L’azienda sosteneva di aver impiegato sugli scaricatori “le modifiche alla logica di funzionamento in rispetto delle prescrizioni tecniche rilasciate dalla ditta Phoenix. Tale modifica impedisce di fatto ogni discrezionalità nelle operazioni di sbarco dei materiali alla rinfusa, inibendo il comando di apertura benna allorquando questa risulta piena di materiale ed è in transito dalla nave alla tramoggia di scarico. Inoltre l’effetto del pendolamento viene inibito sempre attraverso modifiche di consensi di marcia appositamente riprogettati. La stessa società Phoenix ha provveduto alla ispezione del sistema implementato ed ha redatto opportuno rapporto. Da tale verifica risulta correttamente implementato il sistema prescritto dalla Phoenix”.
La Phoenix Contact S.p.A. (che opera nel campo dell’elettronica e dell’automazione industriale, nel settore delle energie rinnovabili, dei trasporti, delle infrastrutture e trattamento acque, del processo e della distribuzione di energia, dei costruttori di macchine e dei dispositivi elettronici) è una delle tante aziende del nord a cui l’ufficio acquisti dell’Ilva con sede a Milano si è rivolta per eseguire i lavori previsti dall’AIA. Dopo la prima ispezione avvenuta il 5-6-7 marzo, i tecnici ISPRA iscrissero nel verbale datato 12 marzo, la prescrizione n.5 tra gli “interventi completati o per i quali si prevede il completamento nel rispetto delle prescrizioni” (anche Peacelink all’epoca chiedeva spiegazioni in merito).
Sempre in quei giorni però, la Procura durante l’udienza al tribunale del Riesame sul ricorso presentato dall’Ilva contro l’ordinanza del gip Todisco che disponeva la vendita dell’acciaio sequestrato il 26 novembre, presentò un rapporto dell’ARPA nel quale l’ente regionale sosteneva che “la situazione ambientale dello stabilimento non registra segni di miglioramento e la direzione non rispetta le prescrizioni AIA” e che “a parere dell’Agenzia, i differimenti temporali dell’attuazione delle prescrizioni non fanno altro che incrementare il danno ambientale”. A differenza di quanto sostenuto dall’ISPRA e dal ministero dell’Ambiente che in quei giorni sosteneva che “risulta che l’azienda sta dando attuazione a quanto stabilito dalle prescrizioni AIA”, l’ARPA inseriva tra le prescrizioni non rispettate proprio la n.5.
Nel rapporto si leggeva: “si rileva non essere stata ottemperata come dimostrato dai recenti eventi polverulenti verificatisi a causa delle movimentazioni effettuate al V sporgente”, senza che “tra l’altro Ilva sia in possesso della necessaria autorizzazione”. Al termine del suo rapporto, l’ARPA sentenziava: “I differimenti temporali dell’attuazione delle prescrizioni non fanno altro che incrementare il danno ambientale”. Ciò nonostante, anche nella seconda relazione trimestrale sullo stato di attuazione delle prescrizioni dello scorso 27 aprile, l’Ilva sosteneva che la prescrizione fosse stata attuata. Ma nel verbale della seconda ispezione effettuata nel siderurgico, i tecnici ISPRA cambiano idea rispetto a l mese di marzo. Nel verbale di “accertamento e notifica violazione amministrativa”, si legge: “Mancato adeguamento entro il 27/01/2013 dei sistemi di movimentazione dei materiali trasportati via nave, tramite l’utilizzo di sistemi di scarico automatico o scaricatori continui coperti”.
Questo perché all’esito della seconda ispezione avvenuta nei giorni 28-29-30 maggio, ci si accorge che la soluzione tecnica implementata dall’Ilva per l’adempimento della prescrizione in questione, relativa ai sistemi di movimentazione dei materiali trasportati via nave, presso gli sporgenti 2 e 4 del porto, “non rientra tra quelle espressamente previste dall’autorizzazione, classificabile come rispondente alla BAT 11, come confermato, su richiesta di ISPRA, dal Ministero (con prot. DVA 12006 del 24/05/13); tale violazione è stata accertata con nota ISPRA (prot. 24524 del 11 giugno 2013) ed è stata notificata a all’azienda”.
Infatti, affinché la prescrizione sia considerata come attuata, l’azienda deve operare soltanto attraverso contenitori con scarico automatico o scaricatori continui coperti, con conseguente esclusione del sistema di scarico con benna come invece attualmente adottato presso lo sporgente 2 per le macchine scaricatrici DM1, DM2 e DM3 e presso lo sporgente 4 per la macchina scaricatrice DM 6. Sempre sullo sporgente 4, risultano inoltre inattive le macchine scaricatrici DM5 e DM8, le cui strutture sono ancora danneggiate a causa del tornado del 28 novembre 2012.
Dunque, come avvenuto per i “fog cannon”, anche in questo caso l’azienda non avrebbe adottato le tecnologie migliori nel settore. Le BAT infatti prevedono che nel caso di scarico materiali con benna “il materiale deve essere rilasciato nella tramoggia e la benna deve stazionare per il tempo sufficiente alla discarica. La zona di scarico in tramoggia, può essere dotata di un sistema di spruzzaggio di acqua da attivare all’occorrenza”; inoltre, “nello scarico di minerali dalle navi, oltre all’utilizzo di scaricatori dotati di benne, possono essere adottati scaricatori continui in cui il materiale viene estratto dalle stive della nave a mezzo di un elevatore flessibile che convoglia il materiale direttamente sul nastro convogliatore di trasferimento”. Ma anche su questo nessuno pare sapere alcunché. E la polvere e l’inquinamento continuano il loro corso.
G. Leone (TarantoOggi, 29.07.2013)
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