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Ilva, Legambiente chiede un risarcimento di un milione di euro

TARANTO – Legambiente chiede un risarcimento di un milione di euro in sede civile nei confronti dell’ex presidente dell’Ilva Emilio Riva e dell’ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso. La richiesta si basa sulla sentenza penale della Corte di Cassazione del 2010 che dichiarò la prescrizione dei reati, ma confermò gli effetti civilistici. I dettagli dell’iniziativa sono stati spiegati questa mattina dal presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza. Con lui il presidente del Circolo ionico Lunetta Franco e gli avvocati Eligio Curci e Massimo Moretti.

Riva e Capogrosso furono condannati dalla Corte d’Appello rispettivamente a 2 anni (3 anni in primo grado) e a un anno e 8 mesi (2 anni e 8 mesi in primo grado) di reclusione per getto pericoloso di cose e omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro nel reparto Cokerie. La Corte di Cassazione annullò senza rinvio le condanne per intervenuta prescrizione dei reati, ma è rimasta comunque inalterata la pretesa del risarcimento del danno da parte di Legambiente e della Uil provinciale, che si costituirono parte civile. I reati ambientali si riferivano all’inquinamento dell’aria e alla dispersione di polveri su arredi urbani ed edifici pubblici del rione Tamburi di Taranto.

“A Taranto ci sono due emergenze, la salute e il lavoro: occorre dare risposte immediate a entrambe. Il recente decreto sul commissariamento dell’Ilva sembra ancora una volta voler affrontare solo il risanamento industriale senza affrontare l’emergenza sanitaria”. Così Vittorio Cogliati Dezza ha ribadito le perplessità già espresse nei giorni scorsi in merito al decreto che dispone il commissariamento dell’Ilva.

“Nel decreto relativo al commissariamento – ha aggiunto – ci preoccupano l’indeterminatezza del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria dei lavoratori e della popolazione e di prevenzione del rischio di incidente rilevanti assegnato ai 3 esperti nominati dal ministero dell’ambiente e che “equivale a modifica dell’AIA” . Così come ci preoccupano i tempi che tra predisposizione del piano, sua approvazione, predisposizione del piano industriale e sua approvazione arrivano a ben 120 giorni. A che servono questi 120 giorni se ci sono già le prescrizioni AIA definite appena sei mesi fa dal tavolo tecnico secondo una tempistica ben definita? Servono a giustificare e a coprire i ritardi dell’azienda? A meno che non si tratti soltanto di rimodulare i tempi delle prescrizioni disattese in questi mesi, in funzione dell’entrata in azione del commissariamento: in tal caso chiediamo che la rimodulazione sia fatta assegnando tempi rapidissimi per la loro attuazione, soprattutto quelle più rilevanti per le ricadute sulla salute”.

Al Governo Legambiente chiede: “Chi risarcirà i tarantini che nel frattempo si ammaleranno a causa dell’inquinamento?   Chiediamo con forza che l’eventuale modifica dell’AIA tenga conto della valutazione del danno sanitario e limiti la produzione autorizzata a sette milioni di tonnellate annue di acciaio così come Legambiente chiede inascoltata da anni. Chiediamo inoltre  che i beni sequestrati vengano utilizzati  non solo per la bonifica degli impianti ma anche per bonificare suolo, sottosuolo, falde e aree marine inquinate dalle attività del polo siderurgico”. Legambiente ribadisce, inoltre, la richiesta che il commissario Bondi (sull’opportunità della cui nomina l’associazione aveva già espresso perplessità) sia affiancato da un comitato per la trasparenza con poteri veri che veda coinvolti l’Arpa, la società civile, gli enti locali.

Ma torniamo alla richiesta di risarcimento danni. Con un ricorso depositato il 6 maggio dall’avv. Massimo Moretti (anch’egli socio di Legambiente), Legambiente ha chiesto al Tribunale Civile di Taranto che, sulla scorta della condanna emessa in sede penale, gli imputati Emilio Riva e Luigi Capogrosso vengano condannati al risarcimento del danno subito dall’associazione, nella misura  di un milione di euro. Il danno deriva dall’aver dovuto subire il grave inquinamento del proprio habitat e territorio, nonché dal permanere delle conseguenze nocive di tale attività sul territorio in cui l’associazione ha continuato a svolgere la propria azione ambientalista con grave frustrazione per il mancato raggiungimento degli scopi associativi. Legambiente ha supportato la propria richiesta con ampia documentazione della propria attività di sensibilizzazione, denunzia e protesta relativa allo stabilimento ILVA di Taranto ed alle altre fonti inquinanti dell’area industriale, svolta, spesso in solitudine, negli anni  oggetto del processo (dal 1995 al 2002).

Legambiente ha sottolineato che le somme che saranno eventualmente percepite a titolo di risarcimento saranno tutte reimpiegate per interventi di risanamento e riqualificazione nel territorio di Taranto, ad esempio in progetti di riqualificazione di aree urbane, come quello recentemente realizzato nel quartiere Salinella con il contributo gratuito di iscritti e simpatizzanti, di sostegno alla raccolta differenziata (anche per aprire nuove filiere industriali), nell’acquisto di macchinari per il controllo delle emissioni inquinanti,  o ancora in interventi per il miglioramento della qualità dell’aria con l’acquisto di mezzi non inquinanti a supporto delle società di trasporto pubblico locali. La prima udienza del processo è prevista per il prossimo ottobre.

 

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