Diario fuoridalcomune – 13° giorno: “Dalla parte del più debole”
TARANTO – Ma che ci faccio qui? Più ci penso e meno ne vengo a capo, ma mi piace. In fondo sono sempre stato uno fuori dal comune. Quando eravamo ragazzini, i miei fratelli giocavano a tennis e frequentavano feste esclusive. Io giocavo a pallone in piazzetta e la domenica scappavo di casa per andare in trasferta a vedere il Taranto. Io parlavo il dialetto che nessuno parlava in casa mia. Non so bene il perché, ma sono nato dalla parte del più debole. Ora sono qui, seduto su una sediolina traballante, intorno ad un tavolo improvvisato, con un vassoio di crocchette che io stesso ho portato per tutti superando i guai, gli impegni di lavoro e un traffico mostruoso. Insieme a me, commercialista, ci sono un medico, un operaio Ilva, un disoccupato e uno studente di liceo. Un gruppo così eterogeneo… eppure la discussione è piacevole e interessante e ognuno dei presenti dice cose sensate, sentite, utili ad arricchire la mia conoscenza, nel senso più ampio e vero del termine.
Il ragazzo disoccupato mi racconta di come ha perso la moglie che, a soli 38 anni, ha lasciato questo mondo, vittima tanto per cambiare, di un cancro fulminante. Mentre parla mi dice “ come ti stavo dicendo dottò…” e io mi incazzo e gli dico “ehi ! ma quale dottore? Carletto mi devi chiamare !”, e intanto penso che fosse anche solo per stare a sentire lui, vale la pena di stare un po’ qui. Tutti hanno una storia da raccontare. Spesso è una storia di dolore e di morte. Quei morti che in tanti, troppi, si ostinano a far finta di non vedere. Spesso invece, è una storia di lotta ed orgoglio. Quell’orgoglio che leggo negli occhi, prima che nelle parole, dell’amico operaio dell’ Ilva. Lui, come tanti altri suoi colleghi che si alternano giorno e notte qua fuori, ha scelto di difendere la sua terra e i suoi diritti.
Se ne frega di essere sempre sotto osservazione di un’azienda che, ormai, assomiglia più a una prigione nazista che a un posto di lavoro. “Io ho finito di stare sotto scopa dei vari capi e capetti !”, mi dice con una luce negli occhi che alimenta la mia speranza in un futuro diverso. Qualche volta è una storia di speranza… la speranza che riempie le parole dello studentello del liceo. Mentre lo ascolto, mi ricordo di quando ero come lui. Piccolo ma forte. Forte a tal punto da fare sempre e comunque di capa mia. E infatti lui è qui, invece che a passeggio con i suoi coetanei, e mi dice che non vuole andarsene. Vuole che il suo futuro sia qui, a casa sua, nella sua terra, che offrirebbe tante possibilità di lavoro se solo non fosse ostaggio da decenni di una classe politica muta, cieca e sorda, ai bisogni dei più giovani e alle vere potenzialità della nostra città.
Mentre lo ascolto penso ai miei tanti amici di infanzia che oggi sono lontani da qui, costretti a farsi una vita lontano dalla città che amano. Quegli stessi amici che ogni settimana mi chiamano perché hanno nostalgia della loro terra e del loro mare. Spero sinceramente che il nostro comune impegno regali a questo ragazzetto quello che io non avrò. Invecchiare con accanto i suoi amici di infanzia, senza essere costretto a sentirli una volta alla settimana per telefono. In certi casi quella che ascolti non è una storia ma è la storia. E’, infatti, uno spaccato della storia politico-economico-sociale della nostra città, quello che mi racconta il medico che siede accanto a me. Ascoltando lui capisco tanti passaggi della nostra storia passata che, collegati agli eventi più recenti, completano nella mia mente il quadro del contesto politico e sociale che ci ha portati, quasi senza accorgercene, al disastro odierno.
Nel frattempo, le crocchette sono finite. Nei momenti trascorsi qui fuori, ogni giorno, ho visto passare e fermarsi a raccontare le loro storie tante persone diverse. Diverse nel ceto sociale, nel grado di istruzione, nell’occupazione e nel modo di pensare. Ho parlato con medici, avvocati, architetti, studenti, futuri professionisti stressati dal tirocinio, gente di marina, operai, studenti, lavoratori dipendenti di ogni genere. Tutte queste persone hanno in comune soltanto un incredibile bisogno di giustizia. Giustizia negata ai loro morti, negata ai loro colleghi, ai loro familiari ai loro figli, ai loro sogni. Ecco cosa ci faccio qui. Io, come tutti quelli con cui ho parlato, ho bisogno di giustizia e verità. E mentre torno stanco verso casa, penso che è davvero incredibile che la nostra voglia di giustizia, riscatto, verità, ci faccia essere gente fuori dal comune. Ma è così: sono nato dalla parte del più debole e domani voglio tornare a stare un poco qua. Un abbraccio a tutti gli amici.
Diario di un presidio – (Semplicemente) Carletto
ARCHIVIO
“Una visita inaspettata”:
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“Il cielo sopra Taranto”:
“La nostra battaglia è anche la vostra”:
“Qui non si perde mai tempo”:
https://www.inchiostroverde.it/news/taranto-diario-fuoridalcomune-9.html
“Certe notti al presidio”:
“Da grande rimango qui”:
“Dall’Ilva al presidio, il percorso di un operaio”:
“Se non ora quando”:
“Vite che si intrecciano”:
“La vita non è un film”:
https://www.inchiostroverde.it/news/taranto-fuoridalcomune-giorno-n-1-la-vita-non-e-un-film.html
I cinque punti:
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