ilva_taranto_12 gennaio 2012_TARANTO – “Come muore la gente, può morire anche un’acciaieria”. E’ la frase (riportata puntualmente dal sito inchiostroverde.it) che ha pronunciato martedì sera il dottor Agostino Di Ciaula, medico dell’ISDE, durante un incontro organizzato nell’atrio del Castello Episcopio dal titolo “Istantanee di una democrazia incompiuta. L’Italia tra inganni e tradimenti di Stato. Il caso Ilva”: con lui un ex magistrato, Antonio Ingoia, e un giornalista tarantino, Tonio Attino, autore del libro “Generazione Ilva”. Del dott. Di Ciaula ci occupammo già lo scorso 27 giugno, all’indomani dell’audizione dello stesso alla commissione Ambiente della Camera dei Deputati. Quel giorno, era il 26 giugno, il punto di partenza della relazione del dott. Di Ciaula, fu perentorio: “Spesso, pensando ai tumori, si considera la possibilità di diagnosi precoce un’arma vincente. In realtà, si è veramente vincenti se si agisce a monte, non solo cercando di limitare i danni di malattie già insorte ma impedendo che queste insorgano, evitando l’esposizione alle sostanze che le provocano”.

La questione, ancora una volta, è soprattutto epidemiologica. Di Ciaula, quel giorno, riprese quanto riportato su queste colonne (e sul sito inchiostroverde.it ed ignorato da tutti gli altri organi di stampa). Ovvero l’analisi prodotta da ARPA Puglia, A.Re.S., ASL/TA, sul “primo rapporto sulla valutazione del danno sanitario”. Secondo l’analisi di ARPA Puglia, dopo l’applicazione dell’AIA, nel 2016 l’ILVA emetterà 22.1 g/anno di diossine, un quantitativo pari a circa la metà dell’intera produzione nazionale di questi inquinanti. “Secondo le stime dell’Agenzia Regionale, in questo momento rischia di avere un tumore, considerando la sola inalazione degli inquinanti, una popolazione di 22.500 residenti. Dopo l’AIA correranno questo rischio 12.000 residenti”. Dunque, almeno 12.000 residenti continueranno ad essere sottoposti a rischio elevato di tumore maligno a causa dell’inquinamento industriale prodotto da Ilva.

Il termine “almeno” fu giustificato dalla considerazione che la previsione prevista nella VdS “è solo parziale e il dato sul rischio è fortemente sottostimato”. L’analisi, infatti, prende in considerazione i rischi tumorali legati alla sola inalazione di sostanze inquinanti, escludendo completamente le altre vie di assunzione delle sostanze tossiche emesse dall’Ilva per ingestione. Il rapporto della Valutazione del Danno Sanitario, inoltre, “calcola i rischi che quelle concentrazioni di inquinanti causano in soggetti adulti di peso medio. Non considera che a parità di concentrazioni il rischio è decine di volte più alto per i feti e per i bambini”. Ciò detto, anche ieri Di Ciaula, ha dichiarato che “non ha senso parlare di ambientalizzazione dell’Ilva: è arrivato il momento di trovare delle alternative al ricatto occupazionale. Liberiamo questo territorio dall’abbraccio mortale delle lobbies”.

Le famose alternative economiche (a cominciare dalla valorizzazione reale e non solo saltuaria e stagionale delle risorse del territorio) di cui parliamo da anni e sulle quali dovrebbe essere basata la lotta della società civile tarantina (argomento sul quale il dott. Patrizio Mazza ha battagliato invano per anni), oltre che della politica e dei sindacati: ma in troppi, ancora oggi, da quest’orecchio proprio non ci vogliono sentire. Riproponendo poi un’altra questione che su queste colonne abbiamo affrontato decine di volte: ovvero che il valore soglia e il valore limite degli inquinanti, anche se rispettati, non offrono alcuna garanzia sulla salvaguardia dell’ambiente e della salute dei cittadini. “Nessun inquinante emesso dall’Ilva ha un valore soglia al di sotto del quale possa ritenersi sicuro per la salute umana. Per salvare i tarantini bisogna chiudere l’area a caldo”, ha dichiarato Di Ciaula tra gli applausi. Dopo aver snocciolato tutti i dati ormai noti su mortalità in eccesso, malattie tumorali, diossina nel latte materno, Di Ciaula ha fatto infine notare “che le evidenze epidemiologiche sono ormai incontestabili e rendono superflua ogni altra ricerca di tipo epidemiologico”.

Giusto per ribadire ciò che abbiamo provato a scrivere nei scorsi giorni su queste colonne, pur sollevando infinite “polemiche”. Il medico dell’ISDE ha ancora portato l’esempio dell’acciaieria di Sparrow Point, situata nei pressi di Baltimora, negli Stati Uniti: “Era la più grande acciaieria degli Stati Uniti – spiega – anche lì, sui balconi delle case c’era “kish”, la polvere di minerale. Dopo aver raccolto evidenze epidemiologiche, alla fabbrica è stata imposta l’ambientalizzazione. I lavoratori sono passati da 30mila a 2mila. Poi lo stabilimento è stato chiuso perché non riusciva a rispettare le prescrizioni. Dalle sue ceneri, il territorio sta rinascendo in maniera sostenibile puntando su alternative che possono dare migliaia di posti di lavoro. Muoiono le persone e può morire anche un’acciaieria. Non ci dobbiamo spaventare davanti a questo, se ci propongono un’alternativa”. Se la si propone, appunto. Infine, Di Ciaula ha sottolineato, così come fece a Roma a fine giugno, l’importanza della prevenzione primaria, che punta a rimuovere le cause delle patologie: “Quando il male insorge, si è già in presenza di una sconfitta della medicina. Nel caso dell’Ilva – conclude – i fattori che possono essere rimossi sono noti da oltre vent’anni. Adesso è arrivato il momento di pensare alla prevenzione primaria dei tarantini che hanno già dato più del necessario”. Chapeau.

(Ps: si ringrazia il sito inchiostroverde.it per la concessione delle dichiarazioni rese dal dott. Di Ciaula all’incontro di Grottaglie).

 Gianmario Leone (TarantoOggi, 12.09.2013)

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