Un “Marenero” di gasolio: 123 denunciati di cui 73 arrestati
TARANTO – Un’organizzazione criminale che operava nel mercato nero del gasolio destinato alle navi che per legge non è gravato da accise, è stata smantellata ieri dalla Guardia di Finanza di Taranto, che con le accuse di contrabbando doganale ed evasione fiscale, ha denunciato 132 persone, 73 delle quali in stato di arresto. L’operazione, denominata “Marenero”, ha portato anche al sequestro di 28 autocisterne del valore complessivo di circa 7 milioni di euro, ed è stata illustrata in una conferenza stampa il col. Salvatore Paiano, comandante della Guardia di finanza di Taranto, e il procuratore della Repubblica, Franco Sebastio.
Il sistema messo in piedi dall’organizzazione riguardava il commercio illegale di gasolio denominato “bunker”, come detto destinato alle navi e pertanto considerato provvista di bordo: per questo il “bunker” è soggetto al trattamento fiscale della merce nazionale in esportazione per essere consumata fuori dal territorio doganale. Questo particolare gasolio è sottoposto soltanto ai diritti doganali (imposizioni strettamente connesse alle operazioni di dogana) e non ai diritti di confine e al pagamento delle accise. Gli investigatori del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, dopo un’indagine avviata nel 2008 (e grazie all’intercettazione di 140mila telefonate risalenti al periodo febbraio-luglio dello stesso anno), hanno accertato appropriazioni indebite di ingenti quantitativi di questo gasolio, che veniva poi venduto al mercato nero.
Secondo quanto appurato dalla Guardia di Finanza, si sarebbe proceduto alla metodica e capillare sostituzione di quantitativi di carburanti “finiti” (gasoli, benzine) con prodotti petroliferi “grezzi” (petrolio greggio oppure gasolina) ovvero con prodotti non commercializzabili (biodiesel), per poi rivendere i prodotti “finiti” al mercato nero a titolari compiacenti di depositi e distributori stradali di carburanti. I prodotti petroliferi “grezzi”, invece, venivano consegnati ai legittimi destinatari dei trasporti i quali, ignari delle sostituzioni effettuate, immettevano alla regolare vendita e quindi al consumo prodotti non raffinati, che in alcuni casi sono risultati miscelati anche con della semplice acqua.
Inoltre, stando sempre a quanto appurato dalle indagini, in alcuni casi sarebbero state manomesse valvole e tubazioni di autocisterne per sottrarre parte del prodotto. Il sistema di frode utilizzato dai componenti dell’organizzazione è meglio conosciuto come “metodo del cammello”, che permette di appropriarsi gran parte del prodotto nella fase dello svuotamento dell’autocisterna mediante manomissioni di valvole e tubazioni che consentono di deviare il flusso di scarico del combustibile verso altro scomparto della cisterna. In questo modo riuscivano ad appropriarsi di buona parte del prodotto (tra il 30% e il 40%) nella fase di svuotamento dell’autocisterna, per un totale complessivo di circa 5.800.000 litri di carburante.
Il promotore di questa organizzazione era il presidente del consiglio di amministrazione di due società di trasporti di carburanti con sede amministrativa a Bari e legale a Taranto. Ma nell’inchiesta sono coinvolti anche alcuni dirigenti, funzionari e dipendenti della raffineria Eni di Taranto, lo spedizioniere doganale Enrico Signorile, titolari e dipendenti di depositi, officine e distributori stradali di carburanti, soci e dipendenti di aziende di trasporti di carburanti, autisti di autocisterne. Ai domiciliari sono finiti anche Fabio Atzei, dirigente dell’Eni-sede di Genova, e Donata Mattia, funzionario dell’Eni commerciale di Bari. Altro nome eccellente tra gli arrestati, quello di Lorenzo De Fronzo, presidente della sezione Trasporti e logistica di Confindustria Bari, imprenditore nel settore spedizioni-logistica integrata trasporti e distribuzione prodotti petroliferi, amministratore e comproprietario della Sotrap e della Batras, aziende di trasporto per distribuzione carburanti a stazioni di servizio di società petrolifere.
Ma questa vicenda ha registrato il primo punto di svolta nel gennaio del 2009, quando sempre la Guardia di Finanza scoprì che diverse tonnellate di carburante venivano risucchiate dai serbatoi della raffineria di Taranto, grazie ad una conduttura sotterranea le cui tubature terminavano il loro percorso all’esterno dell’impianto: collegando le tubature dei predoni ai bocchettoni dei serbatoi, il gioco era presto fatto. In questa maniera la conduttura sotterranea ingoiava indisturbata litri e litri di gasolio.
I grossi ammanchi del prodotto non erano però passati inosservati ai controlli disposti dai dirigenti della raffineria che presentarono una denuncia contro ignoti. Da quel momento le Fiamme gialle perlustrano tutti i terreni delle campagne della zona industriale, sino a quando trovarono una cisterna abusiva. Era situata a trecento metri dalla recinzione dell’Eni e dentro c’erano 220 tonnellate di carburante non raffinato, per valore commerciale superiore a mezzo milione di euro. Quella scoperta scatenò all’epoca molte polemiche, anche all’interno dei sindacati e tra gli stessi lavoratori, perché fu chiaro sin da subito che un’operazione del genere non poteva essere avvenuta senza la complicità di “interni” alla raffineria Eni.
G. Leone (TarantoOggi, 12.06.2013)