Taranto, la salute punto di partenza
TARANTO – Pur se comprensibile, è sbagliato lasciarsi andare allo scoramento per la mancata conclusione delle indagini preliminari dell’inchiesta portata avanti dalla Procura di Taranto lontano 2009, che di fatto ha comportato il ritorno in libertà del patron Emilio Riva, pur se con l’obbligo di dimora. Lo ripetiamo da sempre: è giusto che la magistratura si prenda tutto il tempo necessario per portare al termine il suo lavoro. Bisogna lasciare liberi i giudici, non pressarli e soprattutto non attendersi che venga da loro il miracolo che in tanto sognano (spesso soltanto a parole): ovvero un cambiamento radicale per questa città. Perché la magistratura indaga sul passato e su un presente destinato comunque a non essere più tale. Non sul futuro.
I magistrati applicano la legge e c’è da credere che faranno tutto quanto in loro possesso per stabilire colpe e responsabilità di quanti hanno permesso che Taranto si riducesse nello stato in cui è adesso. Ma, appunto, i giudici applicano la legge operando nel cortile del codice penale: e lo fanno all’interno delle aule dei tribunali. Che sono luoghi chiusi. La realtà, come sempre, è fuori. E il compito di cambiarla e renderla diversa spetta ai cittadini, alla società civile, alla politica: non certo alle toghe e alle loro inchieste. Lo ripetiamo da tempo: è inutile continuare ad indignarsi o a stupirsi di ciò di cui è capace il sistema politico/economico in cui siamo tutti inglobati.
Probabilmente per tanti, troppi anni, siamo stati tutti storditi dal progresso effimero, dal consumo sfrenato di bisogni indotti, dall’individualismo imperante: ma la realtà non è mai cambiata, è sempre la stessa da decenni. Nel caso dell’Ilva, ad esempio, gli interessi sono da sempre gli stessi: prima una fabbrica statale, poi diventata privata, che ha sempre prodotto milioni di tonnellate d’acciaio che hanno tenuto in piedi la siderurgia italiana e gran parte dell’industria meccanica e manifatturiera italiana per decenni. Come avviene tutt’ora. Pensiamo davvero che il non intervento della politica e dei sindacati nei confronti del gruppo Riva sia stata solo un’opera di cecità, ignoranza o becera connivenza per un gioco di interessi personali? Suvvia, signori. Con che coraggio lo Stato avrebbe dovuto imporre ad un privato di fare quei lavori che per 35 anni lui stesso non ha voluto fare, dotandosi peraltro di leggi sulla tutela ambientale che contengono ancora oggi limiti soglia/obiettivo sui singoli inquinanti, tutt’altro che tendenti alla tutela dell’ambiente e della salute? La verità è che lo Stato prima e il gruppo Riva poi (continuando comunque ad essere utile allo Stato) si sono arricchiti ed hanno creato ricchezza, per pochi, per decenni sulla pelle degli operai e di un’intera comunità. E che ciò sia avvenuto in molte altre parti d’Italia testimonia che è il sistema ad essere sempre stato pensato e sostenuto dalla famosa logica del profitto. La realtà odierna è che un intero sistema economico è imploso dopo decenni di corsa cieca e sfrenata: ed ora si sta facendo di tutto per salvare il salvabile, sperando in un nuovo miracolo economico che non arriverà.
E’ evidente dunque, la disparità di peso tra lo Stato, i suoi interessi, l’economia, i privati e una parte della società civile che invece vuol provare a cambiare il corso della storia. Soltanto che, come ripetiamo da anni su queste colonne, affinché ciò avvenga davvero, c’è bisogno di osare. Di avere il coraggio di rischiare, rinunciando a più di qualcosa. La battaglia al singolo inquinante del singolo camino dell’Ilva, quella sui valori obiettivo, sui valori soglia, sui valori limite, sulla polvere e quant’altro, doveva essersi conclusa già da un pezzo in questa città. Così come le continue sfilate e partecipazioni a convegni ed audizioni farsa, studiate apposta per dare il contentino e un po’ di visibilità e considerazione. Il fatto è che ancora oggi in molti hanno timore a scegliere da che parte stare. A dire chiaramente che non vogliono più la presenza della grande industria in questa città.
Non basta soltanto pensarlo o dirlo, certamente. Ma è fuor di dubbio che se il diritto alla salute è la base di partenza per un futuro diverso, perdere ancora giorni, mesi ed anni a discutere e a dibattere sulla presenza o meno dell’industria pesante sul nostro territorio diventa mera perdita di tempo. Bisognerebbe discutere di altro. Non solo di inquinamento. Mettere sul tavolo tutte le problematiche sociali da cui è avvolta la nostra città. Perché il futuro non sarà migliore soltanto eliminando la grande industria e lasciando irrisolti problemi atavici che riguardano tutti i campi e i settori della vita della nostra comunità. Ma in molti, da questo orecchio, proprio non ci sentono.
Ciò detto, ritorniamo ancora una volta sul diritto alla salute. Per noi inalienabile e primario rispetto agli altri. Del resto, lo stesso gip Todisco nell’ordinanza dello scorso 25 luglio sosteneva che “non un altro bambino, non un altro abitante di questa sfortunata città, non un altro lavoratore dell’ILVA, abbia ancora ad ammalarsi o a morire o ad essere comunque esposto a tali pericoli, a causa delle emissioni tossiche del siderurgico”. Orbene: una volta appurato che, come sostenuto nella relazione della Valutazione d’impatto sanitario redatta da ARPA Puglia, ASL Taranto e A.Re.S. dello scorso 29 maggio e dall’ISDE (26 giugno), anche la totale applicazione dell’AIA non renderà l’Ilva eco-compatibile né cancellerà il rischio cancerogeno per la popolazione di Taranto rendendo così la salute dei cittadini ancora una volta “negoziabile” con altre esigenze, cos’altro si deve aspettare per mettere in moto un processo collettivo?
Com’è possibile che anche di fronte a queste sentenze scientifiche non ci si riesca ad unire sotto un’unica bandiera, un unico obiettivo da perseguire tutti insieme? Una volta appurato che a Taranto si spende il doppio di quanto si faccia altrove per l’acquisto dei farmaci con cui curare i bambini da bronchiti asmatiche; che si registrano ogni anno casi di leucemia nei bambini; che da diversi studi è risultata significativamente in eccesso la mortalità per tutti i tumori in età pediatrica (0-14 anni); che vi è un aumentato rischio di mortalità entro il primo anno di vita superiore alla media regionale e nazionale, cos’altro dobbiamo farci dire? Scrivevamo lo scorso 15 settembre su queste colonne: “Ma come si fa ad avere ancora dubbi su quale strada prendere? Come facciamo a parlare ancora di PIL, di economia, di dati, cifre, tonnellate di acciaio prodotto, di importazioni, esportazioni, di AIA, di prescrizioni, di parchi, camini, cokerie, forni, polveri e quant’altro?
Come facciamo a non renderci conto che stiamo parlando del nulla di fronte ad un qualunque bambino di Taranto che si ammala sin dalla nascita? Con quale coraggio, con quale coscienza continuiamo ad avere paura del futuro pur avendo la consapevolezza che tanti bambini quel futuro non lo vedranno mai?”. Eppure, ancora oggi, siamo qui a dibattere, a litigare, discutere, provocarci, offenderci come cani rabbiosi. La strada è lunga, certo. Ma secondo noi questa città dallo scorso luglio ha perso già diverse occasioni. Ogni volta che sembrava essere arrivato il momento di svoltare, si è sempre tornati indietro. Sarà. Questo sistema economico prima o poi crollerà. Magistratura o meno, sarà così. Per questo costruire dal basso, giorno dopo giorno, mattone su mattone, pur sembrando nell’epoca virtuale di internet un ossimoro anacronistico, è per noi ancora oggi la ricetta migliore per credere e combattere per un altro mondo possibile. Ammesso e non concesso che davvero lo vogliamo. I sogni, le idee più belle, si devono provare a mettere in pratica ogni giorno. Altrimenti resteranno sempre splendide stalattiti nelle nostre menti. E nulla più. Buon weekend a tutti.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 27.07.2013)