Sono Lanfranco Legnani, direttore “ombra” dell’Ilva; Alfredo Ceriani, responsabile dell’area a caldo; Giovanni Rebaioli, gestore dell’area parchi minerali e impianti marittimi; Agostino Pastorino, responsabile dell’area ghisa e degli investimenti nell’Ilva; Enrico Bessone, responsabile dell’area manutenzione meccanica delle acciaierie.
Legnani è ai domiciliari nella sua abitazione di Bussolengo (Verona), per tutti gli altri il gip, che lo scorso 12 agosto ricevette la richiesta di misure cautelari dalla Procura di Taranto, ha disposto l’arresto e la traduzione nel carcere di Taranto. “Dalle indagini sull’Ilva è emersa l’esistenza di una sorta di governo aziendale occulto (non ufficiale) operante all’interno dello stabilimento di Taranto, una struttura ombra costituita da soggetti denominati ‘fiduciari’, che di fatto governavano il siderurgico”.
Del governo ombra così scriveva il Tribunale del riesame di Taranto, motivando la decisione, adottata il 15 giugno scorso, di rigettare i ricorsi di Riva FIRE e Riva Forni Elettrici contro il sequestro di beni sino ad 8,1 miliardi di euro disposto dal gip Patrizia Todisco. I fiduciari, scrivevano ancora i giudici del Tribunale, sono soggetti “non inquadrati nell’organico di Ilva Spa ma riconducibili direttamente alla proprietà ed alla famiglia Riva. Alcuni di essi, funzionalmente dipendenti di altre società del gruppo Riva, sono ufficialmente distaccati all’interno dello stabilimento, con deleghe di funzioni; altri, funzionalmente dipendenti delle suddette ulteriori società del gruppo Riva, non sono ufficialmente impiegati presso Ilva spa (ci sarebbe stato persino un direttore-ombra, ndr); altri ancora operavano od operano all’interno dello stabilimento come consulenti esterni”.
Di tutto questo, dunque, è stata trovata conferma nelle indagini svolte dalla GdF. “Il provvedimento – si legge nella nota diramata dalla Guardia di Finanza – è scaturito da approfondimenti investigativi all’esito dei quali è stato ipotizzato che da anni, precisamente dal 1995 (dall’insediamento del gruppo Riva a Taranto), determinati soggetti di diretta derivazione della proprietà (cosiddetti “fiduciari”) tenevano sotto stretto controllo lo stabilimento, avendo il compito effettivo di verificare l’operato dei dipendenti, assicurandosi che fossero rispettate le logiche aziendali”.
“Il fiduciario – si legge ancora nella nota – ha rappresentato una figura di “governo”, che dettava disposizioni su tutte le decisioni da adottare all’interno dello stabilimento pur non avendo, nella maggior parte dei casi, responsabilità “ufficiali”; dallo stesso dipendevano anche le decisioni dei vari capi-area. Gli accertamenti svolti – afferma la Finanza – hanno dimostrato che la proprietà aveva ideato, creato e strutturato, una “governante” di tipo parallelo, che si avvaleva di personale dipendente da altri stabilimenti Ilva o società appartenenti allo stesso gruppo, di personale dipendente direttamente dalla Riva FIRE, di consulenti esterni (spesso attraverso società in accomandita semplice), sia inquadrati che non nell’organigramma aziendale del Gruppo Riva”.
Il teorema dei militari delle Fiamme Gialle, trova conferma nell’ordinanza del gip Patrizia Todisco, nella quale si legge infatti che “la politica di impresa ormai attuata nel corso di tantissimi anni e lo stato di organizzazione portato avanti nel tempo dai dirigenti dell’Ilva, ufficiali e non, denotano la totale assenza di qualsiasi iniziativa orientata nel senso della prevenzione”. I cinque “impartivano ordini e direttive in perfetta unità di intenti con la proprietà (…) forti della consapevolezza dell’irresponsabilità della loro condotta, svolgentesi al di fuori delle deleghe di funzioni comportanti precise responsabilità di legge”.
“Tale sistema – scrive sempre il gip – ha consentito ai Riva di continuare ininterrottamente attraverso la longa manus dei suoi fiduciari e nonostante varie sentenze penali emerse dal 1998 nei confronti dei vertici dell’Ilva, a gestire lo stabilimento secondo la cinica e spregiudicata logica della massimizzazione del profitto a scapito della salute pubblica e dell’ambiente”.
La struttura dei fiduciaria è stata definita dagli inquirenti di tipo “piramidale”, al cui vertice c’era Legnani, che figurava quale direttore-ombra. Poi c’erano i ‘fiduciari apicali’, fascia che comprendeva “persone molto vicine alla famiglia Riva” con la quale intrattenevano rapporti quotidiani; tra questi Ceriani, Rebaioli e Pastorino. Quindi c’erano i ‘fiduciari intermedi’, che avevano compiti tecnico-operativi e ai quali venivano conferiti incarichi ufficiali con delega (tra questi anche Bessone). L’ultima fascia della struttura comprendeva i ‘fiduciari base’, cioè tecnici che nei vari reparti eseguivano gli ordini degli ‘apicali’.
L’esistenza del ‘governo ombra’ spuntò fuori anche in una intercettazione telefonica finita nell’inchiesta sull’Ilva, nella quale l’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso riferiva a Fabio Riva, vice presidente di Riva FIRE ed oggi a Londra in attesa di essere o meno estradato in Italia a seconda di cosa decideranno i giudici inglesi che torneranno a riunirsi in udienza soltanto il prossimo mese di gennaio, che un dirigente del siderurgico si lamentava dell’atteggiamento prevaricatore di un ‘fiduciario’ aziendale dell’area ghisa, Agostino Pastorino, che di fatto impartiva ordini scavalcandolo nel ruolo.
Per tutti l’accusa è di associazione a delinquere finalizzata al compimento di reati ambientali, avvelenamento di sostanze alimentari e omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Negli ultimi mesi i finanzieri hanno ascoltato decine di persone tra dirigenti dell’Ilva, sindacalisti e dipendenti dello stabilimento per definire il ruolo dei cinque. Domanda: ma i sindacati metalmeccanici di tutto questo erano a conoscenza? E Confindustria Taranto? E Federacciai? Chissà…
Gli arresti di oggi chiudono dunque il cerchio della lunga inchiesta scoppiata nel luglio del 2012: adesso si attende soltanto l’invio degli avvisi della chiusura delle indagini. Dopo l’invio degli avvisi di garanzia, gli indagati – che sarebbero diverse decine – avranno tempo 20 giorni per presentare le loro memorie difensive o essere ascoltati, dopodiché i magistrati chiederanno l’archiviazione o il rinvio a giudizio. Ed allora, finalmente, partirà un processo che segnerà la storia di questa città.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 07.09.2013)
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