Ilva, arrivano i “Bondi boys”
TARANTO – La prima invenzione dell’Ilva targata Enrico Bondi ha preso il via nella giornata di ieri. Una nota ufficiale dell’azienda informa infatti che è diventato operativo un “dipartimento” che si occuperà, all’interno dello stabilimento di Taranto, di gestire i lavori previsti dall’AIA. Un gruppo di persone dovrà supervisionare l’andamento delle operazioni di risanamento sugli impianti dell’area a caldo. Quali lavori però, non è dato sapere. Visto che l’AIA rilasciata dall’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini sarà rivista, sicuramente per quanto attiene all’attuazione tempistica delle singole prescrizioni, come previsto dal decreto 61 definito ‘salva Ilva bis’ in queste ore al Senato per la sua conversione in legge.
Secondo quanto dichiarato dall’Ilva, a dirigere questo dipartimento sarà un vecchio amico dello stesso Bondi: l’ingegner Erder Mingoli che ha già ricevuto formale incarico dal commissario. Mingoli, 73 anni, proviene dal Gruppo Lucchini (guarda un po’ le coincidenze), uno dei leader europei nella produzione di acciaio. Mingoli ha ricoperto negli ultimi dieci anni, trascorsi nel settore siderurgico, l’incarico di amministratore delegato del gruppo Lucchini RS (fino al 2007 Lucchini Sidermeccanica) e delle sue controllate e partecipate estere (Inghilterra, Polonia, Svezia, Cina). In precedenza Mingoli ha ricoperto incarichi di vertice nel Gruppo Montedison (da cui è passato lo stesso Bondi), nel gruppo Fiat in Europropulsion (Francia) e in Snia-Bpd.
Altra novità del dipartimento è che lavorerà in stretta collaborazione con il sub commissario Edo Ronchi e i tre esperti nominati dal ministero dell’Ambiente. Del gruppo faranno parte anche dieci ingegneri che saranno formati “attraverso un progetto di apprendistato di Alta Formazione e Ricerca che Ilva sta avviando con importanti atenei pugliesi e nazionali”. Il progetto, che coinvolgerà complessivamente 30 giovani ingegneri, è stato già illustrato nelle sue linee guida dal Bondi durante l’audizione della settimana scorsa alle Commissioni riunite Industria e Ambiente del Senato della Repubblica nello stesso giorno in cui una delegazione delle commissioni concluse la due giorni farsa della visita allo stabilimento e delle audizioni con enti locali, associazioni e comitati del territorio.
Lo scopo del programma di formazione “è quello di creare un team composto da professionisti che facciano dell’attenzione per i temi ambientali un caposaldo della propria cultura professionale”. Probabilmente, nemmeno la Mulino Bianco sarebbe stata capace di fare meglio. Ciò che invece non è assolutamente chiaro è chi retribuirà il Mingoli e i 30 ingegneri. L’Ilva stessa oppure lo Stato visto che l’azienda è stata commissariata? Mistero.
Nella parte finale della nota dell’Ilva, trova spazio anche quello che a detta di Bondi l’Ilva ha già investito e investirà nei prossimi tre anni per l’attuazione delle prescrizioni AIA (dati che lo stesso commissario espose nell’audizione a Roma della scorsa settimana). Stando ai dati forniti da Bondi, al 16 luglio l’impegno economico consuntivo derivante dagli interventi di allineamento dell’AIA è pari a circa 168 milioni di euro, ovvero il 52% dell’impegno previsto per il 2013. Questo perché l’Ilva ha preventivato per gli interventi di risanamento del siderurgico per tutto il 2013, una spesa totale di appena 325 milioni. Il piano industriale che arriverà dopo l’estate, avrà quattro priorità, come sostenuto dallo stesso Bondi: “Esecuzione degli investimenti per il miglioramento ambientale, controllo dei costi, efficienza commerciale, efficienza del circolante”.
Bondi, così come avvenuto anche durante la sua audizione dello scorso 19 giugno alle commissioni Ambiente e Attività Produttive della Camera, è anche entrato nel dettaglio in merito alla situazione economica dell’Ilva Spa. Da novembre 2012 ad aprile 2013 l’azienda ha registrato un forte calo delle vendite. Ciò detto, nonostante la perdurante crisi di mercato, secondo Bondi l’Ilva Spa è in ripresa: ad aprile si è registrato un aumento del 20% rispetto al periodo post-sequestro, mentre a maggio del 50% anche grazie alla spedizione di ordini pregressi. Inoltre, sempre restando in ambito AIA, Bondi conferma che l’investimento totale per il prossimo triennio, sarà di 1,8 miliardi di euro: risorse del tutto insufficienti ad “esaudire” il rigoroso rispetto delle prescrizioni imposte dall’Autorizzazione integrata ambientale.
Il piano di lavoro che Ronchi e i tre esperti nominati dal ministero dell’Ambiente redigeranno, sul quale avranno parola anche lo stesso Bondi ed il responsabili amministrativo della Riva Fire, il commercialista tarantino Mario Tagarelli, dovrà dunque inevitabilmente prevedere dei tagli. E la prescrizione più indiziata è sicuramente la copertura dei parchi minerali, per la quale ci vogliono diverse centinaia di milioni, se non più di un miliardo di euro. Ecco perché, tempo addietro, non ci stupimmo della bocciatura dell’emendamento che prevedeva l’inserimento nel decreto dalla VDS (Valutazione d’Impatto Sanitario), così come non ci stupimmo del fatto che nell’AIA dell’ex ministro Clini non trovò posto lo studio Sentieri. E che la relazione dell’ISDE dello scorso 26 giugno sia stata del tutto ignorata. Gli effetti sulla salute, ancora oggi, sono semplicemente un intralcio. Non solo.
Perché come si ricorderà, il miliardo e 800milioni di spesa previsti, saranno garantiti da un finanziamento bancario che arriverà da un gruppo di banche italiane (Intesa San Paolo e Gruppo Ubi che sono le più esposte nei confronti di Ilva per i debiti contratti negli anni, e la Banca Leonardo) e dalla BEI. Ed è probabile che nella discussione a Palazzo Madama, possa trovare spazio all’interno del decreto, un emendamento presentato da SEL, partito del governatore Vendola, che come riportammo giorni addietro, proponeva di chiamare in causa il fondo della Cassa depositi e prestiti (eventualità che su queste colonne avanzammo già lo scorso autunno), per trovare le risorse necessarie agli interventi dello stabilimento.
L’idea prevede che il commissario possa richiedere al Fondo strategico italiano spa, istituito presso la Cdp, “in caso di comprovata impossibilità di disporre delle risorse finanziarie della società proprietaria dello stabilimento di interesse strategico nazionale le somme necessarie all’esecuzione delle disposizioni previste dall’AIA. In cambio, come corrispettivo di queste somme sono conferite al Fondo quote azionarie della società proprietaria dello stabilimento che possono eventualmente essere riacquistate dalla società”. Ricordiamo che la Cassa Depositi e Prestiti è una società per azioni finanziaria italiana, partecipata per il 70% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, e per il 30% da diverse fondazioni bancarie, dotata di due rami di azienda, di cui uno proprio relativo al “finanziamento di opere, di impianti, di reti e di dotazioni destinati alla fornitura di servizi pubblici e alle bonifiche”.
E non bisogna dimenticare che nel decreto troverà sicuramente posto l’emendamento in cui si punta a riservare alle banche il 60% delle risorse per i creditori, in caso di fallimento dell’azienda. Da notare che nonostante per la prima volta sia stata prevista la parola “fallimento” nel prossimo futuro dell’Ilva, tutti hanno fatto finta di niente, sostenendo che nel 2016 il siderurgico tarantino sarà un fiore all’occhiello dell’industria italiana ed europea (concetto che i sindacati tarantini esprimevano già nel dicembre 2011 grazie all’applicazione dell’AIA rilasciata all’Ilva nell’agosto 2011). Un dato che lascia molto da pensare su quale sarà il destino del più grande siderurgico d’Europa. Che secondo le menti raffinatissime dello Stato italiano, tra tre anni dovrà tornare nella mani del gruppo Riva.
La nota dell’Ilva si conclude con i lavori che sarebbero stati già attuati: “una rete di rilevamento e monitoraggio delle emissioni, (ad esempio, rete di rilevazione, rete idranti dei parchi, sistemi di nebulizzazione) e sono stati emessi i primi ordini per i lavori nelle cokerie, altiforni, acciaierie e per la copertura dei parchi secondari”. I primi, come dimostrato su queste colonne dopo le due ispezioni dei tecnici ISPRA, sono del tutto inadeguati e insufficienti allo scopo previsto, oltre a non essere i dispositivi originali e/o quelli previsti dalle BAT. I secondi sono stati già emessi lo scorso anno e sono stati affidati tutti a ditte del Nord (anche questo già riportato settimane addietro su queste colonne). Chapeau.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 30.07.2013)