Dunque, il gruppo Riva ha agito con consapevolezza, pur sapendo sin dallo scorso mese di maggio che la magistratura tarantina avrebbe continuato a stringere il cerchio intorno al tesoro messo da parte dalla società negli ultimi 20 anni e che avrebbe colpito ovunque possibile. Perché quello che tutta Italia continua a far finta di non capire, è che se il gruppo Riva ha potuto mettere in piedi il suo impeto ed allargarlo al resto della nazione e dell’Europa, è unicamente grazie agli introiti derivanti dall’attività del siderurgico tarantino, sul quale avrebbe dovuto invece investire per evitare un inquinamento ambientale devastante e il conseguente insorgere di fenomeni di malattia e morte nei lavoratori e nei cittadini.
Tutti in cassa integrazione?
Ed è proprio in questa consapevolezza che si ravvisano i termini di una vera e propria rappresaglia sociale, che per un gruppo da sempre a conduzione unicamente familiare, non può che avere un’unica vittima: i lavoratori. Un disegno che anche i sindacati, oramai, non possono più far finta di ignorare o di non conoscere. “La decisione di fermare la produzione e mettere in libertà i lavoratori di tutti gli stabilimenti del gruppo Riva Acciai, all’indomani del provvedimento di confisca dei beni riferiti alla famiglia Riva e alle società da essa controllate, è inaccettabile e appare come il tentativo di utilizzare i lavoratori, che non hanno nessuna responsabilità, nel braccio di ferro contro la magistratura”. Questo affermano in una nota congiunta le segreterie nazionali dei sindacati metalmeccanici Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil, chiedondo al Governo “un intervento urgente e deciso” e chiamando la Riva Acciai “alle sue responsabilità ed assumendo tutte le decisioni più opportune ai fini di garantire la continuità produttiva. E’ necessario che gli impianti vengano riavviati al più presto per impedire che un lungo stand-by produttivo degli stabilimenti faccia perdere ordinativi e clienti in un momento in cui molti Paesi concorrenti non aspettano altro”.
Il governo, chiamato nuovamente a rincorrere una soluzione ad una vicenda che si trascina oramai da oltre un anno, ha provveduto tramite il ministro della Sviluppo Economico Flavio Zanonato, a tranquillizzare i sindacati, annunciando che per tutti i lavoratori “sarà assicurata la cassa integrazione”. Pare che l’azienda abbia dato rassicurazioni in tal senso e che giovedì prossimo si terrà un incontro al ministero del Lavoro. Certo è che se i lavoratori non hanno nessuna responsabilità, lo stesso non si può dire per i sindacati, che per anni hanno finto di non vedere e non sapere quanto avveniva all’interno del siderurgico tarantino. Del resto, se a Taranto i segretari generali delle sigle confederali e metalmeccaniche non si vedono da un pezzo, un motivo ci sarà. Qui non possono presentarsi come niente fosse per mostrare solidarietà ai lavoratori: visto che gli operai andavano difesi prima e non certo dopo l’iniziativa della magistratura. Bisognava prevenire. Oggi, per curarsi, i lavoratori potrebbero anche auto organizzarsi e decidere di non farsi più rappresentare da un sindacato che da tantissimi anni ha dimenticato il suo vero ruolo nella società e nel mondo del lavoro.
E’ “risorto” Ferrante
Intanto, risorge come Lazzaro un personaggio di cui avevamo perso le tracce. Dopo i primi contatti telefonici, lunedì Zanonato incontrerà Bruno Ferrante in qualità di rappresentante della Riva Forni Elettrici, e non come erroneamente hanno scritto in molti in qualità di presidente dell’Ilva Spa, visto che non solo lo stesso ha presentato le dimissioni dall’incarico lo scorso maggio, ma che a fronte del commissariamento del siderurgico il Cda della società è stato azzerato ed il rappresentate legale di Riva FIRE e del consiglio di amministrazione è il commercialista tarantino Mario Tagarelli. Dunque, Ferrante si conferma un uomo della famiglia Riva a tutti gli effetti: eppure sino a qualche mese fa veniva “servito e riverito” dai sindacati, dai partiti politici e dalle istituzioni. Sempre lunedì, con presidi che partiranno dalle 9.30, i lavoratori di tutti gli stabilimenti interessati, si mobiliteranno “in difesa del proprio posto di lavoro e contro l’inaccettabile ricatto che è stato messo in atto” annunciano i sindacati.
Fermare la Taranto Energia è un bluff
Intanto sarà l’Ilva Spa a pagare lo stipendio di agosto ai 111 dipendenti della società Taranto Energia, sua controllata. L’impegno è stato preso al termine di un incontro svoltosi ieri a Taranto tra la direzione di Taranto Energia, la dirigenza Ilva e i sindacali di categoria di Cgil, Cisl e Uil. Gli stipendi dovevano risultare accreditati già ieri, ma il sequestro dei beni ha “bloccato” l’operazione. Tra l’altro, la volontà di fermare le centrali termoelettriche di Taranto Energia (ex Edison), non ha alcun senso, visto che l’azienda è fondamentale per l’attività produttiva dello stabilimento siderurgico di Taranto, visto che con quegli impianti viene recuperato il gas dagli altiforni producendo energia e idrogeno che vengono sia utilizzate in stabilimento, sia rivendute all’esterno.
Inoltre, come riportammo nel dicembre del 2012 su queste colonne, la storia della Taranto Energia ha un precedente poco rassicurante. Nell’ottobre del 2011 (la notizia la anticipammo nell’aprile dello stesso anno) la Edison cedette al Gruppo Riva le centrali termoelettriche di “Taranto Energia” per 164,4 milioni di euro. Ai Riva fu ceduto l’intero capitale sociale di “Taranto Energia”, società nella quale Edison conferì il ramo d’azienda costituito dalle centrali termoelettriche CET 2 e CET 3, situate all’interno del siderurgico. Qualche giorno prima, il 30 settembre 2011, la Commissione europea dette il via libera all’acquisizione di “Taranto Energia” (società veicolo di Edison) da parte di Ilva: l’operazione venne esaminata sotto procedura semplificata. La Edison S.p.A., nel dicembre del 2010, si classificò al secondo posto nella “speciale” graduatoria delle aziende più inquinanti stilata da Greenpeace, dall’alto delle sue 5,9 milioni di tonnellate di CO2. Poi, nel dicembre dello scorso anno, scoprimmo che il 4 giugno del 2010 viene presentato un progetto dal nome “Riva Taranto Energia & Ambiente”.
Il promoter è la Riva FIRE S.p.A., il ricevente la Banca europea per gli investimenti (BEI). Che il 16 dicembre del 2010, dopo sei mesi, accorda un prestito di ben 400 milioni di euro a favore della società: 200 milioni sborsati subito e ulteriori 200 concessi il 3 febbraio 2012 (la segnalazione arriva dal sito “greenreport”). Tra l’altro sono finanziamenti ben scorporati: 140 alla Ilva S.p.A. e 60 alla Rive Fire S.p.A. Il progetto è la “chiave” per la competitività di costo dell’impianto e alla sua sostenibilità a lungo termine (tecnica, ambientale e finanziaria), oltre che per “consolidare la diretta e indiretta significativa occupazione dell’azienda”. Bastava conoscere questi precedenti per capire che siamo di fronte all’ennesimo bluff travestito da ricatto. In attesa che lo Stato metta l’ennesima pezza a colori. Ma non è detto che questo gioco duri all’infinito.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 14.09.2013)
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