Altro che “chi inquina paga” – Il Governo condanna la tutela delle falde acquifere
TARANTO – Altro che il principio del “chi inquina paga”. Ancora una volta lo Stato italiano procede spedito nella direzione opposta al risanamento ambientale e alla tutela della salute. Questa volta, a dare una spallata alle bonifiche sul territorio nazionale, ci ha pensato il governo Letta, detto anche delle “larghe intese”, che nel “Decreto del fare” ha pensato bene di introdurre una modifica del testo Unico sull’Ambiente D.lgs. 152/2006. Lo troviamo nel paragrafo “Titolo II – Semplificazioni Capo I – Misure per la Semplificazione Amministrativa – Art. 41 (Disposizioni in materia ambientale)”. Nel testo del decreto si legge: “L’articolo 243 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente: Art. 243 (Gestione delle acque sotterranee emunte).
Nei casi in cui le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario, oltre all’eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile ed economicamente sostenibile, devono essere adottate misure di attenuazione della diffusione della contaminazione conformi alle finalità generali e agli obiettivi di tutela, conservazione e risparmio delle risorse idriche stabiliti dalla parte terza”. Il che vuol dire, molto semplicemente, che come denuncia anche il “Forum italiano dei movimenti per l’acqua”, la qualità dell’acqua di falda verrà dopo le esigenze economiche delle aziende inquinanti. E che a fronte di un inquinamento accertato, l’eliminazione della fonte avverrà soltanto “ove possibile” e “economicamente sostenibile”. Il tutto anche a fronte di un accertato rischio sanitario per la popolazione.
Il movimento per l’acqua, cita anche quanto dichiarato Enzo Di Salvatore, professore di Diritto Costituzionale all’Università di Teramo: “Subordinare l’eliminazione della fonte di inquinamento oltreché a possibilità tecniche anche al presupposto che ciò sia economicamente sostenibile per il privato che inquina, si sostanzia in una prevalenza degli interessi economici del privato sul diritto alla salute e all’ambiente salubre. Ciò viola anche il diritto dell’Unione europea e segnatamente il principio chi inquina paga”. Il “Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua” ha anche lanciato un appello al Ministro dell’Ambiente Orlando, che ha pochi giorni fa dichiarò il tema della tutela dell’acqua tra quelli prioritari per il suo mandato, affinché il Governo “riveda profondamente una posizione del tutto inaccettabile su un bene comune come l’acqua”. Richiesta allungata anche ai parlamentari di tutti i gruppi affinché intervengano “per stralciare o almeno modificare profondamente le norme dal provvedimento nell’iter di conversione in legge in modo da rendere le norme realmente utili alla tutela della qualità dell’acqua”, ricordando che anche l’ONU lo riconosciuto come un diritto umano, essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani.
Ma non è la prima volta che un governo tecnico attenta alla tutela dell’ambiente. Come denunciammo su queste colonne nel dicembre del 2011, lo stesso avveniva con il Decreto Legge 6 dicembre 2011 n.201 (Decreto Monti) meglio conosciuto come manovra “Salva Italia” e contenente “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.284 del 6 dicembre 2011. Nel testo furono infatti inserite alcune modifiche del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale”. Più precisamente, furono alleggeriti alcuni oneri ambientali nei confronti delle imprese “che nello svolgimento della loro attività producono rifiuti speciali pericolosi e a rischio infettivo, sia quelle impegnate in interventi di bonifica o di messa in sicurezza degli impianti e delle reti tecnologiche” come previsto nell’art. 242 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
Tra i diversi alleggerimenti, quello che ci toccava più da vicino riguardava la “Bonifica dei siti inquinati: semplificazione degli adempimenti delle imprese” (art. 40, comma 5 del decreto in questione). Per semplificare l’iter degli adempimenti delle imprese in tema di “bonifica dei siti inquinati”, il comma 5 dell’art. 40 inseriva un nuovo periodo nel comma 7 dell’art. 242 del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152. La sintesi contenuta nella Relazione tecnica del 6 dicembre 2011 recitava: “La norma introduce la possibilità di articolare gli interventi di bonifica dei siti inquinati in fasi progettuali distinte nonché misure di semplificazione nelle attività di messa in sicurezza operativa dei medesimi siti e di manutenzione ordinaria e straordinaria di impianti e reti tecnologiche”.L’art. 242 è quello che disciplina le procedure operative e amministrative che si applicano allorquando si verifichi un evento anche solo potenzialmente in grado di provocare inquinamento. Il comma 7 dell’art. 242 si occupa proprio del “progetto operativo degli interventi di bonifica e di messa in sicurezza”, che deve sempre essere sottoposto alla valutazione della Regione da parte dell’impresa responsabile dell’inquinamento, dopo l’approvazione del documento di analisi di rischio. La semplificazione prevista dal “Decreto Monti” sanciva che “nel caso di interventi di bonifica o di messa in sicurezza che presentino particolari complessità a causa della natura della contaminazione, degli interventi, delle dotazioni impiantistiche necessarie o dell’estensione dell’area interessata dagli interventi medesimi, il progetto operativa potrà essere articolato per fasi progettuali distinte così da rendere possibile la realizzazione degli interventi per singole aree o per fasi temporali successive”. Inoltre, l’art. 40 comma 5 del D.L. 201/2011 sopprimeva le parole “con attività in esercizio” del comma 9 dell’art.242 del D.Lgs. n. 152/2006, trasformando il nuovo comma 9 art. 242 che recita nel seguente modo: “La messa in sicurezza operativa, riguardante i siti contaminati, garantisce una adeguata sicurezza sanitaria ed ambientale ed impedisce un’ulteriore propagazione dei contaminanti.
I progetti di messa in sicurezza operativa sono accompagnati da accurati piani di monitoraggio dell’efficacia delle misure adottate ed indicano se all’atto della cessazione dell’attività si renderà necessario un intervento di bonifica o un intervento di messa in sicurezza permanente”. L’idea di fondo, dunque, è sempre la stessa. Prima l’economia, poi tutto il resto. Inoltre, la situazione ambientale di Taranto è particolarmente interessata dal problema dell’inquinamento della falda acquifera. Proprio in questi mesi è infatti partito uno studio di ARPA Puglia, previsto all’interno della Cabina di Regia sulle bonifiche del SIN di Taranto, che servirà ad accertare la reale situazione in cui versa la falda profonda. A tutt’oggi infatti, nessuno è in grado di dire con certezza scientifica come stiano effettivamente le cose.
Infine, ricordiamo che la prima formulazione del principio “chi inquina paga” è dovuta a livello internazionale all’OCSE, che nella Raccomandazione del 26 maggio 1972, n.128, ha affermato la necessità che all’inquinatore fossero imputati “i costi della prevenzione e delle azioni contro l’inquinamento come definite dall’Autorità pubblica al fine di mantenere l’ambiente in uno stato accettabile”. Sul piano comunitario, la prima Raccomandazione adottata di comune intesa dalla CEE, dalla CECA ed dall’EURATOM risale, invece, al 3 marzo 1975 (Racc.3 marzo1975, n.436). “L’accoglimento del principio da parte della Comunità Europea è coerente con le finalità del mercato comune, atteso che il principio viene incontro alla necessità che siano gli operatori economici a sopportare i costi dell’inquinamento prodotto. Se tali spese fossero affrontate unicamente dallo Stato in modo diretto o attraverso la concessione di aiuti in grado di favorire l’economia di alcuni territori e non di altri, si creerebbero ingiustificate posizioni di vantaggio idonee a ledere la concorrenza e il libero mercato”. Con la revisione del Trattato di Roma ad opera dell’Atto Unico Europeo del 1987, il principio “chi inquina paga” trova definitivo riconoscimento nell’art.130R (oggi art.174) quale principio fondamentale della politica comunitaria in materia ambientale.
G. Leone (TarantoOggi, 06.07.2013)
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