Vel…Eni rinnegati
TARANTO – Com’è possibile che un’azienda come l’Eni durante lo svolgimento di una Commissione Ambiente, neghi ogni addebito in merito all’emissione dell’acido solfidrico, che diverse relazioni di ARPA Puglia sin dallo scorso agosto hanno addebitato alla raffineria? Perché come ha dichiarato il direttore dell’ente regionale per la protezione ambientale, l’Eni “nega da sempre anche davanti all’evidenza dei dati scientifici: evidentemente fa parte della loro politica aziendale”? Perché, come dichiarato sempre dallo stesso Assennato, “semplicemente, se ne fregano, perché programmano e svolgono operazioni che comportano i fenomeni emissivi in questione, pur sapendo della presenza di condizioni climatiche sfavorevoli”?
Sì, perché come ci ha confermato ieri il dott. Roberto Giua, dell’Unità Operativa Semplice Aria dell’ARPA, l’Eni, così come le altre aziende della zona industriale di Taranto, vengono contattate con un preavviso di due giorni quando le condizioni climatiche si preannunciano sfavorevoli: ovvero quando il vento spira dal versante 4 (Nord, Nord-Ovest) in direzione della città e dei quartieri limitrofi come il rione Tamburi. Eppure, come ci ha confermato anche il dott. Giua, “tutti i dati scientifici in nostro possesso ci dicono che l’idrogeno solforato proviene dallo stabilimento Eni”. Dunque perché negare? “Perché hanno sempre fatto così” è la risposta unanime di Assennato e Giua. Sarà.
Eppure stiamo parlando dell’idrogeno solforato, un composto dello zolfo molto odoroso anche a basse concentrazioni, ma per il quale non esiste un limite di legge per la concentrazione in aria. Dunque, non c’è nemmeno il rischio di sforare un valore limite per cui incorrere in qualche “languida” sanzione. Eppure, negano. Sarà forse per gli effetti che ha sulla popolazione? Potrebbe essere. Visto che in letteratura si trovano numerosi valori che spaziano da 0,7 ng/m3 fino a 14 ng/m3 e che alcuni soggetti sono in grado di percepire l’odore già a 0,2 ng/m3. In corrispondenza dei valore di 7 ng/m3 (valore che si può assumere come soglia odorigena), la quasi totalità dei soggetti esposti ne distingue l’odore caratteristico. Basti pensare ad esempio che la centralina ENI 3, situata al confine con l’ex ospedale “Testa” e rivolta in direzione della città, alle 14 del 12 maggio ed alle 20 del 13 maggio scorso, ha rilevato livelli di H2S pari a 69 ng/m3: ovvero ben 6 volte il valore limite della soglia olfattiva.
Del resto, l’Eni sa molto bene che l’idrogeno solforato già a basse concentrazioni produce irritazione delle mucose, iperventilazione ed edemi polmonari, e l’esposizione prolungata comporta affaticamento cronico, inappetenza, cefalea, disturbi cognitivi e della memoria. Effetti indesiderati che come ha riconosciuto lo stesso direttore della raffineria Carlo Guarrata nella mattinata di giovedì, non sono certo piacevoli per la popolazione tarantina. E, peraltro, sono del tutto gratuiti ed improvvisi. Eppure, negano. Sarà che non vogliono sulla coscienza anche solo i tanti malanni e stati alterati che provocano in tanti cittadini innocenti. Oppure, sarà che negano per il fatto che l’idrogeno solforato, è di fatto velenoso e anche mortale per l’uomo.
E’, appunto, un veleno che agisce inibendo la respirazione mitocondriale, pertanto la sua azione tossica riguarda tutte le cellule del corpo che sfruttano il metabolismo aerobico (praticamente tutte, eccetto i globuli rossi); la caratteristica più pericolosa a medio-alte concentrazioni, è la sua capacità di inattivare la percezione sensoriale olfattiva, quale unico campanello d’allarme per la presenza nell’aria. Inoltre è già percepibile in concentrazioni di 0,0047 parti per milione (dal 50% delle persone), mentre 10ppm rappresenta il limite inferiore di tossicità senza il rischio di danni per la salute in seguito all’esposizione di 8 ore consecutive; con livelli pari a 1000ppm si ha il collasso immediato anche dopo un unico atto respiratorio.
Un veleno, altro che “sostanze odorigene” come vengono impropriamente chiamate. Eppure, negano. L’Eni sostiene che qualora provenisse dalla raffineria, i primi ad accorgersene sarebbero loro stessi. Sostengono di essere attentissimi all’ambiente, di essere in regola con le prescrizioni AIA, che i dati in loro possesso non registrano anomalie, che addirittura si doteranno di un “naso elettronico”. E allora com’è possibile che le centraline denominate ENI 1, ENI 2 e EN1 3, la centralina di via Machiavelli e dell’analizzatore in continuo ad alta risoluzione temporale di H2S (acido solfidrico) in funzione presso la centralina “QA” situata in via Archimede nel rione Tamburi, trasmettono dati esattamente opposti da mesi?
Perché negano se anche la letteratura scientifica ha stabilito che “la liberazione in grandi quantità dell’acido solfidrico avviene principalmente nei cicli produttivi della raffinazione del petrolio”? Sarà forse per quell’avverbio “verosimilmente” che ogni tanto compare nelle relazioni di ARPA Puglia? Forse. Negano che il 7 e 8 agosto scorsi, che dal 3 al 6 ottobre scorso, che nei giorni 6, 12, 13, 19 e 20 maggio ed in ultimo lo scorso 17 giugno, loro abbiano responsabilità su quanto accaduto nei cieli e nell’aria di Taranto. Che continua a subire, che ingoia veleni e bugie come se niente fosse. Giorno dopo giorno. Veleno dopo veleno.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 06.07.2013)