Ed in attesa dell’ennesima relazione tecnica dell’ente regionale per la protezione ambientale, i cui tecnici nelle prossime ore analizzeranno i dati al minuto registrati dalle centraline all’interno del perimetro della raffineria, denominate ENI 1, ENI 2 e EN1 3, della centralina di via Machiavelli e dell’analizzatore in continuo ad alta risoluzione temporale di H2S (acido solfidrico) in funzione presso la centralina “QA” situato in via Archimede nel rione Tamburi, il direttore dell’ARPA Puglia, Giorgio Assennato, ha confermato che anche le emissioni di ieri provengono “quasi certamente” dall’attività della raffineria Eni. Pur sottolineando che, come avvenuto anche in circostanze pregresse, le stazioni di monitoraggio della qualità dell’aria non hanno registrato criticità per gli altri inquinanti monitorati: l’NO2 (diossido di azoto), l’SO2 (anidride solforosa), il CO (monossido di carbonio), il Benzene, l’O3 (ozono) e il PM10.
Un veleno chiamato H2S
Il problema dunque, come segnaliamo da tempo immemore su queste colonne (lavoro in cui da sempre ci affianca egregiamente il sito internet www.inchiostroverde.it), è ancora una volta il solfuro di idrogeno (H2S), composto dello zolfo molto odoroso anche a basse concentrazioni, per il quale non esiste un limite di legge per la concentrazione in aria ambiente: in letteratura si trovano numerosi valori che spaziano da 0,7 ng/m3 fino a 14 ng/m3 e taluni soggetti sono in grado di percepire l’odore già a 0,2 ng/m3. In corrispondenza dei valore di 7 ng/m3 (valore che si può assumere come soglia odorigena), la quasi totalità dei soggetti esposti ne distingue l’odore caratteristico.
In tutte le sue relazioni precedenti, l’ARPA Puglia ha sempre dichiarato che “le molestie olfattive denunciate possano essere originate verosimilmente dalla Raffineria ENI, dalla zona industriale di Taranto verso le aree urbanizzate”. Il solfuro di idrogeno è velenoso e anche mortale per l’uomo. E’ un veleno che agisce inibendo la respirazione mitocondriale, pertanto la sua azione tossica riguarda tutte le cellule del corpo che sfruttano il metabolismo aerobico (praticamente tutte, eccetto i globuli rossi); la caratteristica più pericolosa a medio-alte concentrazioni, è la sua capacità di inattivare la percezione sensoriale olfattiva, quale unico campanello d’allarme per la presenza nell’aria. A basse concentrazioni invece, produce irritazione delle mucose, iperventilazione ed edemi polmonari, e l’esposizione prolungata comporta affaticamento cronico, inappetenza, cefalea, disturbi cognitivi e della memoria. L’idrogeno solforato è già percepibile in concentrazioni di 0,0047 parti per milione (dal 50% delle persone), mentre 10ppm rappresenta il limite inferiore di tossicità senza il rischio di danni per la salute in seguito all’esposizione di 8 ore consecutive; con livelli pari a 1000ppm si ha il collasso immediato anche dopo un unico atto respiratorio. Vorremmo tanto sapere il motivo per il quale è stato deciso che per un gas così velenoso non sia stato previsto un limite di legge per la concentrazione in aria ambiente.
Un avvelenamento che si ripete da tempo immemore. Nell’ultimo anno, almeno stando a quanto relazionato da ARPA Puglia, questo fenomeno si è verificato dal 3 al 6 ottobre scorso, e prima ancora il 7-8 agosto. Nel solo mese di maggio, è invece avvenuto nei giorni 6, 12, 13, 19 e 20. Continuano dunque ad avvelenarci: che sia di giorno, di sera o di notte, poco importa. Del resto, visto che oramai il principio dominante prevede che la “produzione” della grande industria presente sul nostro territorio non si può e non si deve fermare per nessuna ragione al mondo, il tutto è facilmente derubricabile come una semplice conseguenza (“sostanza odorigene”) dell’assunto di cui sopra. Perché la diffusione nell’aria di tali sostanze, pur avvenendo ogni qual volta il vento inizia a spirare dal quarto settore (Nord-Nord Ovest), è dovuto al fermo e alla ripresa degli impianti della raffineria Eni o alle attività di carico e scarico delle petroliere. Lo testimonia anche la letteratura scientifica: “la liberazione in grandi quantità dell’acido solfidrico avviene principalmente nei cicli produttivi della raffinazione del petrolio”. E il bello è che tanti anni fa, quando su queste colonne parlavamo di una vera e propria colonizzazione industriale nei confronti di questa città, spesso e volentieri ci ridevano dietro. O si taceva (anche chi per mestiere non avrebbe dovuto). Oggi tutti s’indignano. Ma adesso è troppo tardi. A meno che non si decida di cacciare queste aziende dal nostro territorio una volta e per tutte senza se e senza ma.
Una politica senza vergogna
E’ tardi, dunque. Sicuramente è fuori tempo massimo la politica locale. Che dimostra di essere senza vergogna. Lo scorso 23 maggio il sindaco Stefàno inviò una nota agli assessori regionali all’Ambiente, alla Qualità del Territorio e allo Sviluppo Economico, nella quale chiedeva l’istituzione di un Tavolo che affrontasse la questione delle sostanza odorigine. Ma nella giornata di ieri, l’amministrazione comunale si è davvero superata. In tarda serata infatti, dopo l’evento velenoso mattutino, è giunta in redazione una nota ufficiale del Comune nella quale si chiede “l’avvio di riesame dell’Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata dalle Autorità Competenti agli insediamenti industriali del territorio, quali ENI R&M, Taranto Energia S.r.l. (centrali elettriche poste all’interno dell’ILVA S.p.a) e Cemetir S.p.a.”. La richiesta di avvio di riesame scaturisce dalla volontà del Comune “di un adeguamento immediato degli impianti insediati nell’area industriale di Taranto alle migliori tecnologie disponibili, e risponde anche alla finalità di conformare l’assetto autorizzativo degli insediamenti industriali al “Piano contenente le prime misure di intervento per il risanamento delle Qualità dell’Aria nel Quartiere Tamburi (TA)” per gli inquinanti Benzo(a)Pirene e PM10, approvato dalla Regione Puglia”. Infine, viene richiesto “alle varie Autorità competenti l’avvio del riesame delle Autorizzazioni rilasciate per tutti gli impianti di cui all’accordo di programma per l’Area Industriale di Taranto e Statte dell’11 Aprile 2008, e nello specifico per ILVA S.p.a, ENI R&M, Taranto Energia S.r.l. (centrali elettriche poste all’interno dell’ILVA S.p.a), Cemetir S.p.a, Enipower S.p.a ed Amiu S.p.a”.
In pratica, a giugno 2013 il Comune di Taranto chiede la revisione di tutte le varie AIA rilasciate nel tempo alle industrie inquinanti presenti sul territorio. Sinceramente, non sappiamo se ridere o piangere. Dopo aver firmato la prima e la seconda AIA per l’Ilva (minacciando di ritirare la firma a gennaio se l’azienda fosse stata in ritardo nell’applicazione delle prescrizioni, come in effetti è sempre stata, cosa però mai avvenuta), dopo aver concesso il proprio ok al progetto “Tempa Rossa” dell’Eni, dopo aver prima concesso e poi ritrattato l’ok alla costruzione della nuova centrale Enipower all’interno dell’Eni, dopo aver dato l’ok al progetto della “Nuova Cementir Italia” (ritirato due mesi addietro dallo stesso Caltagirone per crisi di mercato ed incertezza sul futuro dell’Ilva dalla cui esistenza il cementificio dipende), dopo aver riavviato il 9 aprile del 2010 l’inceneritore dell’AMIU e dopo aver del tutto ignorato che le due centrali termoelettriche ex Edison acquistate dal gruppo Riva nel 2011 già nel 2010 nella classifica di Greenpeace erano considerate il secondo impianto italiano per inquinamento da CO2 con ben 5,9 milioni di tonnellate annue, oggi il Comune di Taranto propone di rivedere l’AIA per tutte queste aziende. Siamo alle comiche. Purtroppo però, non sono ancora quelle finali.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 18.06.2013)
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