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Enipower lascia Taranto. Tutto nella mani dell’Eni – La battaglia non è finita

TARANTO – La notizia era nell’aria da tempo. E non ci coglie assolutamente di sorpresa. L’Enipower ha annunciato che rinuncerà ad investire su Taranto. A partire dal 1 ottobre infatti, la società, secondo produttore di energia elettrica in Italia, cederà alla raffineria di Taranto il proprio sito produttivo. In realtà, come riportava ieri l’edizione online del “Sole24Ore”, l’atto di scissione parziale della centrale termoelettrica (87 MW di potenza elettrica, alimentata a olio combustibile e fuel gas) a favore di Eni, è stato depositato da tempo presso il Registro delle imprese di Milano e Roma. Ma lo scorso 4 luglio, durante la Commissione Ambiente del Comune di Taranto, quando chiedemmo lumi sullo stato del progetto al direttore della raffineria Carlo Guarrata, ci fu risposto che lo stesso (che prevede la costruzione di una centrale di taglia 80 MW a fronte del progetto precedente di taglia 240MW) era al momento soggetto alla procedura di VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale) presso il ministero dell’Ambiente. Ma non ci fu detto che Enipower era intenzionata a lasciare Taranto. Al momento pare che l’Eni abbia garantito che il progetto sarà comunque portato a compimento. La nuova centrale dovrebbe partire, se gli impegni saranno rispettati e soprattutto se si otterranno i “pass” burocratici necessari, non prima del 2016.

Un progetto “tormentato”

Il progetto iniziale della Centrale di Cogenerazione da 240 MWe fu presentato per le relative autorizzazioni ambientali (VIA ed AIA) il 19 marzo 2007, ricevendo parere favorevole di compatibilità ambientale da parte del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) con Decreto DVA-DEC-2010-0000209 del 26 aprile 2010. Il Decreto di Compatibilità Ambientale, tuttavia, riportava anche il parere sfavorevole della Regione Puglia la quale, con DGR 7 agosto 2009 n.1540 esprimeva, nonostante Enipower garantisse il miglioramento delle emissioni di NOX, l’abbattimento delle emissioni di SO2 e la riduzione totale delle polveri, la sua contrarietà al progetto sulla base dell’aumento di produzione di energia elettrica del 495%, dell’aumento delle emissioni di CO del 524% e dell’aumento delle emissioni di CO2 pari a circa 600.000 t/a.

Avverso al Decreto di Compatibilità ambientale, Regione Puglia (il 30 giugno 2010) e Comune di Taranto (2 luglio 2010) presentarono ricorso con richiesta di annullamento al Tribunale Amministrativo del Lazio. Nel corso del tempo però, e soprattutto sotto la spinta della Provincia, dei sindacati, di Confindustria, di Eni ed Enipower durante le varie riunioni della Consulta dello Sviluppo, il Comune di Taranto cambiò idea. Accadde l’11 ottobre del 2011, quando durante l’ennesima riunione della Consulta, che si svolse addirittura all’interno degli uffici Eni della raffineria, alla presenza di Confindustria, Camera di Commercio, Provincia di Taranto, Cgil, Cisl e Uil (rappresentati dai loro massimi esponenti), il sindaco Stefàno assicurò che “dentro l’amministrazione comunale, sono tutti d’accordo per la realizzazione di tale progetto, che ovviamente dovrà passare dall’approvazione del Consiglio Comunale”. Frase alquanto incauta, visto che nel gennaio dello scorso anno, quindi dopo un paio di mesi da quell’incontro, Enipower annunciò il ritiro definitivo del progetto iniziale.

Quello nuovo l’Enipower S.p.A., società controllata al 100% da ENI (che non va però confusa e identificata con “ENI Raffineria”), lo presenta il 28 giugno 2012 con un’istanza al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, per l’avvio della procedura di Valutazione di Impatto Ambientale che (in virtù del comma 1 dell’art.10 del DIgs.152/2006) fa luogo della procedura di Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), relativa al progetto di modifica della centrale termoelettrica di cogenerazione esistente all’interno della Raffineria Eni Divisione R&M di Taranto. Il progetto ha un nuovo simpatico nomignolo: “Adeguamento della centrale di cogenerazione di Taranto”. Il progetto in questione prevedeva la sostituzione di tre caldaie a fuoco diretto e di tre turbine a vapore esistenti con una turbina a gas alimentata con gas naturale, relativa caldaia a recupero, una caldaia a fuoco diretto a combustibile gassoso ed una turbina a vapore a contropressione.

L’adeguamento avrebbe consentito di conservare l’attuale potenza termica di 410 MWt, che a differenza del progetto originario presentato nel 2007, vedeva un incremento della potenza elettrica installata ridotto: ovvero da 86 MW a circa 103 MW (invece dei 240 MW richiesti in prima istanza), con la promessa di adeguare le prestazioni ambientali ed energetiche “alla Migliore Tecnologia Disponibile nel settore della cogenerazione industriale”. Inoltre, contestualmente sarebbero state dismesse alcune tra le apparecchiature più obsolete: le tre turbine a vapore a condensazione ed estrazione e le caldaie funzionanti anche ad olio combustibile che quindi non sarà più utilizzato dalla raffineria. A fronte del primo progetto che prevedeva un investimento da 230 milioni (il cantiere avrebbe comportato l’utilizzo di 290 unità con picchi fino a 530 addetti che l’ad Milani di Enipower chiarì non sarebbero stati assunti a fine progetto), quest’ultimo avrebbe comportato una spesa di 100 milioni (con l’utilizzo di 200 unità con picchi di 300, anch’essi senza assunzione futura).

La “finta” questione energetica

Il progetto della nuova centrale a turbogas è stato sempre “venduto” da Eni ed Enipower, come essenziale per la vita stessa della raffineria. In quanto l’attuale centrale termoelettrica alimentata ad olio combustibile che produce l’energia utile al ciclo di produzione della raffineria, è vetusta, pericolosa ed altamente inquinante. Dunque, hanno sempre argomentato dall’Eni, necessita di essere sostituita. Bene. Il problema è che i numeri non ci sono mai tornati. Perché, infatti, sostituire l’attuale centrale in parte ad olio combustibile ed in parte a gas di 85 MW come quella in esercizio, con un impianto di quasi 288 MW integralmente alimentato a gas? 288 MW sì, e non i famosi 240. Perché nel primo progetto della nuova centrale, era previsto che bisognasse aggiungere il mantenimento dei 39 MW di uno degli impianti oggi in funzione alimentato a fuel gas ed altri 8,3 MW della turbina a contropressione. Tutto questo, prevedeva che il 72.7% dell’energia prodotta (5 volte l’attuale) venisse poi venduta sul mercato (del resto Enipower è la società di ENI per le attività di generazione di energia elettrica), mentre il rimanente sarebbe restato a servizio della raffineria. Le conseguenze negative per la salute e il territorio, come detto, sarebbero venute da un peggioramento delle emissioni di monossido di carbonio (da 87 ton/a a 456 ton/a), e da un formidabile incremento della CO2 del 276%. Ma era davvero soltanto una questione energetica?

In realtà, quasi due anni fa all’interno di un’inchiesta pubblicata su queste colonne, avemmo la certezza che la verità era come sempre da un’altra parte. E riportava ad una denuncia del comitato Taranto libera oggi Legamjonici della primavera del 2010. Nel Decreto Ministeriale n.209 del 26 aprile 2010, con cui il Ministero dell’Ambiente, di concerto con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, espresse parere favorevole sulla “pronuncia di compatibilità ambientale presentata dalla società ENI Power S.p.A., concernente la realizzazione di una centrale a ciclo combinato da 240 MWe all’interno della Raffineria ENI di Taranto”, nelle carte del parere della Commissione Tecnica VIA-VAS, e per la precisione a pag.12, si leggeva che, nelle modifiche progettuali proposte dall’Eni per incrementare la capacità di raffinazione della raffineria di Taranto, progetto denominato “Taranto Plus – Sistema Logistico Taranto Sud”, ha un ruolo primario la “ristrutturazione della Centrale Enipower situata all’interno della raffineria”.

Il progetto di raddoppio prevedeva, oltre alla “realizzazione di 14 nuovi serbatoi di stoccaggio per il greggio e per i prodotti finiti”, che “le nuove unità componenti il progetto “Taranto Plus” necessitano tanto di energia termica che elettrica. Per il funzionamento degli impianti essa sarà prelevata dalla rete di Raffineria, a sua volta alimentata dalla centrale gestita da Enipower che sarà sottoposta a potenziamento con risanamento”. Dunque, la nuova centrale a turbogas doveva servire a produrre energia tale da poter alimentare una raffineria “raddoppiata”. Quel progetto, che ottenne parere interlocutorio negativo, l’Eni non l’ha mai ritirato.

Detto ciò, ricordiamo che nel progetto di “raddoppio”, era presente anche il famoso nuovo metanodotto che l’Eni chiese al Comune di Taranto di costruire all’interno della raffineria, e che era strettamente legato al progetto della nuova centrale Enipower. Per un semplice, ma importantissimo motivo: in realtà, quel metanodotto, aveva due diramazioni finali: una diretta ad ENIPower (“Metanodotto di Allacciamento centrale Enipower” di Taranto – Raddoppio con previsione di nuova centrale termoelettrica” per la quale come detto in precedenza ENI ha recentemente fissato un bando di concorso che si è perso nel vuoto cosmico dell’universo) e l’altra a ENI R&M (cioè alla Raffineria, “Metanodotto di Allacciamento impianto ENI R&M di Taranto”).

L’assenso al progetto (che avvenne grazie a 19 voti favorevoli, 7 astenuti e 4 contrari, che assicurarono il numero legale) alla realizzazione del metanodotto da parte del Consiglio Comunale di Taranto (la delibera è la numero 18 del 2010), risale al 1 marzo 2010. Grazie al lavoro pressante del comitato Legamjonici, la Commissione Ue ha aperto ben due procedure di indagine nei confronti dell’Italia per la presunta violazione della Direttiva Seveso in relazione al progetto Tempa Rossa realizzato dall’Eni a Taranto nonché per la costruzione del Metanodotto nell’ambito della realizzazione dell’impianto di Hydrocracking (Enipower).

La battaglia non è finita

Ciò detto, il nuovo progetto non avrebbe risolto i problemi, ancora attuali, della raffineria in merito all’indipendenza energetica del sito industriale tarantino (la famosa questione dei frequenti black out energetici con la conseguente accensione delle torce, il fumo nero e la puzza di gas che invade la città come avvenuto l’8 luglio scorso). Lo chiariva la stessa Enipower quando presentò il secondo progetto: “Va ricordato che il progetto, pur rappresentando la soluzione di migliore compromesso per soddisfare i requisiti di fornitura di energia elettrica e vapore tecnologico alla Raffineria eni R&M e rispettare i vincoli sulle emissioni di CO2 imposti dal PEAR, a differenza del progetto della Centrale di Cogenerazione da 240 MWe, non rappresenta la scelta progettuale ottimale dal momento che la Centrale, nella configurazione futura, non sarà in grado di garantire la completa autosufficienza del sito produttivo dal punto di vista dell’alimentazione elettrica.

Infatti, in caso di fermata di uno dei due turboalternatori a gas, sarà necessario ricorrere all’importazione di energia elettrica dalla Rete di Trasmissione Nazionale”. Dunque, oggi vanno via da Taranto soltanto perché non hanno ottenuto quello che volevano. Perché non gli è stato detto un “sì” totale. Perché, avendo a cuore soltanto il loro tornaconto economico, se non ottengono ciò che vogliono, reagiscono come bambini e vanno via in silenzio. Vanno via perché sono i tarantini che devono decidere il futuro del loro territorio, non certo le grandi industrie. Né i loro rappresentanti o i loro interessi. Vanno via perché hanno capito che l’aria che tira non è più quella di una volta e quindi è meglio non rischiare. Vanno via e, si spera, con loro prima o poi andranno via tutti gli altri.

Ma chi pensa che la partita è finita, si sbaglia di grosso. Ora la palla passa in mano all’Eni e bisognerà vigilare quanto e più di prima. Perché il progetto del raddoppio della raffineria non è mai stato accantonato del tutto. Perché il progetto Tempa Rossa è più vivo che mai e dovrebbe partire nel 2016 (proprio quando potrebbe entrare in funzione la nuova centrale a Taranto). E perché poche settimane fa in Val d’Agri sono appena partiti i lavori per realizzare la quinta linea di trattamento di gas del Centro Olio di Viggiano che consentirà di arrivare a 104mila barili di petrolio al giorno: e quell’oleodotto trasporta il petrolio proprio alla raffineria di Taranto. Occhi aperti, dunque. La battaglia è tutt’altro che finita.

 Gianmario Leone (TarantoOggi, 12.09.2013)

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