E’ stato deciso che il decreto sarà applicato all’Ilva di Taranto ed esteso anche agli altri stabilimenti del gruppo: Genova, Novi Ligure, Racconigi, Marghera e Patrica, oltre che ai complessi industriali con non meno di 1000 dipendenti. Introdotta anche la possibilità che il commissariamento riguardi il solo ramo d’azienda che non abbia rispettato le prescrizioni AIA e non tutta l’impresa, ma comunque soltanto “in caso di reiterai pericoli gravi e rilevanti”. Ed è proprio sull’applicazione dell’Autorizzazione integrata ambientale che la politica è intervenuta a favore dell’Ilva. Innanzitutto prevedendo la sua applicazione entro tre anni: calcoli alla mano vuol dire che, stante i ritardi accumulati dall’azienda sino a fine maggio come certificato dall’ISPRA, si sforerà il limite imposto dal provvedimento licenziato dall’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini lo scorso ottobre: dicembre 2015.
Inoltre, sono stati concessi 150 giorni di tempo al sub commissario Edo Ronchi e ai tre esperti nominati dal ministero dell’Ambiente, per redigere il piano di lavoro che prevede la possibilità di rimodulare la tempistica delle prescrizioni. Gli interventi peraltro, si basano solo sui tempi di attuazione e non sui criteri di rispetto di adeguamento tecnologico e di azioni di risanamento che se non rispettati dovrebbero permettere la riapertura della stessa AIA. Chi controllerà che tutto avvenga nei tempi e nei modi prestabiliti? Non certo il Garante Vitaliano Esposito, silurato da un sub emendamento dei relatori Raffaele Fitto (Pdl) e Enrico Borghi (Pd).
Provvedimento che una sua logica ce l’ha, visto che il Garante fu istituito dalla legge 231/2012 del governo Monti, in quanto figura terza atta a controllare che l’Ilva all’epoca gestita dai Riva applicasse rigorosamente l’AIA rilasciata dal ministero dell’Ambiente. Ora che l’azienda non è più privata perché commissariata dallo Stato, una figura terza non serve più. Il problema è che al posto del Garante, i controlli sono stati affidati al comissario Bondi, alla Regione e agli enti locali: che dovranno fornire ai cittadini “dettagliatissime” e “continue” informazioni sul reale andamento delle operazioni di risanamento. Inoltre, la relazione redatta nell’ambito della Valutazione del Danno Sanitario, non potrà modificare in alcun modo le prescrizioni AIA. Al massimo, la Regione potrà chiederne il riesame (l’ennesimo).
E non viene previsto il riesame neppure a fronte di dati epidemiologici e sanitari che risultassero allarmanti, per cui se anche la Regione ne chiedesse il riesame, in linea con quanto permesso dal decreto (art. 1, comma 7), il Governo potrebbe opporsi. Il testo originale prevedeva che i proventi derivanti dall’attività dell’impresa commissariata restino nella disponibilità del commissario nella misura necessaria all’attuazione dell’AIA ed alla gestione dell’impresa. Ma sia Bondi che Ronchi hanno già parlato di un prestito finanziario dell’importo di 1,8 miliardi di euro che arriverà da un gruppo di banche e dalla BEI, che servirà alle attività di risanamento: non è un caso se è stato pensato di riservare alle banche il 60% delle risorse per i creditori in caso di fallimento dell’azienda. Dunque, siamo molto lontani dai 3,5 miliardi previsti da Clini, dai 2,5 dell’ex presidente Ilva Ferrante, dagli 8 indicati dalla Procura di Taranto e dai 10 suggeriti dai custodi giudiziari. E chi sperava nell’aiuto del Senato per migliorare il testo, è rimasto deluso. Le commissioni Industria e Ambiente di Palazzo Madama infatti, accogliendo una richiesta del governo, hanno deciso di non modificare il testo. Alla base della decisione i tempi stretti per l’approvazione del decreto, che andrà convertito in legge entro il 4 agosto.
Gianmario Leone (Il Manifesto)
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