Fingendo di ignorare che la sua figura di “garante”, era appunto stata prevista quando l’Ilva Spa era ancora un’azienda privata in mano al gruppo Riva: per questo serviva un “garante” che vigilasse sulla corretta applicazione delle prescrizioni previste dall’AIA, atto amministrativo rilasciato all’azienda dal ministero dell’Ambiente, quindi organo dello Stato. Lungi da noi, anche se non è il caso di ribadirlo, approvare che adesso sia lo stesso Bondi, affiancato da Ronchi, la Regione e gli enti locali a dover informare i cittadini sull’andamento dell’attuazione delle prescrizioni AIA.
Ovviamente, ignorando il fatto che i primi cinque mesi del suo lavoro “silenzioso” sono stati del tutto inutili, è immediatamente diventato un paladino per parte del movimento ambientalista tarantino sempre in cerca di martiri ed eroi, così come della Regione Puglia, del Comune di Taranto e dell’ARPA Puglia che ultimamente hanno stretto una strana alleanza, guarda caso proprio in prossimità della conclusione delle indagini preliminari dell’inchiesta portata avanti dalla Procura di Taranto nella quale, sempre guarda caso, sono indagati diversi esponenti della politica locale attuale.
Tra oggi e domani, invece, avremo l’onore di riceve la visita di una delegazione della commissione Industria, commercio, turismo del Senato, “evento” che rientra all’interno dell’indagine conoscitiva “sul gruppo Ilva nel quadro della siderurgia e dell’industria italiana”, avviata il mese scorso con ben 20 anni di ritardo. Alla “missione” in terra ionica parteciperà anche una delegazione della commissione Ambiente del Senato, che sta esaminando insieme alla commissione Industria, il testo del decreto legge 61 sull’Ilva, approvato dalla Camera lo scorso 11 luglio. L’indagine conoscitiva prevede una serie di incontri istituzionali, in cui saranno ascoltati anche diversi esponenti delle associazioni ambientaliste e dei comitati cittadini. “Confronti” del tutto inutili e soltanto di cortesia, nei quali si ripetono da mesi sempre le stesse cose, con il risultato finale scontato: gli inviati da Roma che prendono appunti, raccolgono carte, denunce, e poi rientrano nei loro uffici ministeriali come se niente fosse. Altrove questi signori, come i tanti loro predecessori (ministri inclusi), riceverebbero accoglienze di tutt’altro tipo.
Ciò detto, uscendo per un attimo dalle tante polemiche e beghe di quartiere che continuano ad abitare la nostra città, ribadiamo ancora una volta la linea di pensiero che questo giornale ha sposato tantissimi anni fa e non certo da ieri o da un anno come la stragrande maggioranza dei personaggi attualmente “in gioco”. L’Ilva non è mai stata, non è e non sarà mai compatibile con l’ambiente di Taranto e la salute di operai e cittadini. Ed è bene ribadire ancora una volta che proporre di chiudere solo l’area a caldo è di fatto un “non senso”, visto che un’Ilva senza impianti produttivi che alimentino l’area a freddo non ha alcun motivo di esistere.
Ciò detto, nessuna Autorizzazione integrata ambientale (visto che la prima concessa nell’estate del 2011 è stata riesaminata dal ministero dell’Ambiente lo scorso anno, e quest’ultima sarà nuovamente riesaminata per decreto dal subcommissario e dal piano di lavoro dei tre esperti nominati dal ministero dell’Ambiente che a sua volta potrà essere rivisto dal commissario straordinario Enrico Bondi e dal referente dell’Ilva Spa, il commercialista Mario Tagarelli), così come dimostrato scientificamente da ARPA Puglia nella relazione sulla Valutazione d’Impatto Sanitario (presentata in V Commissione Ambiente alla Regione dal direttore dell’ente dott. Giorgio Assennato lo scorso 29 maggio) e ancor di più dall’audizione del dott. Agostino Di Ciaula dell’ISDE (lo scorso 26 giugno), renderà immuni l’ambiente dall’inquinamento del siderurgico e i tarantini dal rischio cancerogeno in cui incorrono inalando e ingerendo le polveri derivanti dall’attività produttiva dell’Ilva (tempo addietro lo stesso discorso lo abbiamo portato avanti nei confronti della raffineria Eni in merito alla diffusione delle così dette emissioni “odorigene”, che in realtà altro non sono che la diffusione in aria/ambiente di veri e propri veleni).
Per non parlare della questione delle bonifiche: soltanto qui si attuano con le sorgenti inquinanti ancora attive. E certamente non può bastare come giustificazione alle nostre istituzioni, la garanzia fornita da uno studio di ARPA Puglia in merito ai Tamburi: ovvero che bonificarli oggi li salverà da un livello di inquinamento come quello attuale per un lasso di tempo tra i 50/150 anni prossimi. Dunque, come sempre, la questione non è se l’AIA deve essere più o meno stringente; se il Garante ci deve o non deve essere e su chi è più adatto o meno adatto per ricoprire questo ruolo; se il commissario straordinario deve essere Enrico Bondi o chissà chi altro manager nazionale o tarantino; la questione centrale, da anni irrisolta e gridata soltanto negli slogan, è pretendere una volta e per tutte una città senza la presenza della grande industria.
Ma per pretenderlo, ci vorrebbe una città unita in tutte le sue componenti, con l’unico obiettivo di pensare e rendere possibile attraverso la pratica delle idee e delle proposte ed una continua pressione verso la politica e le istituzioni, un’economia alternativa, radicata sulle risorse innate che possiede questa città e sulla valorizzazione di “industrie” già presenti sul territorio, come il porto e l’aeroporto. Continuare la guerra al singolo inquinante del singolo camino della singola industria o battagliare sulle parole di questo o quel ministro, di Bondi o di chicchessia, è sicuramente un bellissimo gioco dialettico che regala tanta visibilità mediatica, ma che concorre a fare il gioco e gli interessi di coloro i quali, e sono ancora in tanti, vuole che Taranto resti immobile e immutabile per i prossimi decenni.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 22.07.2013)
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