Le ipotesi di reato contestate vanno dalla concussione per induzione alla tentata concussione per costrizione. Secondo le accuse, avrebbero esercitato direttamente o indirettamente pressioni sui dirigenti dell’amministrazione provinciale perché si adeguassero ad “assumere un atteggiamento di generale favore nei confronti dell’Ilva”. Nell’ordinanza firmata dal gip Patrizia Todisco, si legge di pressioni nei confronti di due dirigenti della Provincia, affinché “adottassero a vista provvedimenti favorevoli anche in assenza delle condizioni di legge e comunque senza alcun esame approfondito delle pratiche”. Al centro di tutto vi è la determina di autorizzazione all’esercizio di discarica per rifiuti speciali in area “Cava Mater Gratiae”, richiesta dall’Ilva “pur non ricorrendone le condizioni di legge: ciò alla scopo di consentire lo smaltimento in loco di rifiuti prodotti dallo stabilimento e quindi allo scopo di dare a questa utilità individuabile nei minori costi che essa avrebbe dovuto sopportare rispetto allo smaltimento dei medesimi rifiuti all’esterno dello stabilimento siderurgico”.
Un’autorizzazione fondamentale quella per la discarica Mater Gratiae (tra le più grandi d’Italia con i suoi 1.500.000 m3), visto che senza di essa l’Ilva non avrebbe potuto ottenere dal ministero dell’Ambiente la prima autorizzazione integrata ambientale rilasciata il 4 agosto del 2011. Una discarica nella quale, tra l’altro, l’azienda ha stoccato per anni amianto insieme alle scorie di lavorazione degli impianti produttivi. I fatti risalgono ad un lasso di tempo che intercorre tra il 2006 e il 2011. Per fortuna però, anche all’interno della Provincia, c’è stato chi ha difeso la democrazia e le istanze dei cittadini. Perché le pressioni esercitate dai quattro sono risultate per lungo tempo vane: l’ex dirigente provinciale del settore Ecologia e Ambiente, Luigi Romandini, non solo non firmò le autorizzazioni, ma dopo il suo trasferimento in un altro ufficio denunciò tutto ai militari delle fiamme gialle guidate dal maggiore Giuseppe Dinoi.
La rimozione dello stesso fu commentata così da Archinà pochi giorni dopo: “Abbiamo tolto una peste e ne abbiamo tre di pesti”. Questo perché anche il successore di Romandini, il dirigente Ignazio Morrone, si mostrò non compiacente nei confronti della grande industria. Secondo quanto emerso dalle indagini, è stato lo stesso presidente della Provincia ad interessarsi personalmente delle vicende riguardanti l’Ilva. Parlando al telefono anche con il vice presidente del gruppo Riva FIRE, Fabio Riva, da mesi a Londra in attesa che i giudici inglesi decidano sulla sua estradizione. “Circostanze – scrive il gip Todisco – che confermano il sollecito, premuroso, fattivo e perdurante interessamento del Florido in soccorso delle esigenze di natura economica della proprietà dell’Ilva”.
Il forte legame tra i quattro viene evidenziato senza mezzi termini: le loro condotte erano ispirate dal lavoro di Archinà “che oltre a essere particolarmente introdotto nei meccanismi di nomina dell’ente” era anche “informato di tutto, caldeggia nomine e spostamenti dei dirigenti e, senza la sua invasiva presenza, non si spiegano le ragioni per le quali negli uffici dell’amministrazione provinciale si insistesse tanto per una solerte e positiva risposta alle istanze dell’Ilva”.
Un quadro in cui, sempre secondo l’accusa, si nota “una inquietante, forte inclinazione comportamentale ad asservire il pubblico ufficio, i pubblici poteri rispettivamente esercitati, al conseguimento di obiettivi di favore economico a beneficio di determinati soggetti, in spregio dei principi di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione”. Quello che sta lentamente crollando a Taranto, altro non è che un sistema di potere in piedi da decenni. Ed ancora una volta, a pagarne le conseguenze sociali, non solo in termini di salute, saranno i cittadini dell’intera provincia ionica. Ente che ora è senza guida, in quanto nell’ultimo consiglio provinciale lo stesso Florido aveva evocato a sé la delega di vicepresidente. Con un’inchiesta che è ancora lungi dall’essersi conclusa.
Gianmario Leone (Il Manifesto)
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