Nasce da una significativa diminuzione della produzione industriale” ha dichiarato Guido Busato, Presidente di EcoWay alla presentazione del report. L’effetto generato da questo dato infatti è che le aziende, registrando un abbattimento significativo delle emissioni di gas serra rispetto ai limiti imposti dalla UE, non siano stimolate ad investire in progetti tecnologici per rendere più efficienti i processi produttivi. “Purtroppo oggi il sistema ETS è caratterizzato da un enorme surplus di offerta – continua Busato – che ha portato ad un crollo del prezzo dei certificati. Questo fenomeno ha attirato alcune critiche di eccessiva finanziarizzazione nei confronti del sistema, non considerando che l’ETS è uno strumento che si basa su un meccanismo di mercato trasparente, equo ed equilibrato”. Il sistema “UE ETS” infatti è il primo sistema internazionale “cap and trade“ (cioè che fissa un tetto massimo al livello totale delle emissioni, ma consente ai partecipanti di acquistare e vendere quote secondo le loro necessità all’interno di tale limite) a livello di imprese per la concessione di quote di emissioni di anidride carbonica (CO2) e altri gas a effetto serra.
Lo scorso aprile però, il Parlamento europeo ha respinto (334 contro, 315 favorevoli e 63 astenuti) la proposta della Commissione europea di congelare ben 900 milioni di tonnellate di quote di emissioni di CO2 per evitare una svendita nel momento in cui il prezzo è sceso così in basso da rischiare di far fallire l’intero sistema. Di fatto si tratta dell’ennesimo favore all’industria pesante, ai grandi inquinatori che si sono sempre opposti a obiettivi drastici di riduzione delle emissioni serra. Per ridare stabilità al modello, dunque, servono una serie di riforme strutturali ed una maggiore integrazione degli obiettivi sul clima condivisi tra gli Stati Membri. Tornando al report, i settori più colpiti dalla crisi economica sono stati i cementifici (non a caso la Cementir vuole chiudere un impianto in Piemonte e sta ridimensionando i progetti a Taranto), laterizi e ceramiche, che incidono mediamente per il 10,5% delle emissioni nazionali e mostrano una riduzione delle emissioni pari al 40% dal 2005.
L’unico settore che ha invece continuato a produrre dal 2008 al 2012 più emissioni rispetto alle allocazioni gratuite imposte da Bruxelles, è la raffinazione (come si ricorderà, il progetto presentato e poi ritirato da Enipower per la nuova centrale termoelettrica di Taranto che avrebbe dovuto sostituire l’attuale ad olio combustibile, prevedeva un aumento esorbitante di CO2). Non è un caso, quindi, se ancora una volta la Puglia (dove nel campo eccellono l’Ilva, le centrali termoelettriche ex Edison all’interno del siderurgico comprate dal gruppo Riva nel 2011 e l’impianto dell’Enel di Brindisi) si conferma la regione d’Italia che registra il numero più alto di emissioni verificate di gas ad effetto serra, con il 21,3% delle emissioni totali del Paese, seguita da Sardegna e Sicilia che sono le uniche due regioni che non hanno mai registrato situazioni di avanzo, ovvero hanno sempre emesso in misura maggiore rispetto ai limiti imposti dall’UE, nel 2012 rispettivamente +22% e +6%.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 22/06/2012)
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