Ilva, i “polli” che credono all’AIA
TARANTO – Termineranno quest’oggi, con l’audizione di Confindustria Puglia e Taranto, gli incontri convocati dal ministro dell’Ambiente Andrea Orlando al fine di “farsi un’idea generale” della vicenda Ilva, prima di scendere in visita ufficiale nella città dei Due Mari. Dopo aver incontrato il 10 maggio scorso le istituzioni locali (ed in gran segreto l’Ilva come riportato su queste colonne la scorsa settimana, ndr), ieri è stato il turno dei sindacati confederali e delle categorie metalmeccaniche (Fiom, Fim e Uilm) e di parte del movimento ambientalista locale (con Legambiente che ha presentato l’ennesimo report su Taranto e l’inquinamento prodotto dall’Ilva e Legamjonici che ha ribadito la necessità di ritirare l’AIA all’azienda, ndr).
Come abbiamo già avuto modo di riferire in questi ultimi giorni, quest’incontri sono del tutto inutili. E che proprio per questo stanno assumendo contorni a dir poco grotteschi e ridicoli. Con i sindacati che ieri hanno pensato bene di sollecitare il ministro Orlando a vigilare sulla corretta applicazione e sul rispetto della tempistica delle prescrizioni presenti nell’AIA, rilasciata dal suo predecessore Corrado Clini lo scorso 26 ottobre. Perché mentre le nostre istituzioni lo scorso 10 maggio sostennero “l’illuminante” tesi secondo cui senza il rispetto dell’AIA non c’è futuro per l’Ilva, nella giornata di ieri i sindacati si sono detti “allarmati” del fatto che i lavori di risanamento previsti sugli impianti inquinanti dell’area a caldo sono lungi dall’essere stati avviati, “denunciando” l’atteggiamento opaco tenuto sin qui dall’azienda.
Ora. Vien da chiedersi sino a quando saremo costretti a dover assistere a questa farsa grottesca, in cui tutti continuano a recitare la parte di chi crede realmente che l’Ilva ottempererà alle prescrizioni previste dall’AIA. Di chi continua a ritenere sia stata “cosa buona e giusta” concedere all’azienda una seconda autorizzazione integrata ambientale (dopo la precedente del 4 agosto 2011, ndr) e soprattutto “blindare” la sua esistenza grazie ad una legge “ad aziendam” che l’ha di fatto sottratta all’azione dell’autorità giudiziaria. Perché se da un lato i nostri fanno finta di preoccuparsi della salute di operai e cittadini, sottolineando l’urgenza di procedere con le bonifiche del territorio e con i lavori di risanamento all’interno dell’Ilva, dall’altro continuano a ritenere “imprescindibile” per Taranto e il sistema economico italiano l’esistenza e la produzione del siderurgico, questa sì “in continuo”, sognando un futuro eco-compatibile “per tutti”.
Vien da chiedersi, ad esempio, perché vanno ad elemosinare l’attenzione e la solidarietà del ministro dell’Ambiente, pur sapendo perfettamente come sia stato lo stesso ministero ad autorizzare, nel merito del rispetto della tempistica delle varie prescrizioni, che la normativa in materia di AIA richiamata dalla legge 231/2012 preveda che l’impresa possa richiedere “modifiche non sostanziali alla tempistica degli interventi prescritti sulla base di motivazioni tecniche ed economiche”. Dunque, il “mancato” rispetto da parte dell’Ilva nella tempistica delle prescrizioni, è del tutto “lecita”.
Non è un caso infatti se, proprio nel corso dell’incontro “segreto” dello scorso 10 maggio, i rappresentanti dell’azienda abbiano nuovamente chiesto al ministro di riconsiderare la tempistica di alcuni interventi previsti dalle prescrizioni, al fine di “ottimizzare e minimizzare l’impatto degli interventi sia sugli impianti che sul processo produttivo”. Richiesta che il sottosegretario alla Sviluppo Economico Claudio De Vincenti ha confermato, dichiarando come il governo la stia attentamente valutando in quanto si è in presenza di operazioni “di grande rilievo nella riorganizzazione della produzione e di tale consistenza tecnologica che dobbiamo fissare i tempi giusti per ottenere questi risultati”.
Tra l’altro, i nostri “eroi” dimenticano che lo scorso 18 ottobre, giorno in cui si concluse il lavoro della commissione IPPC per il rilascio della nuova AIA, il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante lanciò un segnale chiarissimo avanzando diversi dubbi sulle prescrizioni presenti nel testo: “Noi abbiamo posto delle riserve che riguardano la sostenibilità economica e tecnica del parere della commissione”, perché “per noi significa minore competitività, e quindi i nostri competitori europei nei prossimi anni potranno produrre in un regime assolutamente diverso dal nostro, cioè più favorevole alla loro produzione”. In quanto “non dimentichiamoci che stiamo parlando di un’Aia che entrerebbe in vigore nel 2012, quando negli altri paesi entrerebbe nel 2016” (dal 1 gennaio 2016 entreranno infatti in vigore i nuovi limiti emissivi industriali previsti dalla direttiva europea 2010/75/Ue, ndr). Inoltre, all’epoca, l’Ilva sostenne che in assenza della piena disponibilità dei beni (gli impianti dell’area a caldo e il milione e 700mila tonnellate di acciaio rientrati in possesso dell’azienda proprio grazie alla legge 231/2012 voluta da istituzioni e sindacati) sarebbe stato molto complicato “accogliere e attuare le disposizioni” (eventualità oggi decaduta ma che non ha cambiato le cose nella sostanza, ndr).
E dimenticano che, guarda caso, lo stesso ministero dello Sviluppo economico pur approvando il documento, lo stesso giorno chiese una “verifica sulla compatibilità economica degli interventi” da parte dell’azienda (tra cui la parte “più importante” che riguarda “la copertura dei parchi”, ndr). Anche perché giova nuovamente ricordare che l’Ilva non ha ancora presentato, a distanza di 7 mesi dal rilascio dell’AIA, il piano di investimenti a copertura finanziaria degli interventi previsti per il risanamento degli impianti (oltre a non aver ancora reso noto il bilancio 2012 e il piano industriale, ndr). Come mai le nostre istituzioni sono totalmente silenti su questo aspetto?
Come mai i sindacati non chiedono chiarezza all’azienda, magari attraverso un bello sciopero o un’invasione delle strade adiacenti al siderurgico come si son divertiti a fare la scorsa estate dopo il sequestro dell’area a caldo da parte della magistratura? Possibile che non si sia accesa nessuna lampadina nelle loro menti? Ciò detto, sconcerta alquanto osservare come istituzioni, sindacati, comitati cittadini e gran parte del movimento ambientalista, continuino imperterriti a considerare l’Ilva un interlocutore interessato al futuro di questa città.
Portando avanti battaglie del tutto fuorvianti come ad esempio la denuncia sul ritardo nell’applicazione dell’AIA. Ma davvero c’è qualcuno che ha creduto possibile che il gruppo Riva avrebbe investito miliardi di euro per risanare uno stabilimento immenso e vetusto come l’Ilva di Taranto, destinato comunque ad essere superato sul piano della competitività nei prossimi anni dai concorrenti esteri, che peraltro ha oramai separato del tutto dalla “proprietà” originale del gruppo Riva FIRE, oggi chiamato “Riva Forni Elettrici”? O che il gruppo Riva è interessato a continuare a produrre a Taranto oltre il 31 dicembre 2015, data sino alla quale potrà farlo senza particolari problemi? Davvero c’è ancora qualcuno disposto a credere che l’Ilva abbia davanti a sé un futuro?
Infine, nulla pare essere cambiato nella mentalità del ministero dell’Ambiente (sul quale iniziamo a chiederci il senso della sua esistenza): il ministro Orando ha infatti dichiarato in tarda serata che l’AIA per l’Ilva di Taranto “è la cristallizzazione di un punto di equilibrio tra la difesa dell’ambiente e del lavoro. Non ci devono essere equivoci sull’interpretazione degli adempimenti del provvedimento”. Ed oggi è il turno di Confindustria: altre grasse risate ci attendono. “Se non individui il pollo nella prima mezz’ora, allora il pollo sei tu” (celebre frase del film “Il giocatore, 1998, regia di John Dahl).
Gianmario Leone (TarantoOggi, 21.05.2013)