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Ilva, incontro con il “nemico”

TARANTO – S’incontreranno per la prima volta quest’oggi a Roma. Da un lato ci sarà Enrico Bondi, ex ad e ora Commissario straordinario per decreto dell’Ilva Spa; dall’altro il coordinamento sindacale di tutti gli stabilimenti dell’Ilva, affiancati dai segretari nazionali di Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm Uil. Di per se, almeno sulla carta, è un incontro storico: è infatti la prima volta dal suo arrivo in Ilva, che Bondi incontra i sindacati. Dimostrazione, l’ennesima, di come nella vicenda del siderurgico tarantino le organizzazioni sindacali e i loro “leader” di ogni ordine e grado, abbiano perso, del tutto, autorevolezza e credibilità. Conniventi per anni con la gestione Riva, “intercettati” dalla Guardia di Finanza in conversazioni, con alcuni dirigenti Ilva, tutt’altro che a difesa della salute degli operai e dell’ambiente all’interno ed all’esterno della grande fabbrica, indagati per la “poco” limpida gestione del circolo “Vaccarella” di Paolo VI, attendono ora di sapere dal super manager Enrico Bondi cosa ne sarà del più grande siderurgico d’Europa. Che a molti di loro ha permesso di fare una vita da nababbi oltre che carriere nel sindacato tutt’altro che disprezzabili.

Ciò detto, l’incontro odierno servirà soltanto a fare le dovute presentazioni. E a far capire ai sindacati che adesso comanda Bondi, alter ego al contrario della famiglia Riva. Perché se sino al luglio del 2012 ad imperare è stata la logica del profitto, costi quel che costi, da qualche mese a questa parte è iniziata una lenta ma inesorabile dismissione. Che avverrà secondo i dettami del super manager: che taglierà ovunque sarà possibile e traghetterà l’Ilva verso lidi sin qui mai esplorati. Scorpori, vendita di singoli rami d’azienda, esuberi e minor spesa possibile. Del resto, la più limpida dimostrazione di ciò, l’abbiamo avuta a fine luglio, quando Bondi informò il governo del fatto che gli interventi per il risanamento dell’area a caldo dell’Ilva, ammonteranno a non più di  1,8 miliardi.

I calcoli, dunque, sono stati già fatti. Ed i sindacati, pur recitando la parte di chi ha fiducia e poi cade puntualmente dalle nuvole, sanno benissimo che quelle risorse, ammesso e non concesso che saranno ben impiegate, non basteranno a “risanare” nemmeno la metà della metà dell’area a caldo. Né basteranno a realizzare il sogno (per loro) di una vita (sempre la loro): rendere compatibile con la salute e l’ambiente il più grande siderurgico d’Europa in appena tre anni. Altrove, invece, per risanare stabilimenti ed aree ben più piccole dell’Ilva, ci hanno messo trent’anni. Chissà perché. Oggi, quindi, i sindacati si sentiranno ripetere ciò che Bondi ha illustrato alle commissioni Ambiente e Industria del Senato nell’audizione del 23 luglio scorso, quando i senatori della Repubblica italiana erano appena rientrati dalla farsesca due giorni in visita all’Ilva ed alla città dei Due Mari.

Bondi informerà i sindacati che la spesa prevista non supererà gli 1,8 miliardi di euro: 325 milioni per l’anno corrente, 855 nel 2014 e 620 nel 2015. Risorse che saranno garantite da un finanziamento di un gruppo di banche italiane (Intesa San Paolo e Gruppo Ubi, le più esposte nei confronti di Ilva per i debiti contratti negli anni passati, e Banca Leonardo) e dalla BEI. E’ Bondi che garantisce le banche sul fatto che quei soldi non saranno investiti a fondo perduto: il suo nome, la sua carriera, la sua autorità. Ma per sapere come e dove saranno investite quelle risorse, bisognerà attendere ancora. Ciò vuol dire che il piano industriale che i sindacati fingono di attendere dallo scorso anno, ancora non c’è. Nel dicembre dello scorso anno ci stava lavorando l’ex direttore Ilva, Adolfo Buffo, poi dimessosi e uscito di scena.

Ad aprile invece, l’ex presidente Ilva Bruno Ferrante parlò di un piano industriale pronto, di un piano investimenti di 2,5 miliardi di euro per attuare le prescrizioni AIA, e di un bilancio 2012 soltanto da rivedere alla luce del dissequestro dei materiali semilavorati del valore di quasi 1 miliardo. Di tutto questo non c’è mai stato traccia, ma i sindacati fanno ancora finta di niente. Attendono, vegetano. Non solo. Perché il comitato dei tre esperti nominati dal ministero dell’Ambiente redigerà entro settembre il “piano di lavoro” che dovrà “prevedere le azioni e i tempi necessari per garantire il rispetto delle prescrizioni di legge e  dell’AIA”, piano al quale gli enti locali potranno presentare osservazioni, che Bondi acquisirà e girerà nuovamente al comitato dei tre esperti che redigeranno poi il testo definitivo del piano: il tutto entro 120 giorni dalla loro nomina, avvenuta lo scorso 14 luglio.

Dunque, se si prenderanno il tempo concesso loro per legge, soltanto entro novembre ne saranno svelati i contenuti: Bondi avrà poi altri 30 giorni per integrarlo al suo piano industriale. Tutto questo per conseguire un unico vero obiettivo: modificare l’AIA, “limitatamente alla modulazione dei tempi di attuazione delle relative prescrizioni”, come previsto dal comma 7 della legge varata lo scorso 1 agosto. Ecco perché oggi del piano industriale non vi sarà nemmeno l’ombra. Né si saprà nulla sul futuro degli operai. Perché su tutto deciderà Bondi, che ha ricevuto da tempo carta bianca dal governo ed ha la totale fiducia totale del sub commissario Edo Ronchi e della famiglia Riva. Auguri.

 Gianmario Leone (TarantoOggi, 03.09.2013)

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