CO2, Taranto e Brindisi “regine” – L’impatto di Ilva ed Enel
TARANTO – L’obiettivo è “consegnare al passato una fonte energetica pericolosa per la salute e il clima”. Per questo sabato si sono svolte diverse manifestazioni in Italia e nel mondo, in quella che è stata ribattezzata la giornata mondiale contro la fonte fossile più inquinante e sporca del pianeta. Da anni in Italia è Greenpeace a battersi su questo fronte, attraverso campagne di comunicazione e iniziative di grande impatto. La quale ricorda che nel nostro Paese ci sono due delle 30 centrali a carbone “più inquinanti d’Europa, entrambe di proprietà dell’Enel”: Brindisi sud, al nono posto, e quella di Civitavecchia, al 14/o, che insieme emettono quasi 23 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. In Italia sono 13 le centrali a carbone che “nel 2010 hanno prodotto circa 39.734 Gwh (Gigawattora), contribuendo all’11,6% del fabbisogno elettrico complessivo; hanno prodotto circa 35 milioni di tonnellate di CO2 corrispondenti a oltre il 30% di tutte le emissioni del sistema elettrico nazionale”. Proprio a Civitavecchia, Greenpeace ha organizzato l’ennesima protesta contro l’uso del carbone: in mare, di fronte alla centrale termoelettrica, ha aperto un enorme striscione galleggiante di 1.500 metri quadri con la scritta ‘No al carbone, quit coal’.
Da una classifica redatta da Greenpeace sulle emissioni di CO2 dei grandi impianti nel 2012 nel nostro Paese, risulta che la centrale Enel di Brindisi sud avrebbe emesso 12,2 milioni di tonnellate; a seguire Torrevaldaliga nord con 10,4 milioni di tonnellate, al terzo posto, a chiudere il podio, l’Ilva di Taranto con 10,3 milioni di tonnellate. Al quarto posto lo Stabilimento di Taranto di proprietà di Taranto energia (7,5 milioni di tonnellate, sarebbero le due centrali termoelettriche ex Edison all’interno dell’Ilva ed acquistate dal gruppo Riva nel 2011 per 164 milioni di euro) e al quinto la Raffineria di Sarroch di Saras (5,9 milioni di tonnellate). Ma siccome in Italia amiamo distinguerci sempre, mentre nel resto del mondo le centrali a carbone si dismettono nel tempo, qui da noi si sta ancora pensando di convertire a carbone la Centrale di Porto Tolle nel parco del Delta del Po, aprirne una nuova a Saline Joniche e ampliare quella di Vado Ligure.
Inoltre, un recente studio realizzato dall’Università di Stoccarda per Greenpeace, ha evidenziato come in Europa gli impatti sanitari del carbone equivalgono a circa 22.300 morti premature l’anno: in media più di due morti premature ogni ora. Le 300 centrali a carbone funzionanti nel continente producono un quarto dell’energia elettrica consumata nell’Unione, ma emettono il 70% degli ossidi di zolfo ed oltre il 40% degli ossidi di azoto provenienti dal settore elettrico. Queste centrali producono un quarto del totale delle emissioni europee di CO2. La stessa ricerca dell’Università di Stoccarda evidenzia come l’impatto della produzione italiana di elettricità col carbone causa circa 500 casi di morte prematura l’anno in Italia.
Proprio lo scorso 21 giugno, riportammo i dati del report di “EcoWay”, secondo cui nel 2012 gli impianti industriali italiani maggiormente energivori – più di 1.000 siti che producono oltre il 40% delle emissioni di gas effetto serra totali nazionali – sottoposti alla normativa europea ETS che impone un tetto annuo alle emissioni di CO2, hanno prodotto meno gas serra: -27,5% dal 2005 e -15% rispetto ai limiti imposti per il 2012, esclusi gli impianti nuovi entranti, per un totale di 164 milioni di tonnellate di CO2, il dato più basso registrato dal 2005 (anno di entrata in vigore dei limiti imposti dall’Unione Europea) quando le emissioni erano state pari a 225 milioni di tonnellate.
Ma anche in quel report veniva sottolineato come il forte calo del 2012 delle emissioni delle aziende italiane non era, come può sembrare, una buona notizia, perché dovuto sostanzialmente ad una significativa diminuzione della produzione industriale, più che dalla dismissione o dal risanamento degli impianti produttivi più inquinanti. Ed anche nella classifica del report di “EcoWay” la Puglia si confermava la regione d’Italia che ha registrato il numero più alto di emissioni verificate di gas ad effetto serra, con il 21,3% delle emissioni totali del Paese, seguita da Sardegna e Sicilia. L’ennesima dimostrazione del fallimento del processo di industrializzazione del Sud partito negli anni ’50 ed oggi giunto oramai al capolinea. Un motivo in più per ripensare la nostra economia, ripartendo dalle risorse naturali che offre, ancora oggi e nonostante tutto, il territorio.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 01.07.2013)