L’Ilva è una roulette russa
TARANTO – E’ stata sepolta sotto un silenzio vergognoso la relazione del dr. Agostino Di Ciaula (dell’Associazione Medici per l’Ambiente, ISDE) alla commissione Ambiente della Camera dei Deputati di tre giorni fa. Tranne che su queste colonne (ed ancor prima sul web sul sito inchiostroverde.it), anche la stampa locale, dopo quella nazionale, ha del tutto ignorato un documento di fondamentale importanza per comprendere appieno la situazione ambientale e sanitaria, presente e futura, di questa città. Ma com’è possibile che un documento che si basa unicamente su dati scientifici inoppugnabili, venga omesso alla conoscenza dei cittadini di Taranto? Eppure, quando si tratta di riportare le dichiarazioni di ministri, viceministri, sottosegretari, sindaci, governatori, sindacati, imprenditori, commissari straordinari, intellettuali e quant’altri, lo spazio si trova sempre.
Con una risonanza oltre che locale di tiratura nazionale. Il motivo di tanto silenzio e pelosa complicità è, purtroppo, molto semplice e banale: la relazione del dr. Di Ciaula smonta pezzo dopo pezzo qualunque tipo di certezza sulla paventata eco-compatibilità futura dell’Ilva con la città di Taranto e l’altrettanto sbandierata tutela dell’ambiente e della salute di lavoratori e cittadini una volta che l’AIA sarà applicata in tutte le sue prescrizioni. Di Ciaula ha infatti sostenuto che “questo disegno di legge rende di fatto la salute dei tarantini un bene ancora negoziabile”. Stessa sorte, “stranamente”, ha avuto un mese fa la prima relazione sulla “Valutazione del danno sanitario” redatta dall’ARPA Puglia e prevista da un’apposita legge regionale, salutata mesi addietro come una vera e propria “rivoluzione copernicana”, che lo stesso Di Ciaula ha citato nella sua relazione.
Soprattutto politici e sindacati locali hanno sostenuto, per molto tempo, la tesi secondo cui soltanto dopo aver conosciuto il responso di questo documento, avremmo avuto contezza della realtà sanitaria e ambientale di Taranto. Ebbene, dopo l’audizione in V Commissione della Regione presieduta svoltasi lo scorso 28 maggio, durante la quale il direttore di ARPA Puglia Giorgio Assennato ha dichiarato che “i miglioramenti delle prestazioni ambientali, che erano conseguiti con la completa attuazione della nuova AIA (prevista per il 2016), comportano un dimezzamento del rischio cancerogeno nella popolazione residente intorno all’area industriale”, nessuno ha commentato il responso degli studi effettuati dall’ente regionale per la protezione ambientale. Eppure, ogni santissimo giorno non sentiamo altro che ripetere da tutti i soggetti istituzionali e non, che l’AIA garantirà la salvaguardia dell’occupazione e con essa la tutela dell’ambiente e della salute di cittadini e lavoratori.
Tra l’altro, a leggere la relazione del dr. Di Ciaula, il dimezzamento del rischio cancerogeno calcolato dall’ARPA, è anche una stima ottimistica. Questo perché, come riportato anche ieri, questa previsione è solo parziale e il dato sul rischio è fortemente sottostimato. L’analisi, infatti, prende in considerazione i rischi tumorali legati alla sola inalazione di sostanze inquinanti, escludendo completamente le altre vie di assunzione delle sostanze tossiche emesse dall’Ilva, come quella per ingestione. Non solo. Perché il rapporto redatto dall’ARPA, calcola i rischi che quelle concentrazioni di inquinanti causano soltanto in soggetti adulti di peso medio. Non considera che a parità di concentrazioni il rischio è decine di volte più alto per i feti e per i bambini.
In termini pratici, questo si traduce in fredde stime matematiche: “Secondo le stime dell’Agenzia Regionale – si legge nella relazione di Di Ciaula – in questo momento rischia di avere un tumore, considerando la sola inalazione degli inquinanti, una popolazione di 22.500 residenti. Dopo l’AIA correranno questo rischio 12.000 residenti”. Dunque, almeno 12.000 residenti continueranno ad essere sottoposti a rischio elevato di tumore maligno a causa dell’inquinamento industriale prodotto dall’Ilva. Ma, come detto, il calcolo fornito dall’ARPA è alquanto sottostimato e deficitario.
Stante così le cose, è giusto che Taranto e i tarantini sappiano che a partire dallo Stato, passando dalle istituzioni locali e i sindacati, si è stabilito che migliaia di operai Ilva, oltre che altrettante migliaia di ignari cittadini (uomini, donne, anziani e bambini) saranno sacrificati sull’altare dell’economia, del profitto e del mercato. E se prima tutto questo non era messo nero su bianco, se le conoscenze scientifiche sono state scientificamente nascoste per anni, adesso abbiamo la consapevolezza incontrovertibile di essere stati inseriti, tutti quanti nessuno escluso, in una gigantesca roulette russa dalla quale nessuno potrà avere la certezza di uscire indenne.
E il governo rivuole i Riva…
E come non bastasse la beffa ambientale e sanitaria, il rischio concreto che i tarantini si troveranno nuovamente ad avere a che fare con il gruppo Riva nel prossimo futuro, pare tutt’altro che remota. Dato per assodato che il patrimonio dei Riva è al sicuro nelle holding offshore e che per il risanamento dell’Ilva il gruppo industriale non scucirà un euro (come previsto dal decreto legge del 4 giugno), stando a quanto sostenuto dal ministro dello Sviluppo Economico Flavio Zanonato nell’audizione alla commissioni riunite Ambiente e Attività Produttive della Camera, “dopo al massimo tre anni di commissariamento, la Riva FIRE (che detiene il 36% delle azioni dell’Ilva Spa) tornerà in pieno possesso dell’azienda”.
Ma tutto questo rischia di restare una mera utopia. L’Ilva Spa, oltre a non avere le risorse finanziarie per ottemperare alle prescrizioni AIA entro il 2016 ed essere esposta per almeno 1,5 miliardi di euro nei confronti delle banche, è un’azienda vetusta e dalle enormi dimensioni, non certo un’officina. Lo stesso Bondi, non a caso, ha previsto risorse per l’AIA non superiori a 1,8 miliardi di euro, a fronte dei 3,5 stimati dal ministero dell’Ambiente e degli 8 previsti (al ribasso) dai tecnici della Procura. Questo lascia pensare non solo ad un prossimo scorporo dell’Ilva Spa come avvenuto nel caso della Lucchini Spa di Piombino, ma soprattutto che l’AIA sarà rivista (cosa previsto dal comma 5 dell’art. 1 del decreto del 4 giugno) al ribasso dai tre saggi che andranno a formare il comitato di esperti che agirà in sinergia con i sub commissario Edo Ronchi: non è un caso se, sempre nel decreto, è previsto che il commissario Bondi potrà visionare il “piano di lavoro dell’AIA” dei tre saggi ed esprimere pareri in merito.
L’Ilva è destinata ad un declino inevitabile: difficile possa durare più di altri 5-10 anni. E sarà costretta a ridimensionare di molto la sua produzione (massimo 4-5 milioni di tonnellate annue di acciaio), lavorando con non più di due altiforni, il 4 e il 5 che da solo realizza il 40-45% della produzione (non è un caso se AFO 3 sarà dismesso, AFO 1 è stato spento a dicembre e sono iniziate le operazione di spegnimento di AFO 2 operazione, quest’ultima, non prevista neanche dall’AIA). Tutto questo, mentre noi continueremo ad ammalarci e morire. Come sempre del resto. Anche se un po’ di meno.
Gianmario Leone (TarantoOggi. 28/06/2013)