TARANTO – Riceviamo e pubblichiamo una nota stampa dell’associazione ambientalista Peacelink.
L’ARPA Puglia specifica di avere chiesto gli opportuni interventi “già dalla prima AIA” del 2011. L’inerzia che ne è seguita a questo punto è sotto gli occhi di tutti, alla luce del lapidario comunicato dell’ARPA. E’ inquietante che in tutto questo tempo un sistema indispensabile per la protezione delle acque (che tra l’altro non è una “migliore tecnologia” ma è un vero e proprio obbligo di legge) sia rimasto inattuato. E’ stato proprio il dott. Vitaliano Espostito (e poi ARPA in giornata) a comunicare per email questa imbarazzante informazione all’ISPRA e all’Ilva, oltre che a PeaceLink.
Ma che cosa prevede la legge a questo riguardo?
La Regione Puglia, con Deliberazione di Giunta del 19 giugno 2007, n. 883, ha adottato, ai sensi dell’art. 121 del D. Lgs. n. 152/2006, un “Piano di tutela delle Acque”. Tale piano impone che “le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne che dilavano dalle pertinenze di stabilimenti industriali, di cui alla definizione, devono essere raccolte in vasche a tenuta stagna e sottoposte ad un trattamento depurativo appropriato in loco tale da conseguire il rispetto dei limiti di emissione previsti dalla tab. 3 di cui all’allegato 5 del D.Lgs. 152/99, per le immissioni in fogna e nelle acque superficiali; il rispetto dei limiti di emissione previsti dalla tab. 4 di cui all’allegato 5 del D.Lgs. 152/99, nel caso di scarico sul suolo. Inoltre, le acque di dilavamento successive aquelle di prima pioggia, che dilavano dalle pertinenze di stabilimenti industriali e che non recapitano in fognatura, devono essere sottoposte, prima del loro smaltimento, ad un trattamento di grigliatura, disoleazione e dissabbiatura”.
Il piano regionale prevede delle sanzioni: “Chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle Regioni ai sensi dell’articolo 113, comma 1, lettera b), è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da millecinquecento euro a quindicimila euro“. L’art. 137, comma 9 D.Lgs. 152/06, dichiara che “chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle Regioni ai sensi dell’articolo 113, comma 3 (ossia chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata), è punito con l’arresto da due mesi a due anni o con l’ammenda da millecinquecento euro a diecimila euro“. A questo punto la domanda è d’obbligo: chi non ha agito fino a ora per applicare la legge? Ci sono responsabilità politiche visto che l’organo tecnico aveva già segnalato il problema? La questione sarà portata all’attenzione della Procura della Repubblica.
Antonia Battaglia
Fulvia Gravame
Luciano Manna
Alessandro Marescotti
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