Porto di Taranto, il futuro è adesso
TARANTO – Un aumento del 50% del traffico delle navi nei porti Ue, e tra i 110mila e i 165mila nuovi posti di lavoro: sono queste le stime fornite ieri dalla Commissione Ue per la crescita del settore porti entro il 2030. A tal riguardo Bruxelles ha approntato un pacchetto di misure che valgono 10 miliardi di risparmi, pari al taglio del 7% dei costi ed un ammodernamento complessivo di 319 porti ritenuti chiave per il funzionamento del mercato interno: tra questi figura, nonostante tutto, anche Taranto.
A dimostrazione del fatto che le alternative economiche alla grande industria non sono il frutto di un’utopia, ma la concreta realtà che il nostro territorio può ancora offrire a se stesso. Ed è la prova provata che tutto quello che non è stato fatto sino ad oggi su questo versante, così come sull’aeroporto di Grottaglie, sull’agroalimentare e sul turismo, è stato il frutto di una scelta politico-economica tutt’altro che improvvisata, ma scientificamente studiata da chi aveva tutto l’interesse a che Taranto restasse chiusa nel gioco imposto dallo Stato attraverso la presenza opprimente della grande industria e della Marina Militare.
Tornando all’attualità, la nuova strategia della Commissione Ue attribuisce maggiore autonomia alle Autorità portuali e apre il mercato dei servizi proponendo procedure nuove e più trasparenti. Dei 1200 porti commerciali disseminati sulle coste europee, l’Italia è il secondo paese con 39 scali individuati dopo la Gran Bretagna (43), e secondo fonti Ue sarà tra gli Stati membri quello che trarrà maggior giovamento dal pacchetto di proposte, a cominciare proprio da una maggiore autonomia delle autorità portuali e dalla possibilità di determinare i costi dei servizi e la destinazione delle risorse.
Da anni infatti Assoporti chiede una maggiore autonomia in questi campi. E non è un caso se il porto di Rotterdam, quando ufficializzò la mancata formalizzazione della join venture con l’Autorità Portuale di Taranto lo scorso ottobre, tra i vari motivi addusse la mancata autonomia economica dell’ente. Del resto, la riforma sulle autorità portuali, non è più rinviabile, visto che il sistema portuale italiano, in termini di efficienza, nell’ultima graduatoria stilata dalla World Bank è al quart’ultimo posto in Europa e precede solo Romania, Bulgaria e Polonia.
Secondo Bruxelles dunque, dei 319 porti individuati, 83 sono centrali per il network. L’Italia figura nella top 20 dei porti cargo con Genova (al 13mo posto), Trieste (14mo) e Taranto (16mo) per tonnellate movimentate nel 2011, ma i primi tre sono sempre Rotterdam, Anversa, e Amburgo, che da soli assorbono il 5% di tutti i traffici marittimi verso l’Europa, che importa via mare ben il 74% della merce extra-Ue: “Uno squilibrio che porta alla congestione e a costi extra per operatori e consumatori”.
A questo proposito si punta sulla necessità delle interconnessioni via terra, sia su ferro che su gomma, nodi modali che partono dai punti di arrivo delle autostrade del mare e che possono dare impulso anche allo sviluppo a collegamenti brevi via mare, soprattutto nel Mediterraneo. Ecco perché la retroportualità, a cominciare proprio dal distripark, assume sempre più un valore fondamentale per la vita di un porto. Taranto, ancora una volta, paga errori del passato (ma anche del presente visto che il definanziamento del distripark da parte della Regione Puglia è avvenuto la scorsa estate, ndr) che si riverberano sul presente. La speranza è che al peggio, almeno in questo caso, ci sia una fine. Possibilmente positiva.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 24.05.2013)