TARANTO – La verità è che non sanno proprio che pesci prendere. Anche perché, restando in tema “marinaro”, in molti temono che si possa avverare la “profezia” del Garante dell’AIA, Vitaliano Esposisto, che all’improvviso ha ritrovato la parola, definendo l’Ilva “un’autentica nave senza nocchiero in gran tempesta”. Noi, molto più realisticamente, tempo addietro la definimmo una “zattera nell’oceano”. Sia come sia, intorno al caso Ilva si è generato un vespaio di polemiche, dichiarazioni ad effetto e teoremi politico-economici, dal quale oramai pare impossibile riportare a galla la verità. Certo è che il governo si prenderà sino all’ultimo giorno disponibile per tirare fuori dal cilindro di Palazzo Chigi l’ennesimo stratagemma per tenere in piedi “il lavoro e la produzione” del più grande siderurgico europeo.

Non è un caso se il premier Enrico Letta martedì 4 giugno riferirà alla Camera sulla vicenda e nello stesso giorno si terrà un Consiglio dei Ministri straordinario: l’indomani, infatti, torna a riunirsi a Milano il Cda dell’Ilva che dovrà decidere il da farsi sulle dimissioni annunciate dall’ad Enrico Bondi, dal presidente Bruno Ferrante e dal consigliere Giuseppe De Iure sabato scorso. Mai come adesso, infatti, il tempo è denaro: anche perché, ora, non si può più sbagliare. E sciogliere il dubbio amletico odierno, “affidare l’impianto ad un commissario unico che gestisca tutto o consegnarlo ad un commissario ad acta che si occupi solo del risanamento ambientale”, non è cosa da poco. A quanto pare è stata messa da parte l’ipotesi di modificare la legge Marzano, a cui si può ricorrere soltanto se l’azienda implicata si trova in stato di insolvenza: cosa che non riguarda, evidentemente, l’Ilva Spa.

Un’azienda che, a tutt’oggi, può tranquillamente comprare le materie prime, produrre acciaio, commercializzarlo ed incamerare risorse finanziarie (da investire unicamente nei lavori dell’AIA e nel pagare gli stipendi ai lavoratori, aggiungiamo noi). Perché glielo consente una legge tutt’ora in vigore e perché il sequestro per equivalente ordinato dal gip Todisco la scorsa settimana, non intacca minimamente gli impianti utili all’attività produttiva. Si dirà: ma sono stati sequestrati 8 miliardi alla Riva FIRE che controlla l’Ilva Spa e senza quelle risorse il siderurgico si blocca. Ma è davvero così? Ma dove sono questi fantomatici 8 miliardi? Non certo nelle mani della Guardia di Finanza che sta mettendo a soqquadro l’Italia intera per trovare gli spiccioli che il gruppo Riva ha lasciato nelle casseforti delle finanziarie e delle banche dove ha parcheggiato i suoi beni prima di traghettarli nelle holding off shore.

Del resto, la separazione “notarile” dell’Ilva Spa dalla Riva FIRE, oggi Riva Forni Elettrici, è avvenuta lo scorso 7 gennaio: dove sono stati sino ad oggi istituzioni e sindacati? A cosa hanno pensato in tutti questi mesi? Addirittura siamo costretti a sentirci dire che “per colpa” del sequestro dei beni ordinato dalla magistratura, il gruppo Riva è impossibilitato a presentare il piano industriale 2013-2018: ma stiamo scherzando? Un piano a cui si lavora dal mese di dicembre, guarda caso stava per essere presentato proprio adesso. Non solo. Si racconta agli italiani e ai tarantini che sempre per colpa del sequestro dei beni, il gruppo Riva è impossibilitato a presentare il piano di finanziamento dei lavori per l’attuazione delle prescrizioni AIA: ma se l’autorizzazione è stata rilasciata il 26 ottobre scorso, quel piano non avrebbe dovuto essere redatto diversi mesi addietro?

E come mai istituzioni e sindacati si ricordano soltanto adesso di quel piano? Come mai si preoccupano soltanto ora delle prescrizioni non rispettate dall’Ilva? Semplicemente perché soltanto adesso hanno realmente capito che la festa è finita e i Riva se ne vanno. Anzi, se ne sono già andati. E con loro stanno abbandonando la nave anche tutti coloro i quali per anni hanno gestito i reparti e le aree dello stabilimento, con il petto in fuori e l’arroganza di chi sapeva di essere protetto dal padre padrone. Ora che hanno le spalle scoperte, preferiscono fuggire ed annunciare le dimissioni dai loro incarichi, anche a rischio dell’incolumità degli stessi operai.

Che ne sarà di noi, dunque? Pare che l’unica certezza sia quella di voler restare all’interno della legge 231/2012, la ‘salva-Ilva’, anche per evitare di dar vita ad un altro braccio di ferro con la magistratura. Un provvedimento di commissariamento, sempre per decreto: “stiamo lavorando ad una norma primaria che riparta dall’elemento del commissariamento evocato dalla legge 231 in cui non è ben definito” ha dichiarato ieri il ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato. Sarà. Intanto continua la caccia alle risorse da reperire per iniziare i lavori di risanamento previsti dall’AIA: perché, anche se in molti tergiversano, fanno finta di non averlo capito o addirittura lo negano spudoratamente, l’Ilva sarà risanata con soldi pubblici. “Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare”. Auguri.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 31.05.2013)

 

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