Infatti “le autorità italiane non hanno garantito che l’operatore dello stabilimento Ilva di Taranto adottasse le misure correttive necessarie e sostenesse i costi di tali misure per rimediare ai danni già causati”. Un atto d’accusa totale, che però arriva con un certo ritardo. Visto che si afferma né più né meno quanto sostenuto dal gip di Taranto Patrizia Todisco nell’ordinanza con la quale nel luglio 2012 ordinò il sequestro dell’area a caldo del siderurgico. Una decisione quasi obbligata quella della Ue, che ha ricevuto una forte spinta anche e soprattutto dall’iniziativa di singoli cittadini di Taranto e di diverse Ong, che hanno inviato decine di documenti alla Commissione europea affinché entrasse nel merito della vicenda.
Da oggi, dunque, inizierà la fase di dialogo tra il governo e l’Ue. “Vogliamo intensificare le nostre relazioni con il governo. Questo è l’obiettivo dell’infrazione” ha detto il commissario Potocnik. “La situazione è molto complessa” ha aggiunto, mostrando apprezzamento per l’impegno delle autorità italiane. Ciononostante, “ora sarà necessario ricevere informazioni specifiche dall’Italia. Le buone intenzione devono essere dimostrate con fatti concreti”. Uno degli strumenti proposti dall’Ue è l’accordo di partnership, che può essere attuato se uno Stato membro, per un’area specifica, ritiene utile “guardare assieme alla questione, perché c’é un problema sistemico, cercare risposte nelle migliori pratiche in Ue, sulle quali abbiamo una visione migliore rispetto al singolo stato membro. Questa è una delle possibilità” ha sostenuto Potocnik. Eppure, pare siano state parecchie le pressioni per evitare la messa in mora.
Ma su questo argomento, nessuno sconto: “A me non importa di queste cose. Prendo le mie decisioni basandole sui fatti e sulle indicazioni che mi arrivano dagli esperti. Non ci importa quale Paese sia, quale il settore: siamo obbligati a svolgere il ruolo dei guardiani del trattato e questo è quello che facciamo: ci interessa che tutto sia in regola”. E il primo passo in questa direzione, secondo il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, sarà “l’approvazione del nuovo piano ambientale: gli interventi di risanamento e di innovazione che i commissari stanno ultimando sono parte essenziale di questa risposta”, ha detto il ministro.
Intanto oggi si svolgerà il tanto atteso Consiglio dei ministri, dal quale in molti si attendono l’approvazione del decreto annunciato ad inizio settimana dal ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato. Ma la strada è alquanto intricata. Tant’è che proprio ieri il gruppo Riva Acciaio ha chiesto a governo, custode giudiziario e banche, di convocare un tavolo per sbloccare la situazione. Il nocciolo della questione, del resto, è oramai fin troppo chiaro: la titolarità e il controllo delle aziende sequestrate spetta al custode giudiziario, che ha il compito di garantire la continuità produttiva da un lato e dall’altro il rispetto del provvedimento giudiziario. Il gruppo Riva e il governo invece, vorrebbero lasciare questo compito agli organi societari del gruppo lasciando al custode un semplice ruolo di supervisore. Per questo sin da subito le banche hanno immediatamente provveduto alla sospensione dei fidi.
Gianmario Leone (Il Manifesto)
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