“Nel corso della riunione – si legge nella nota diramata dal MISE in serata – sono state acquisite ulteriori informazioni sulla situazione aziendale. I rappresentanti dell’esecutivo e delle istituzioni locali hanno confermato l’impegno, nell’ambito delle proprie competenze, affinché l’attività dell’Ilva – nel quadro di una rigorosa attuazione dell’AIA – si svolga nel massimo rispetto dell’ambiente e della tutela della salute”. Ma come ciò debba avvenire, e soprattutto con quali soldi, non è dato sapere. Così come grande è la confusione anche tra le istituzioni e i sindacati, dove ognuno dice la sua sul come risolvere un problema ignorato per decenni che ora sta presentando un conto molto più che salato.
Il governatore Vendola si è dichiarato a favore di un’amministrazione controllata da parte dello Stato che tagli definitivamente fuori il gruppo Riva dalla gestione del siderurgico (eppure, soltanto nel 2011, lo stesso Vendola diceva di aver trovato una sintonia totale con Emilio Riva sui valori cristiani che li accomuna). Il sindaco Stefàno ha invece badato al sodo, chiedendo garanzie in merito al rispetto dell’iter per le bonifiche (oggi si riunisce nuovamente la Cabina di Regia) e certezza sul pagamento degli stipendi di giugno agli operai. Silenzio assoluto invece dagli esponenti di governo, che quest’oggi incontreranno il premier Letta che ieri ha fatto il punto della situazione con la Camusso, Bonanni e Angeletti.
Durante l’incontro pare che lo stesso premier abbia così commentato la vicenda Ilva: “E’ l’inciampo più grande che mi potesse capitare, bisogna assolutamente fare qualcosa, non ci sarebbe cosa peggiore che la chiusura dell’Ilva”. Intanto, nelle stesse ore a Milano si riuniva d’urgenza il Cda della Riva FIRE, che ha puntato ancora una volta il dito contro la magistratura tarantina, rea di aver bloccato l’attività del gruppo con il sequestro preventivo per equivalente di 8 miliardi di euro, ordinato dal gip di Taranto venerdì scorso (per ora la Guardia di Finanza ha trovato beni pari ad appena 1 miliardo di euro). Nella nota del Cda, si esprime infatti “forte preoccupazione poiché il provvedimento rischia di compromettere l’iter per l’approvazione del piano industriale 2013-2018 avviato da mesi, sia da Ilva che da Riva FIRE, e che, supportato da adeguati test di impairment di esperti indipendenti nonché da analisi di sostenibilità finanziaria effettuate da primari advisor, era ormai prossimo al termine”.
Sarà. Certo appare alquanto strana la concomitanza con l’azione della magistratura e l’imminente presentazione di un piano industriale atteso dallo scorso dicembre (all’epoca lo stava scrivendo l’ex direttore dello stabilimento Buffo). Inoltre la Riva FIRE sostiene che l’azione della magistratura avrebbe bloccato “il rispetto di tutti gli obblighi AIA sotto il profilo industriale e finanziario, sia l’approvazione del bilancio nei termini di legge in situazione di continuità aziendale”. Strano. Visto che un piano finanziario a copertura degli interventi previsti dall’AIA non è mai stato presentato e l’azienda è già abbondantemente in ritardo nel rispetto di tantissime prescrizioni peraltro già scadute, ma prorogate dallo stesso ministero dell’Ambiente (sull’argomento si è svolto ieri a Taranto un ridicolo incontro tra i sindacati e il Garante dell’AIA).
Per non parlare del bilancio 2012 che, come dichiarò lo stesso Ferrante lo scorso 10 aprile, all’indomani della pronuncia della Consulta che dichiarò costituzionale la legge 231/2012, la così detta ‘salva-Ilva’, sarebbe stato “rivisto”. Scontate, dunque, le conclusioni del Cda della Riva FIRE: “L’interruzione di tale processo causata dal sequestro può invece portare a una situazione fuori controllo, anche con possibili ripercussioni occupazionali per circa 20.000 dipendenti diretti in Italia e almeno altrettanti nel cosiddetto indotto. Il CDA, seppur consapevole della incompatibilità dei tempi giudiziari con le urgenze dell’attività industriale, ha quindi dato mandato ai propri legali di impugnare i provvedimenti, auspicando in ogni caso che le autorità competenti possano intervenire per consentire la ripresa dell’iter interrottosi”.
La palla, dunque, è ancora una volta nelle mani del governo. Che a tutt’oggi non pare avere la più pallida idea di cosa fare. Intanto, prosegue la fuga di chi per anni ha vessato gli operai Ilva all’interno della fabbrica, dopo quella del gruppo Riva: nella serata di ieri una trentina tra capi reparto, capi squadra e capi turno dell’area a caldo hanno rassegnato dimessi dall’incarico, “pur garantendo la sicurezza degli impianti”. Sarà che quest’ultimi si sono sentiti offesi, in segno di solidarietà con il patron Emilio, dal provvedimento di sequestro del patrimonio dei Riva disposto dalla magistratura che ipotizza reati, oltre che nei confronti dei legali rappresentanti di Ilva e Riva FIRE, proprio per “dirigenti, capi area, responsabili dell’esercizio dello stabilimento di Taranto”.
I capi reparto, capi area e capi turno che hanno rassegnato le dimissioni, operano nei settori ghisa e acciaieria del siderurgico tarantino. Questi lavoratori – secondo la magistratura – “nell’espletamento degli adempimenti previsti dalle norme vigenti in materia di tutela ambientale di prevenzione degli incidenti rilevanti, e di igiene e sicurezza sul lavoro”, avrebbero agito “nell’interesse e a vantaggio delle medesime società” provocando “danni ambientali, anche associandosi tra loro” e “non provvedendo all’attuazione delle necessarie misure di sicurezza, prevenzione e protezione dell’ambiente”. Amen.
Gianmario Leone (TarantOggi, 28.05.2013)
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