Nell’incontro svoltosi ieri il ministro Orlando, si legge in uno scarno comunicato diffuso dal ministero dell’Ambiente, ha voluto “approfondire con la Commissione lo stato di avanzamento del Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria dei lavoratori e della popolazione e di prevenzione del rischio di incidenti rilevanti, piano che dovrà prevedere le azioni e i tempi necessari per garantire il rispetto delle prescrizioni di legge e dell’AIA”.
Anche se non viene ricordato nel comunicato del ministero, secondo il decreto 61 del 4 giugno scorso convertito in legge il 1 agosto, il piano di lavoro dei tre esperti potrà modificare l’AIA “limitatamente alla modulazione dei tempi di attuazione delle relative prescrizioni”. Stando alle ultime notizie, il comitato dei tre dovrebbe presentare il testo entro il 15 settembre: ovvero 60 giorni dopo la nomina così come previsto dal decreto 61. Ma la prossima presentazione del piano, altro non è che il primo step del percorso previsto dalla normativa vigente: una volta ufficializzato il testo, gli enti locali potranno presentare le loro osservazioni, che il commissario Ilva Enrico Bondi acquisirà e girerà nuovamente al comitato dei tre esperti, che redigeranno poi il testo definitivo del piano: il tutto entro 120 giorni dalla loro nomina.
Non solo. Perché ammesso e non concesso che il tutto avvenga entro i termini prestabiliti (scadenza 15 novembre), Bondi avrà poi altri 30 giorni per integrarlo al suo piano industriale. Perché anche se ad una prima lettura può sembrare che è il piano industriale a doversi plasmare sulle indicazioni che fornirà il comitato dei tre esperti, la realtà è esattamente l’opposto. Del resto, modificare l’AIA “limitatamente alla modulazione dei tempi di attuazione delle relative prescrizioni”, cos’altro vuol significare se non allungare entro la fine del commissariamento dell’Ilva, previsto per l’estate del 2016, i tempi in cui applicare le prescrizioni presenti nell’AIA? Tra l’altro, bisognerà anche intendersi su questo punto: perché è chiaro a tutti che i 1,5-1,8 miliardi previsti da Bondi come somma totale da investire per il risanamento dell’area a caldo dell’Ilva, non basteranno a rendere, non eco-compatibile, ma anche soltanto accettabile, l’attività produttiva del siderurgico tarantino.
Intanto, abbiamo appreso un altro piccolo particolare in merito alla “ricerca” dei fondi da parte del commissario Bondi. Appurato che gran parte delle risorse in questione sarà garantita dai prestiti che arriveranno da un gruppo di banche italiane (Intesa San Paolo e Gruppo Ubi le più accreditate, visto che tra l’altro sono le più esposte sui debiti pregressi contratti durante la gestione dei Riva), dalla Banca Europea degli Investimenti (BEI) e da una linea finanziaria prevista dal piano dell’acciaio varato dall’Unione Europea lo scorso giugno, Bondi ha affidato a Banca Leonardo il compito di ‘advisor’. Il Gruppo Banca Leonardo è una banca d’affari privata e indipendente, che ha sede a Milano e opera nei paesi dell’Europa Continentale attraverso società controllate in Francia, Germania, Benelux, Spagna e Svizzera.
Il suo compito sarà quello di trovare quanti più creditori possibili per finanziare i lavori previsti dall’AIA. Soltanto in un secondo momento, e soltanto se sarà strettamente necessario, si attingerà dagli introiti che deriveranno dalla vendita dell’acciaio di qui ai prossimi tre anni, quando terminerà il periodo di commissariamento del siderurgico tarantino previsto dal decreto 61. Quando l’Ilva attuale sarà soltanto un lontano ricordo. Tutti, infatti, sanno perfettamente, anche se continuano ad ignorarlo, che il siderurgico tarantino è destinato ad un forte ridimensionamento. Ma è certo che finché non si conoscerà il piano di lavoro definitivo dei tre esperti e il piano industriale, si continuerà a vagare nel buio, credendo ad ogni tipo di fantasia possibile. Semplicemente perché ancora nessuno è in grado di stabilire con certezza dove si abbatterà la mannaia di Enrico Bondi. Dopo di che, ciò che seguirà, sarà un percorso “naturale” che porterà il più grande siderurgico d’Europa a non esserlo più. Per sempre.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 11.09.2013)
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