Praticamente inesistente quella di comitati e associazioni cittadine che negli ultimi tempi sono nate come funghi, destatesi dal sonno profondo in cui sono state per decenni soltanto grazie allo tsunami provocato dall’azione della magistratura. Un’assenza che è sinonimo di ignoranza e insensibilità verso la propria città, e quindi verso la comunità cui si appartiene e si dice, a parole, di voler migliorare, cambiare in meglio. Non stiamo qui a prenderci in giro: il giorno lavorativo e l’orario mattutino sono scuse banali in una città che registra un incredibile 44% di disoccupazione. Del resto, la stragrande maggioranza di politici, sindacalisti, ambientalisti, componenti di comitati, associazioni, gruppi e gruppetti vari, quando c’è qualcosa che li riguarda da vicino, ci sono. Sempre e comunque. Tant’è che molto spesso ti vien voglia di chieder loro che tipo di lavoro svolgono, visto e considerato che la loro presenza è regolare quasi quanto un dogma.
Così come non c’erano i tanti “intellettuali” e radical-chic che contraddistinguono la nostra città, sempre pronti a dire la loro su qualunque cosa, sempre pronti a fare la morale, a sottolineare cosa non va e come si dovrebbe migliorare la società. Salvo poi scomparire nel nulla quando si tratta di dimostrare con i fatti ciò che si “racconta” ai quattro venti. Non c’erano tanti politici che però ogni giorno trovano il tempo per scrivere comunicati stampa sul lavoro e sull’ambiente. Non c’erano componenti della classe dirigente, né della borghesia. Né imprenditori, che al tema del lavoro e delle morti bianche dovrebbero pur essere un minimo sensibili. Dovrebbero, appunto. Non c’era Confindustria, ovviamente. Non c’erano gli operai, che come direbbe Vasco Rossi, oggi più che mai sono impegnati “ognuno a rincorrere i suoi guai”.
Non c’erano i giovani, quei pochi rimasti in questa città. Non c’erano i “gruppi” e i “collettivi” della sinistra bene, che da anni fanno gli alternativi pensando di esserlo davvero e non si sono accorti che nel frattempo il treno per cambiare la storia è passato da un pezzo. Non c’erano le tante associazioni che ogni giorno operano sul territorio per il bene della collettività e per alleviare le sofferenza degli invisibili. Non c’erano le migliaia che ogni giorno perdono ore della loro vita su facebook, twitter e le varie app degli iphone. Non c’era la città. Quella semplice di ogni giorno, che incontri al mercato, al bar o agli angoli delle strade. Che però quando si organizza un concerto in piazza o si aprono i negozi la domenica arrivano a migliaia. Perché quando si tratta di gridare al cielo “Taranto libera” in una manifestazione o ad un evento organizzato ad hoc, siamo tutti bravi.
Poi però, quando si tratta di dimostrare che davvero vogliamo una Taranto diversa, migliore per tutti, finalmente libera dai tanti errori e difetti del passato, troviamo tutti una scusa valida per non esserci. Lo stesso atteggiamento di quando ci troviamo di fronte alla scelta se rompere davvero con i legami della nostra mentalità provinciale, ammettendo anche le nostre colpe e ribaltando il tavolo, e puntualmente scegliamo la strada del “siamo tutti amici, ci conosciamo tutti, ci vogliamo bene comunque”. Per questo Taranto non cambia. E difficilmente cambierà mai. Perché non ha capito che soltanto unendosi per davvero e non a chiacchiere, può vincere e rompere con il passato. E rovesciare l’esistente sovvertendolo in ogni suo anfratto. Non perché lo Stato a forza di decreti impone la sua volontà. Perché se ciò avviene è perché ai piani alti conoscono i nostri limiti e i nostri difetti alla perfezione. Ieri a San Brunone non c’era nessuno. Soffiava un vento forte. C’era un silenzio irreale. Ma c’erano le anime di chi non è più tra noi. Di chi è morto sul lavoro e di chi è andato via perché risucchiato alla vita dal “male incurabile”. Speriamo soltanto che almeno i morti, almeno loro, abbiano avuto pietà di noi.
G. Leone (TarantoOggi, 13.06.2013)
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