Incredibile, ma vero: pur di salvare la produzione dell’acciaio del siderurgico tarantino, lo Stato italiano ha deciso di sostituire il gruppo Riva sul trono dell’Ilva, per un massimo di 36 mesi, incoronando re Enrico Bondi II, investito di tutti i poteri necessari per portare avanti l’attività produttiva e fare da tramite con il gruppo Riva per informare quest’ultimo della situazione dello stabilimento. Ma qui la questione non è delle più chiare. Perché non è poi così vero che Bondi dovrà occuparsi unicamente del funzionamento amministrativo e finanziario dell’azienda. Infatti, il comma 5 dell’articolo 1 prevede che “il Ministro dell’ambiente nomina un comitato di tre esperti, che, sentito il commissario straordinario, predispone e propone al Ministro, entro 60 giorni dalla nomina, in conformità alle previsioni delle norme comunitarie e delle leggi nazionali e regionali, il piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria dei lavoratori e della popolazione e di prevenzione del rischio di incidenti rilevanti. Il piano deve altresì prevedere le azioni ed i tempi necessari per garantire il rispetto delle prescrizioni di legge e dell’AIA”.
Il che vuol dire che il piano “ambientale” dei tre esperti dovrà passare comunque da Bondi. Il quale può anche presentare “eventuali osservazioni che possono essere proposte nei successivi dieci giorni, e che sono valutate dal comitato ai fini della definitiva proposta entro il termine di novanta giorni dal commissariamento”. Una dilatazione dei tempi che fa a pugni con il crono programma previsto dall’AIA rilasciata all’Ilva lo scorso 26 ottobre. Non solo. Fate attenzione a cosa è scritto nel comma 7 dell’articolo 1 del decreto: “il rappresentante dell’impresa può proporre osservazioni al piano di cui al comma 5 (quello che sarà redatto dai tre esperti del ministero, ndr) entro dieci giorni dalla sua pubblicazione; le stesse sono valutate dal comitato. L’approvazione del piano di cui al equivale a modifica dell’AIA”.
In pratica sia Bondi in qualità di commissario dell’azienda, sia il rappresentante della stessa che a breve sarà nominato dal Cda dell’Ilva Spa (il cui ruolo potrebbe essere ricoperto dall’attuale presidente, seppur dimissionario, Bruno Ferrante), potranno dire la loro sul piano che sarà redatto dagli esperti del ministero dell’Ambiente, sino ad arrivare ad una modifica della stessa AIA. Inoltre, il decreto stabilisce che i lavori previsti dall’AIA dovranno essere svolti utilizzando i proventi dell’attività del siderurgico. Ma se la proprietà resta comunque ai Riva, ed il commissario dell’Ilva è Enrico Bondi (nominato proprio dal gruppo come ad dell’azienda lo scorso aprile), è molto difficile che ciò avvenga per davvero. Non è un caso se il buon Bondi è già a caccia di prestiti da parte delle banche ed è in attesa di conoscere a quanto ammonterà l’aiuto economico che l’Ue ha previsto per l’Ilva nel piano a sostegno della siderurgica che sarà presentato il prossimo 11 giugno.
Chi garantirà infatti che Bondi utilizzerà i proventi dell’attività produttiva dell’Ilva per finanziare i lavori previsti dall’AIA? Autorizzazione integrata ambientale sulla quale, tra l’altro, si è già in gravissimo ed abbondante ritardo. L’ennesima conferma è arrivata ieri al termine dell’audizione del Garante dell’AIA Vitaliano Esposito, ascoltato dalla Commissione Industria del Senato che ha aperto la scorsa settimana un’indagine “conoscitiva” sulla vicenda Ilva. Al termine dell’audizione, il presidente della Commissione Massimo Mucchetti (Pd) ha dichiarato che il Garante ha parlato di “11 violazioni, le stesse rilevate anche dall’ISPRA”. Secondo Mucchetti, applicare le prescrizioni AIA e difendere il futuro dell’Ilva conviene anche ai Riva (e ti credo!). “Il punto principale oggi – ha spiegato – non è tanto quello di difendere i diritti di proprietà ma di difendere in concreto il futuro dell’Ilva di Taranto.E nel difendere in prospettiva l’Ilva di Taranto come grande centro produttivo, si difendono nella concretezza anche i diritti di proprietà dei Riva. Al contrario, se si lascia esposta l’Ilva allo stato di incertezza nel quale è rimasta esposta negli ultimi due anni, questo vuol dire condannare l’impianto alla morte certa per asfissia”.
Il buon Mucchetti farebbe meglio ad indagare, ad esempio, su questi due anni di “incertezza”, piuttosto che pensare a difendere l’Ilva e la sua proprietà. E soprattutto dovrebbe spiegare ai cittadini di Taranto e a tutti gli italiani, il perché quei lavori non li farà il gruppo Riva con i miliardi guadagnati in 18 anni di proprietà Ilva. Non solo. Perché Mucchetti ha pensato bene di citatre gli interventi per la copertura dei nastri trasportatori. “Sia l’ISPRA che Esposito hanno rilevato la questione dei nastri trasportatori che sono una fonte di inquinamento, il tempo concesso era di 3 mesi ma dopo 2 mesi l’azienda ha chiesto la riformulazione del periodo di esecuzione a 3 anni. Sono tempi radicalmente diversi e, probabilmente, uno dei due è completamente sbagliato, ai limiti della presa in giro”.
Bene. Ma Mucchetti lo sa che quella modifica “non sostanziale” è stata concessa dall’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini? E’ a conoscenza che quei termini sono stati disposti dalla commissione IPPC del ministero dell’Ambiente? Si è informato del fatto che la copertura dei 90 km dei nastri trasportatori dell’Ilva era un intervento previsto sin dai primi atti d’intesa datati 2003, firmati anche dall’Ilva e dal ministero dell’Ambiente? Chissà. Per fortuna mercoledì prossimo sarà ascoltato dalla commissione il procuratore capo della Repubblica di Taranto, Franco Sebastio: forse è la volta buona che anche a Roma capiscano la vera storia di tutta questa faccenda. Infine, si terrà dal 24 al 28 giugno la discussione alla Camera per la conversione del decreto legge del governo. Saranno giorni di passione.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 07.06.2013)
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