Tutto ha avuto inizio mercoledì 19 giugno, al termine dell’audizione in commissione Ambiente ed Ecologia del Comune, dei due dirigenti della Cementir, che se da un lato confermarono il congelamento dell’investimento di 150 milioni di euro previsto per il progetto “Nuova Taranto Cementir” (annunciato dal presidente e ad della Cementir holding Francesco Caltagirone Jr, lo scorso 18 aprile durante l’assemblea dei soci in cui ci fu l’approvazione di bilancio del 2012) destinato all’“ampliamento degli impianti produttivi esistenti ed il recupero di efficienza e competitività dello stabilimento produttivo di Taranto”, dall’altro annunciarono che a partire dal 1 gennaio 2014, qualora la situazione di mercato e dell’Ilva non mostrasse inversioni di tendenza importanti, il sito di Taranto sarebbe trasformato in uno stabilimento in cui svolgere soltanto l’attività di macinazione, dicendo così addio alla produzione con la chiusura dell’area a caldo, che già adesso lavora con un solo forno (rispetto ai tre presenti).
Questo, di fatto, comporterebbe una drastica riduzione del personale, che passerebbe dalle attuali 108 unità (che arrivano a 250 con l’indotto), ad appena 40-45. La riunione di ieri è stata convocata dopo lo sciopero di 8 ore per turno svoltosi lunedì e che ha visto la partecipazione di tutti i lavoratori (tranne quelli di “comandata) e dopo l’incontro delle segreterie sindacali di categoria con la Prefettura che ha assicurato il suo sostegno alla vertenza. Ciò detto, anche ieri i dirigenti della Cementir hanno messo sul piatto gli ultimi dati del mercato del cemento e dell’edilizia che è oramai del tutto fermo, oltre che quelli inerenti alle attività dell’azienda sul mercato italiano ed estero.
Lo scorso aprile infatti, l’azienda approvò il bilancio 2012: l’utile netto più che triplicato ed una crescita che nel 2013 prevede un +10% sul margine operativo lordo, superiore ai 150 milioni di euro (138,054 milioni di euro nel 2012) e ricavi in aumento oltre il miliardo di euro (976 milioni nel 2012). Il mercato italiano (che rappresenta una quota dei ricavi intorno al 13-14%) ha riportato un risultato operativo negativo per 24,3 milioni: in pratica, senza l’Italia, l’utile netto del gruppo sarebbe volato oltre i 30 milioni di euro. E secondo le previsioni, il mercato italiano del cemento non dovrebbe registrare una ripresa prima dei prossimi 4-5 anni.
Ma, come ribadito più volte, la Cementir a Taranto ha un altro grosso problema di nome Ilva. Il ragionamento di Caltagirone, era ed è molto semplice: finché non sarà definito una volta e per tutte il futuro dell’Ilva, qualunque tipo di investimento per l’impianto di Taranto resterà nel cassetto. Del resto, a fronte del fatto che anche l’ufficio acquisti dell’Ilva (che ha sede a Milano) non è stato in grado di dare garanzie sul futuro del siderurgico a fronte della richiesta della Cementir sulla disponibilità di continuare ad approvvigionare il cementificio con la loppa d’altoforno (il cementificio consuma tra le 800.000 e il milione di tonnellate di loppa all’anno), il “ragionamento” dell’azienda è fin troppo lineare: se l’Ilva chiude, la Cementir cesserà la produzione il giorno dopo. Lo stesso potrebbe però accadere anche qualora il siderurgico dovesse diminuire drasticamente l’attività produttiva, non riuscendo più a garantire un minimo approvvigionamento di loppa.
Su questo fronte però, i sindacati e la Cementir hanno convenuto di attendere il piano industriale dell’Ilva Spa e il piano finanziario per l’attuazione dei lavori previsti dall’AIA. Il segretario della Cgil, Luigi D’Isabella, su questo punto si è detto piuttosto fiducioso: “Stentiamo a credere che Bondi presenterà un piano industriale e finanziario per svariate centinaia di milioni di euro, per poi chiudere nel giro di qualche anno”. Sarà. Il problema è che qualche centinaia di milioni di euro non servirà a risanare l’intera area a caldo dell’Ilva, per la quale ci vorrebbero miliardi di euro. La Cementir, per ora, attende. Non solo l’Ilva. Ma anche di vedere cosa accadrà per quanto riguarda il futuro del porto di Taranto: martedì il Consiglio di Stato potrebbe infatti sbloccare definitivamente la situazione, con i lavori che riprenderebbero il loro iter burocratico (la Cementir ha in concessione la calata 4 e un tratto del IV Sporgente di Levante, per un volume annuo di 4-500.000 tn di cemento movimentato).
Intanto, insieme ai sindacati, l’azienda si è impegnata a studiare strade alternative onde evitare la chiusura del sito di Taranto. Pare inoltre che a breve verranno acquisite alcune commesse estere che dovrebbero garantire la marcia dell’impianto per il medio periodo. Certo è che il tavolo territoriale sulla vertenza Cementir si è oramai aperto. Non solo. Perché così come avvenuto nell’incontro di Roma sul futuro del sito di Arquata (la cui chiusura è stata annunciata per il prossimo ottobre), il prossimo 11 luglio a Roma si aprirà il tavolo sindacale nazionale in cui si capiranno le reali intenzioni della Cementir e dove inizierà una lunga discussione sul come salvare l’economia del cemento. Ammesso e non concesso che ciò sia davvero possibile. Il segretario generale dalla FILLEA Cigl di Taranto, Antonio Stati, non ha dubbi: “Da quel tavolo passa gran parte del futuro della Cementir”.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 29.06.2013)
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