Perché è lì dentro che dovranno finire i rifiuti della lavorazione dell’Ilva (ma perché sino ad oggi dove sono stati smaltiti se non lì dentro?) e i residui dei lavori di risanamento previsti sugli impianti dell’area a caldo. Ma se qualcuno pensa che la rapidità del governo sia direttamente proporzionale all’approssimazione con cui saranno fatti i lavori, “si sbaglia di grosso”. “Comunque, le discariche saranno realizzate seguendo ed applicando le BAT, le migliori tecnologie disponibili (non di certo le BREF, le migliori tecnologie in assoluto, ma questa è oramai storia vecchia). Quindi – ha precisato Nicastro – mi ha assicurato il ministro Orlando, saranno impianti che non creeranno ulteriori danni ambientali”. Avevate dubbi? Inoltre, Nicastro ha annunciato che il ministro Orlando “sta facendo partire le convocazioni per un incontro sull’argomento nella prossima settimana a Roma. Sarà un tavolo dove ci saranno gli enti locali, cioè Regione Puglia e Comuni di Taranto e Statte, insieme all’ARPA Puglia e all’ISPRA. Riesamineremo anche i pareri di compatibilità ambientale sui due siti espressi tempo addietro dal Governo nazionale per i rifiuti pericolosi e dalla Regione Puglia per quelli non pericolosi”.
Dunque, nell’ennesimo tavolo tecnico sull’Ilva, torneranno sul tavolo non solo la determina datata 11 maggio 2010 con cui la Regione Puglia rilasciava il provvedimento di VIA (Valutazione d’impatto ambientale) a favore del progetto dell’Ilva (“Discarica per rifiuti speciali non pericolosi prodotti dallo stabilimento Ilva di Taranto e dalle aziende partecipate presenti nel territorio della provincia in area Cava Mater Gratiae, in agro di Statte”) presentato nel lontano luglio del 2004 (un ampliamento tecnologico della discarica ritenuto “imprescindibile” dall’azienda e fondamentale per ottenere l’ok sull’AIA ottenuta il 4 agosto 2011); ma addirittura la prima VIA datata 28 giugno 1995, a firma del ministero dell’Ambiente e del ministero dei Beni Culturali, con cui fu approvato il “progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale (VIA) riguardante le due discariche di seconda categoria rispettivamente di tipo B e C, da realizzarsi all’interno dell’area industriale Ilva di Taranto in una zona già utilizzata per l’attivia estrattiva e precisamente all’interno di un’area dismessa di una vasta cava di materiale calcareo, denominata Cava Mater Gratiae”. Dunque, la prossima settimana a Roma si rileggerà un documento di 18 anni fa. Chapeau.
La tesi di Nicastro sulla necessità di agire con urgenza (e quindi con l’ennesimo decreto ad hoc), ovviamente, è stata ampiamente confermata dal ministro Orlando. “La ragione ispiratrice della norma – ha dichiarato il ministro – è stata la preoccupazione che l’attività di risanamento ambientale dell’Ilva si interrompesse in assenza di luoghi nei quali collocare il materiale risultante dalla bonifica. La norma era necessaria per rispondere alle prescrizione sull’impiantistica contenute nell’AIA, ma se ci saranno le condizioni di un accordo ordinario tra enti competenti potrà anche non essere utilizzata”. Peccato che appena tre giorni fa, quando fu approvato il decreto, la tesi del ministero dell’Ambiente era tutt’altra: l’urgenza del provvedimento infatti, era stata necessitata per scongiurare la ricerca di siti esterni per lo smaltimento dei rifiuti, che richiederebbe tempi lunghi e costi molto elevati che “sottrarrebbero risorse ad altri interventi ambientali”.
Il ricatto tutt’altro che celato di tre giorni fa (o si procede su questa strada oppure i costi aggiuntivi saranno sottratti dal 1,8 miliardi di euro, la spesa prevista dal commissario dell’Ilva, Enrico Bondi, per attuare entro agosto del 2016 tutte le prescrizioni presenti nell’AIA), è improvvisamente scomparso. Infine si è appreso che dalla conversione in legge del decreto approvato lunedì dal Cdm, il sub commissario dell’Ilva, Edo Ronchi, stima un tempo di circa sei mesi per avere le due discariche in esercizio. E nel frattempo i rifiuti del fantomatico risanamento dove andranno a finire? O dobbiamo pensare che le prime attività di bonifica non partiranno prima dei sei mesi visto che il ministro dell’Ambiente vuole che ci sia contemporaneità tra le attività previste dall’AIA e l’utilizzo delle due discariche? Mistero. Intanto, ignorando volutamente il silenzio dei sindacati sulla questione e il demagogico intervento della senatrice Pd Anna Finocchiaro sulle “problematiche ambientali di Taranto”, torniamo a porre i quesiti di sempre.
Dato per certo che già nel 2010 la stessa Ilva rilevava che sia nella falda di superficie con “manganese, ferro,alluminio, arsenico, cromo esavalente e cianuri totali per gli inorganici, mentre i contaminanti organici riscontrati sono IPA, BTXES e diversi composti clorurati”, sia nella falda profonda con “piombo, ferro, manganese,alluminio, cromo totale, nichel e arsenico mentre per gli inquinanti organici si è avuto il superamento per triclorometano, tetracloroetilene, diversi IPA”, i campioni superassero di tre o più parametri il valore limite di accettabilità, come si fa oggi a parlare di utilizzo della Mater Gratiae quando nessuno sa con certezza scientifica assoluta quale sia lo stato attuale della falda? Quando nessuno è in grado di dire in che quantità l’Ilva abbia versato liquami e solidi di ogni genere negli ultimi 18 anni? Quando nessuno degli attori di questa vicenda abbia idea di come sia realmente oggi strutturata una delle discariche più grandi d’Europa (tra l’altro presente nel perimetro del siderurgico sin dalla sua nascita, ovvero negli anni ’60)? Come si può soltanto ipotizzare di utilizzare un sito del genere, senza prima sapere ed andare a vedere cosa ci è finito dentro per decenni? Ma qualcuno dei nostri prodi ha compreso che dallo stato attuale della falda superficiale e profonda della falda dipende il futuro ambientale e sanitario di questa città per i prossimi decenni? Ai posteri (ma quando?) l’ardua sentenza.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 29.08.2013)
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