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Ilva, la lenta dismissione

TARANTO – Dopo aver annunciato lunedì la chiusura del Treno nastri 1 (che occupa 250 unità molte delle quali in cassa integrazione dal lontano 2008), in un incontro con i sindacati metalmeccanici avvenuto ieri, la dirigenza dell’Ilva ha annunciato anche la fermata dell’altoforno 2 per tre mesi a partire dai primi di luglio. Anche la fermata dell’AFO 2, come per il TNA1, è stata motivata con la perdurante crisi del mercato dell’acciaio che continua a registrare mancanza di ordini.

La fermata dall’altoforno produrrà come effetto domino anche la fermata dell’acciaieria 1, di una parte dell’agglomerato, di una parte dei sottoprodotti e di tutti i servizi collegati. Sul piano occupazionale, la fermata di questi impianti produrrà 7-800 esuberi temporanei che non andranno in cassa integrazione, ma beneficeranno dei contratti di solidarietà, secondo l’accordo che Ilva e sindacati sottoscrissero lo scorso marzo al ministero del Welfare (in un primo momento l’azienda annunciò la richiesta di cassa integrazione straordinaria per 6.500 lavoratori, l’ennesima minaccia poi ritirata).

Nella riunione di marzo, i contratti di solidarietà sottoscritti furono per 3749 unità nel 2013, ma sin qui sono stati utilizzati per poco più di un migliaio di addetti: elemento che fa presupporre come l’azienda avesse già in mente la progressiva fermata di più impianti dello stabilimento. Con l’avallo dei sindacati metalmeccanici che firmarono quell’accordo senza ritenere opportuno ascoltare le istanze dei lavoratori prima di recarsi a Roma. Con i nuovi 7-800 esuberi, sale dunque a 2mila su un totale di 11mila il numero dei dipendenti temporaneamente fuori dal ciclo produttivo. Le parti si sono aggiornate al 19 giugno.

Questo per quanto riguarda i dettagli tecnici dell’operazione. Perché l’annuncio dato ieri dall’azienda potrebbe nascondere ben altro. Visto e considerato che nella versione ufficiale fornita ieri dall’azienda, più di qualcosa non torna. In conseguenza della fermata annunciata ieri, l’Ilva ha infatti comunicato ai sindacati che “anticiperà” i lavori di risanamento previsti dall’AIA, l’Autorizzazione integrata ambientale, per l’impianto AFO 2. Si tratta di lavori non strutturali, a differenza di quelli previsti per l’altoforno 1 (fermo dallo scorso dicembre) e dell’altoforno 5 (che sarà fermato a partire da giugno 2014). Ma quello che per l’azienda è un’anticipazione dei lavori, è nella realtà dei fatti una delle tante prescrizioni su cui l’Ilva è palesemente in ritardo.

Per l’AFO 2, la commissione IPPC che ha riesaminato le prescrizioni della prima AIA concessa all’Ilva il 4 agosto del 2011, ha previsto il processo di “Depolverazione Stock House”, che riguarda l’abbattimento delle polveri generate nel processo di lavorazione dell’acciaio: l’intervento previsto dovrà riguardare sia i campi di colata che le cosiddette stock-house dove vengono depositati i materiali di carica dell’impianto. Interventi simili sono previsti anche nell’agglomerato e anche sugli altiforni 1 e 5. Il sistema di depolverazione per l’AFO 2, stando a quanto scritto dai tecnici dell’Ilva nella seconda relazione trimestrale sull’applicazione delle prescrizioni AIA datata 27 aprile 2013, sarebbe già stato ordinato.

L’AIA concessa lo scorso 26 ottobre però, prevedeva che questo tipo di lavoro venisse attuato immediatamente. Invece, nell’ultima relazione trimestrale inviata al ministero dell’Ambiente, per la prescrizione n.16 che è quella riguardante l’AFO 2, l’azienda scrive che le attività sono in corso e che si concluderanno entro il 31 gennaio del 2014. Non è un caso infatti se, nella prima relazione trimestrale dopo l’ispezione dei primi del mese di marzo, nelle 11 prescrizioni su cui l’Ilva era in ritardo i tecnici ISPRA rilevarono anche il mancato intervento di depolverazione per l’AFO 2.

Sempre ieri, i dirigenti dell’Ilva hanno sostenuto che questi lavori di risanamento permetteranno all’azienda di avere un altoforno pronto e moderno nel momento in cui il mercato dovesse ripartire. Dunque, non è detto che ciò accada. E comunque non prima dell’inizio del 2014. Mercato permettendo. Nell’incontro, l’azienda ha anche annunciato che, in relazione ai lavori previsti dall’AIA e agli obblighi di prevenzione e di sicurezza, sta ricercando, nell’organico della fabbrica, un centinaio di unità diplomate e con specializzazione sui problemi dell’ambiente e della sicurezza. L’intenzione è quella di affiancare queste figure (una trentina di unità sarebbero già state individuate) al nucleo SIL (sicurezza sul lavoro) già presente nello stabilimento.

Ma che ci sia aria di cambiamenti radicali, lo dimostra anche un altro avvenimento di non poco conto. Enrico Bondi, nominato da governo commissario dell’Ilva con un decreto ad hoc, sarebbe pronto ad azzerare il parco “fiduciari”. Si tratta di quindici-venti persone, tutti dipendenti della capogruppo Riva FIRE, che per anni hanno svolto per conto della famiglia Riva il compito di “controllori” di quanto accadeva nel siderurgico di Taranto. A quanto si è appreso al termine dell’incontro tra azienda e sindacati di ieri, Bondi avrebbe sottoposto un vero e proprio ultimatum ai “fiduciari”: o diventano dipendenti dell’Ilva a tutti gli effetti, con regolari funzioni, responsabilità e relativo numero di matricola, oppure devono lasciare lo stabilimento e il loro rapporto con l’azienda si interromperà.

I componenti di questa sorta di struttura parallela, non avevano precisa collocazione nell’organico del siderurgico, ma vigilavano su impianti, produzione e personale e rispondevano direttamente ai componenti della famiglia Riva. La mossa di Bondi, del resto, non è casuale. E va collegata alle ultime vicende giudiziarie che riguardano l’Ilva. Perché il gruppo dei “fiduciari” é quello che la Guardia di Finanza e la Procura di Taranto hanno definito un vero e proprio “governo ombra” del siderurgico di Taranto, una struttura parallela alla direzione aziendale sulla quale Fiamme Gialle e autorità giudiziaria stanno compiendo accertamenti nell’ambito dell’indagine successiva al sequestro preventivo per equivalente da 8,1 miliardi di euro disposto dal gip di Taranto su beni e conti della capogruppo Riva FIRE.

Nei giorni scorsi i finanzieri hanno ascoltato diverse persone all’interno dell’Ilva chiedendo informazioni circa i “fiduciari” e i compiti svolti. Un qualcosa che i sindacati, seppur a conoscenza di tutto e spesso loro stessi entrati in conflitto con la proprietà per quanto sopra, si sono sempre ben guardati dal denunciare pubblicamente. Insomma, la strategia dell’isolamento dell’Ilva da tutto quello che “appartiene” alla famiglia Riva, prosegue liscia come l’olio. Così come la lenta dismissione e il sicuro ridimensionamento che l’Ilva subirà nei prossimi anni in termini di attività produttiva. Anche se questo non lo dice nessuno.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 13.06.2013)

 

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