio, il percorso di un operaio”:
“Se non ora quando”:
“Vite che si intrecciano”:
“La vita non è un film”:
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I cinque punti:
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