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Riva, è una farsa continua – Oggi incontro tra Letta, Zanonato e Ferrante

TARANTO – E’ durata poco più di 24 ore la teoria del gruppo Riva Acciai, che aveva giustificato il fermo di tutti gli impianti e i conseguenti 1.400 esuberi non come una “scelta aziendale”, ma come un “atto dovuto” dopo l’ultima operazione della magistratura tarantina eseguita nei confronti del gruppo lombardo. Dopo giorni di polemiche ed i soliti attacchi sterili da parte di Confindustria e Federacciai, oltre che di diversi esponenti di Pdl e Lega Nord, nella giornata di sabato è arrivata direttamente dalla procura di Taranto la risposta ed il chiarimento che spegne ogni dubbio sull’ennesima paventata “congiura” giudiziaria in atto in Italia.

Il sequestro “tuttora in corso di esecuzione”, spiega il procuratore capo Sebastio, “riguarda essenzialmente beni immobili, partecipazioni in altre società, quote azionarie, automezzi, impianti, macchinari e solo in minima parte disponibilità finanziarie” e deriva “dalla esecuzione del provvedimento di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente emesso il 22 maggio del 2013 dal gip di Taranto su richiesta di questa Procura ai sensi del decreto legislativo 231/2001”. Del resto, già nei giorni scorsi avevamo sottolineato come il gruppo Riva non solo fosse a conoscenza, da mesi, del fatto che l’azione della magistratura fosse tutt’altro che esaurita, ma soprattutto come fosse alquanto poco credibile che un gruppo come quello lombardo potesse essere messo in ginocchio da un sequestro preventivo dove le risorse liquide fossero la minima parte di quanto finito nella rete della Guardia di Finanza.

Il provvedimento di maggio, afferma il procuratore, “riguardante direttamente” alcune società del gruppo Riva come Riva FIRE Spa, Riva Forni Elettrici Spa e Ilva Spa, “prevedeva la sua estensione anche ad ulteriori società controllate, collegate e comunque sottoposte all’influenza dominante” delle stesse e “individuate dall’amministratore giudiziario e dagli organi investigativi della Guardia di Finanza”: ovvero le 13 società per le quali è scattato il sequestro. Ciò detto, è bene chiarire una volta e per tutte che “il provvedimento di sequestro non prevede alcun divieto d’uso” e lo stesso custode amministratore è autorizzato a gestire “eventuali necessità di ordine finanziario” si legge nella nota, facendo esplicito riferimento al sequestro su beni, conti e partecipazioni del gruppo, “come previsto dall’art. 104 bis del codice di procedura penale”. Per i beni aziendali, osserva ancora il procuratore, “la custodia e l’amministrazione da parte di ausiliari nominati dall’autorità giudiziaria” è finalizzata proprio a “garantire la continuità produttiva dell’azienda”. Sarà dunque il commercialista di Taranto, Mario Tagarelli, già presidente provinciale dell’Ordine professionale e nominato a suo tempo dal giudice amministratore giudiziario proprio allo scopo di garantire la loro gestione, sì da prevenire effetti negativi sulla prosecuzione dell’attività industriale, a gestire il tutto.

Per quanto attiene i numeri, le disponibilità finanziarie sequestrate nelle aziende del gruppo Riva è pari a 49.094.482 euro, “cioè a meno del 10 per cento di quanto sequestrato” spiega il procuratore Sebastio. Che scende ancora più nel dettaglio precisando come “il valore complessivo del sequestro è stato preventivamente stimato, sulla base delle poste patrimoniali indicate nei bilanci depositati delle società colpite dal provvedimento, in circa 950 milioni di euro, ma attualmente sono stati attinti cespiti per un importo complessivo di circa 600 milioni di euro”: per la precisione, 593.775.657 milioni di euro.

A fronte di ciò, appare alquanto difficile che il governo Letta possa intervenire direttamente sulla faccenda. Come si può infatti commissariare un’azienda privata che sceglie spontaneamente di chiudere i battenti, pur avendo la possibilità di continuare a produrre? E che tra l’altro non è indagata per il reato di disastro ambientale come per l’Ilva Spa, per cui invece si è resa necessaria prima una legge ad hoc che ne garantisse la continuità produttiva e poi un’altra che ne garantisse il risanamento finanziario e logistico dopo il disimpegno del gruppo Riva? Così come appare alquanto peregrina la possibilità di nazionalizzazione della Riva Acciai (oltre che dell’Ilva) come sostengono da mesi la Cgil, la Fiom e gran parte dei partiti della sinistra italiana, visto che un’operazione del genere prevede per legge l’esproprio, con tanto di indennizzo al gruppo Riva.

Nel pomeriggio di oggi intanto, il premier Letta e il ministro dello Sviluppo economico Zanonato incontreranno a Roma, nella sede del MISE in via Veneto, il redivivo Bruno Ferrante in qualità di rappresentante della Riva Forni Elettrici (e di uomo dei Riva congelato nel ruolo di presidente dell’Ilva Spa): fuori ai cancelli delle 13 fabbriche chiuse al Nord invece, si svolgeranno i presidi dei lavoratori: in difesa del posto di lavoro e contro l’ennesimo, inaccettabile ricatto messo in atto dal gruppo Riva. Lavoratori per i quali nella giornata di giovedì il gruppo Riva dovrebbe chiedere al ministero del Lavoro il ricorso alla cassa integrazione.

Infine, sempre in questa settimana, il sub commissario Ilva, Edo Ronchi, potrebbe ufficializzare il piano delle misure ambientali per il sito di Taranto predisposto dai tre esperti nominati dal ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, lo scorso 14 luglio. Un piano che di fatto modificherà la tespistica dell’attuazione delle prescrizioni AIA e che dovrà però fare i conti, in tutti i sensi, col piano industriale che il commissario Bondi presenterà a metà novembre. Insomma, ci sarà ancora di che ridere.

 Gianmario Leone (TarantoOggi, 16.09.2013)

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