Ilva, Mater Gratiae: anni di silenzio e una storia che parte dal lontano 1995
TARANTO – La storia delle discariche dell’Ilva affonda le sue radici in un arco di tempo che parte dai primi anni ’90 ed arriva sino ai giorni nostri. E’ un caso di cui ci siamo occupati in tempi non sospetti, a differenza di tutti quelli che oggi si divertono a fare i fenomeni su internet e sui giornali locali e nazionali. Ma in fondo abbiamo sempre saputo che sarebbe andata a finire così. Quanto meno, almeno la Storia ci sta dando ragione. Proviamo dunque ad avvolgere ancora una volta il nastro degli eventi, facendo un doppio salto nel passato. Ad esempio tornando indietro al 15 marzo del 2011. Roma, via Cristoforo Colombo 44, ore 14: sede del ministero dell’Ambiente. Quel giorno di oltre due anni fa, è in programma un’importantissima Conferenza dei Servizi Decisoria “per acquisire le intese ed i concerti previsti dalla normativa vigente in materia d’approvazione dei progetti di bonifica concernenti l’intervento sul “Sito di Interesse Nazionale di Taranto”.
Il verbale di quella conferenza vide per la prima volta la luce durante l’audizione della V Commissione Ambiente della Regione Puglia del 1 giugno del 2011, che poi licenziò il testo della legge sul “Piano Bonifiche delle falde acquifere” una settimana dopo, l’8 giugno. Da quella data però, della legge in questione non si è più avuta notizia. In quel famoso verbale, la Conferenza dei Servizi Decisoria sosteneva come il Piano di Caratterizzazione sito-specifico presentato dall’Ilva fosse incompleto, vista “la perdurante assenza della conseguente Analisi di Rischio che deve concorrere alla definizione dei nuovi valori soglia al fine di stabilire definitivamente il livello di effettivo inquinamento”.
Il messaggio era, già allora, fin troppo chiaro: senza un Analisi di Rischio seria e completa, nessuna vera bonifica sarebbe mai potuta essere effettuata: ed infatti, in pieno 2013, nulla si è mosso. Inoltre, nel verbale venivano chiariti due punti di snodo fondamentali per giungere alla verità sull’effettivo livello di inquinamento della falda. Primo: “per gli analiti quali metalli e metalloidi la competenza sulla definizione dei valori di fondo è dell’Arpa Puglia” (non è un caso del resto se proprio l’ente regionale per la protezione ambientale si sta occupando di fare gli stessi esami per il I seno del Mar Piccolo, ndr). Proseguendo nel verbale, la Conferenza dei Servizi specificava, non senza ironia, che per gli “analiti quali Cianuri totali, benzo(a)pirene, cromo totale, mercurio, piombo etc, la loro esclusiva natura antropica rende un ossimoro la loro ricerca come elementi naturali”.
Che la falda fosse profondamente inquinata, tanto da richiedere l’estrema urgenza di una sua messa in sicurezza, fu del resto la stessa Ilva S.p.A ad ammetterlo, attraverso una nota inviata e protocollata DIR/28 del 16/04/2010, acquisita dalla Direzione Generale TRI del Ministero dell’Ambiente, del Territorio ed del Mare nell’ambito del procedimento del rilascio dell’A.I.A. (Autorizzazione Integrata Ambientale), in cui venivano riportati i dati dei piezometri effettuati per stabilire la qualità delle acque superficiali e di quelle profonde. E sia nella falda di superficie con “manganese, ferro,alluminio, arsenico, cromo esavalente e cianuri totali per gli inorganici, mentre i contaminanti organici riscontrati sono IPA, BTXES e diversi composti clorurati”, sia nella falda profonda con “piombo, ferro, manganese,alluminio, cromo totale, nichel e arsenico mentre per gli inquinanti organici si è avuto il superamento per triclorometano, tetracloroetilene, diversi IPA”, i campioni superavano di tre o più parametri il valore limite di accettabilità.
Nonostante quella nota, con una determina datata 11 maggio 2010, la Regione Puglia concludeva il procedimento rilasciando il provvedimento di VIA (Valutazione d’impatto ambientale) a favore del progetto dell’Ilva (“Discarica per rifiuti speciali non pericolosi prodotti dallo stabilimento Ilva di Taranto e dalle aziende partecipate presenti nel territorio della provincia in area Cava Mater Gratiae, in agro di Statte”, presentato dall’azienda nel luglio del lontano 2004, proprio quando partì l’iter per il rilascio della prima autorizzazione integrata ambientale). I Comuni di Taranto e Statte ricorsero al Tar, ma il tribunale amministrativo dette ragione all’Ilva, in quanto la Regione aveva proceduto al rilascio della VIA dopo aver più volte sollecitato le due amministrazioni a prendere parte al procedimento, e dopo che anche la stessa Ilva aveva più volte inviato il progetto in essere agli uffici competenti senza avere risposta alcuna. Ma nella sentenza del Tar di Lecce del marzo 2011, si leggeva anche dell’altro. Ovvero che “in particolare è stato rilevato che dai dati presentati la presenza delle discariche Ilva non influenza la qualità della falda acquifera.
Anche con riferimento all’impermeabilizzazione, l’Ilva ha provveduto ad adeguarsi alla prescrizioni della Provincia”. Strano, molto strano. Perché la Conferenza dei Servizi Decisoria, in merito alla discarica “ex Cava Due Mari” e alla discarica “Mater Gratiae”, evidenziava varie osservazioni e prescrizioni. In primis, veniva sottolineato come “in corrispondenza di queste due discariche deve essere eseguito il monitoraggio della falda, attraverso dei piezometri che devono essere ubicati a monte e a valle idrogeologico rispetto a ciascuna discarica presente nell’area”. Inoltre, considerando che le linee di flusso della falda sotterranea presenti in quell’area hanno diversa orientazione, “si ritiene che debbano essere opportunatamente previsti dei pozzi da posizione uno in corrispondenza di ciascun lato della discarica ad una distanza massima dalla stessa pari a 500 metri e alla profondità che si dimostri idonea per monitorare tutta la falda sottostante le discariche in questione”.
Tutto questo non è stato mai fatto. Anche perché l’Ilva ricorse subito al Tar di Lecce contro tutte le osservazioni e le prescrizioni presenti nel verbale di quella Conferenza dei Servizi Decisoria. Inutile dirvi, infine, che l’Ilva, proprio in relazione alla discarica “ex 2^ categoria di tipo “B Speciale” in area Cava Mater Gratiae” e “ex 2^ categoria di tipo C”, mise a bilancio un intervento di investimento totale di 8.010.000 €, di cui una parte concluso addirittura nel 2008, dal titolo “L’investimento ha introdotto una nuova tecnologia in grado di garantire un alto grado di protezione dell’ambiente attraverso lo smaltimento dei rifiuti in impianto appropriato, garantendo inoltre una sensibile riduzione della movimentazione dei rifiuti”. Di tutto questo parlammo nel 2011 e nel 2012, restando ovviamente ignorati.
Ma non c’è solo questo. Pochi sanno di cosa stiamo realmente parlando: la “Mater Gratiae” occupa 1.500.00 m3 ed è una delle discariche più grandi d’Italia, si trova nel territorio del Comune di Statte ed è all’interno del siderurgico, ma soprattutto la sua autorizzazione all’utilizzo è in prorogatio dal lontano 2006. Non solo: perché dall’AIA rilasciata nell’autunno scorso ed entrata a far parte della legge 231/2012, la sezione riguardante le norme da rispettare per la gestione delle discariche di rifiuti pericolosi è stata stralciata. Il suo aggiornamento è stato prima previsto per il 31 gennaio scorso, poi rinviato dalla commissione IPPC al prossimo 31 maggio, perché manca ancora parte della documentazione che l’Ilva deve fornire. Dunque la discarica Mater Gratiae viene utilizzata da sette anni con una semplice “proroga”.
Come detto però, questa storia ha radici lontane. C’è infatti un documento che risale al 28 giugno del 1995, a firma del ministero dell’Ambiente e del ministero dei Beni Culturali, che altro non era che il rilascio di VIA per il progetto di quella discarica. Quel giorno a Roma infatti, si discuteva dell’approvazione del “progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale (VIA) riguardante le due discariche di seconda categoria rispettivamente di tipo B e C, da realizzarsi all’interno dell’area industriale Ilva di Taranto in una zona già utilizzata per l’attivia estrattiva e precisamente all’interno di un’area dismessa di una vasta cava di materiale calcareo, denominata Cava Mater Gratiae”. Già nel 1995 si parlava di una cava profondamente alterata dall’attività estrattiva e profonda 30-35 metri, distante 3 km in linea d’aria da Taranto, Statte, Massafra e Crispiano.
Peraltro all’epoca si prevedeva che il 70% dell’intera capacità di smaltimento dei rifiuti era destinata all’attività produttiva dell’Ilva, mentre il restante 30% doveva soddisfare le esigenze di smaltimento esterne costituito dalle province di Taranto e Lecce. In quel documento, peraltro, s’intravedeva già la linea di pressapochismo che sarebbe seguita nei decenni a venire: “in linea di massima non sembrano esserci elementi di incoerenza tra il progetto Ilva e i programmi esistenti sulla previsione di produzione dei rifiuti”. E che le nostre istituzioni conoscessero a fondo il problema, lo evidenziano le istanze, osservazioni e pareri espressi dal comune di Statte (20 gennaio e 12 aprile 1994), comune di Taranto (25 gennaio 1994) e Provincia di Taranto (25 gennaio e 23 aprile 1994): una vita fa. Cosa ancora più grave, in quel documento che di fatto riteneva il progetto dell’Ilva per la realizzazione della discarica per rifiuti tossico-nocivi nell’area Cava Mater Gratiae compatibile con le caratteristiche del sito, si denunciava il non pervenuto parere della Regione Puglia nonostante i vari solleciti. Si rilasciava l’ok al progetto prescrivendo una serie di provvedimenti che non è dato sapere se siano mai stati realizzati. Questa è la Storia.
Ciò che sta avvenendo oggi altro non è che il crollo di un sistema politico-economico messo in piedi decenni addietro e portato avanti sino ai giorni nostri. Stiamo vivendo un cambiamento epocale a cui, purtroppo, questa città arriva del tutto impreparata. E le responsabilità sono di tutti coloro i quali hanno governato per decenni e di tutti coloro i quali sino a ieri hanno fatto finta di non sapere, non vedere e non sentire. Chi pensa che con qualche arresto si volterà pagina, si sbaglia di grosso. Chi pensa che la magistratura potrà risolvere i problemi di questa città, è del tutto fuori strada. Ricostruire dalla macerie non sarà facile. Ci vorranno decenni. Ma questo non l’ha capito quasi nessuno. Siamo ancora ridotti ognuno a rincorre il proprio ego, a difendere orgogliosi il nostro piccolo orticello. A gioire per un arresto che di fatto cambia poco o niente.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 16.05.2013)